ISTITUTO NOTRE-DAME DE VIE MEDITAZIONE" L'orazione, un contatto che trasforma"
MEDITAZIONE
"Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là
pregava" (Mc 1,35; Lc 5,16; 6,12...).
L'orazione, la preghiera interiore che cerca il Dio vivente per stare in sua presenza e ricevere
tutto da lui, si ricollega alla preghiera silenziosa di Gesù. La si deve proporre ad ogni cristiano,
non come un metodo, una tecnica fra le altre, ma come un mezzo per assomigliare di più a
Gesù, e di essere dunque più pienamente cristiani.
Incuriositi dalla preghiera di Gesù, i suoi discepoli gli chiedono: "Signore, insegnaci a pregare".
E Gesù dice loro: "Quando pregate, dite: Padre Nostro...." (Lc 11,1; Mt 6,5-15). Gesù ci
mostra così quale sia il cuore della preghiera: un dialogo con Dio, un mettersi in contatto con
lui, uno scambio fra due amori, quello che Dio ha per noi, un amore paterno, e quello che noi
abbiamo per lui, un amore filiale.
Dio-Amore è presente nel nostro animo, come un fuoco ardente, un sole che non smette di
diffondere la sua luce, una fontana sempre zampillante.
Per andare incontro a lui, abbiamo la grazia santificante che ci ha fatto suoi figli, partecipi della
natura divina (2Pt 1,4). È in noi un'attitudine nuova e soprannaturale all'unione divina. Così io,
peccatore e creatura limitata, divento capace di unione con Dio Creatore, infinito, trascendente,
santissimo. Io posso entrare, come figlio, nella vita trinitaria di contemplazione e di amore. Nel
mio animo vive il cielo intero.
L'incontro del nostro amore con Dio-Amore, lo scambio che ne nasce, ecco l'orazione: un dialogo
d'amicizia dell'essere vivente, quali noi siamo, con il Dio vivente che dimora in noi. Dialogo dai
mille volti: triste o gioioso, commosso o insensibile, silenzioso o espansivo, attivo o impotente,
entusiasta o angosciato, a seconda del nostro temperamento e del peso delle nostre
preoccupazioni. Dialogo misterioso perché Dio è puro Spirito, infinito, insondabile. "Dio nessuno
l'ha mai visto" (Gv 1,18). E la grazia santificante, questo amore che unisce, che è della sua
stessa natura, è inaccessibile alle facoltà umane. L'orazione è un dialogo misterioso e segreto.
Se la presenza di Dio è certezza, se siamo sicuri dell'amore e della gioia che egli prova nel darsi
a noi (Lc 10,21-22) - le sue delizie sono tra i figli dell'uomo (Pr 8,31), e Gesù è venuto per i
malati e i peccatori (Mt 9,12-13) -, allora si impone una domanda: qual è la nostra parte in
questo dialogo che è l'orazione? Che cosa fare per vivere in contatto con questo Dio nascosto?
Il Vangelo fornisce la risposta a questa domanda e ci dà la chiave di ogni atto di preghiera, la
chiave della nostra vita cristiana. "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è
nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18). Ogni dialogo con Dio si realizza in Cristo.
Trovare Gesù è trovare Dio. È ciò che ha vissuto la donna malata del Vangelo (Mc 5,25-34).
Avendo udito parlare di Gesù, questa donna riflette fra sé, poi audacemente si fa largo tra la
folla per arrivare a toccare il lembo del suo mantello. Questo contatto "fa uscire" da Gesù una
forza. La donna è guarita. Gesù è sorpreso: "Chi mi ha toccato?... Qualcuno mi ha toccato. Ho
sentito che una forza è uscita da me" (Lc 8,43-48). Vedendo la donna, egli dà la spiegazione:
"Figlia, la tua fede ti ha salvata!".
In questo episodio noi cogliamo tutta la dinamica della preghiera: sentir parlare di Gesù;
pensare a lui; andare verso di lui, con tutto quello che noi siamo, le nostre forze e le nostre
debolezze, i nostri successi e i nostri fallimenti; toccarlo con la fede, una fede viva che spera e
che ama.
La nostra attività nella preghiera è essenzialmente una collaborazione di fede: "Chi ha sete
venga a me e beva, chi crede in me" (Gv 7,37-38).
Questa collaborazione di fede, vivente e paziente, è paragonabile ad uno sguardo. "Chi ha visto
me ha visto il Padre", afferma Gesù" (Gv 14,9). Pregare significa essenzialmente cercare lo
sguardo amante di Gesù (Mc 10,21), rivolgere a lui lo sguardo interiore del nostro animo.
Questo sguardo trascina con sé tutto il nostro essere, il nostro corpo, le nostre facoltà
(intelligenza, immaginazione, volontà) e le orienta verso Cristo, invisibile ma presente, per unirle
a lui in un contatto misterioso, soprannaturale, che dà la vita. "Pensate che egli vi guarda, e che
aspetta da voi uno sguardo", ci dice Teresa d'Avila.
Per orientare e nutrire questo sguardo verso l'invisibile ogni mezzo può essere adatto: gesto,
parola, lettura, meditazione, silenzio possono favorire il raccoglimento che ci fa cercare Dio
presente in noi, e che ci fa dunque passare al di là di tutto quanto sia altro da lui. Fermarsi al
"mezzo" sarebbe mancare lo "scopo" e fare della preghiera una ricerca esclusiva di pacificazione
interiore, mentre invece essa è un contatto con Dio. Le difficoltà, che si incontrano
frequentemente, derivano dalla dispersione delle facoltà, dalle distrazioni dell'immaginazione
e della memoria, dall'ignoranza delle cose di Dio, infine dal peccato.
La perseveranza si basa sulla certezza che la "fede faccia giungere a Dio" (san Giovanni della
Croce) e che ciò avvenga anche in mezzo a distrazioni e difficoltà.
Basta rinnovare l'atto di fede, pazientemente, con l'aiuto di una breve formula, di uno sguardo
a un'immagine... di un'azione semplice che ci ricordi la presenza interiore e che ci faccia volgere
ad essa.
Questa presenza di Dio resta nascosta. La luce del suo mistero acceca la nostra intelligenza, la
quale non ne può cogliere che l'immagine data dalla Chiesa, giusta ma oscura. "La fede è certa
e oscura nello stesso tempo", dice Giovanni della Croce. E l'orazione, come esercizio della fede
nell'amore, ci immerge nell'oscurità del mistero.
Noi non siamo abituati a questa oscurità, essa provoca una sofferenza alla nostra razionalità,
che può nutrirsi soltanto di idee chiare. Ma noi non vogliamo soltanto l'idea, vogliamo Dio.
Dobbiamo ricordarci allora che l'oscurità non aumenta la distanza fra gli esseri, e che il sole non
smette di risplendere quando abbaglia. A poco a poco, la nostra intelligenza, che confida in
questo contatto reso possibile dall'amore per Dio, sarà trasformata proprio da questo contatto,
diventando capace non di vederlo - questo è per il cielo - ma di sentirsi alla sua presenza, di
amare la notte del suo mistero. "Credere nella nostra fede" (padre Maria Eugenio del Bambino
Gesù) diventa l'atteggiamento fondamentale attraverso il quale esprimiamo il nostro amore per
Dio.
La certezza dell'amore divino che si offre a noi può restare ferma e sicura nel mezzo
dell'agitazione, della notte, nel cuore del dubbio interiore. L'orazione è un combattimento da cui
Dio uscirà vincitore, se gli diamo la fiducia della nostra fede. Questa fiducia nella debolezza e
nell'impotenza attira l'azione di Dio. Lo Spirito Santo, la nostra guida interiore, viene a
soccorrerci, "perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare" (Rm 8,26). La
sua azione a poco a poco scende sulle nostre facoltà, sui nostri sensi stessi. Placa, paralizza
l'intelligenza, colpisce la volontà, mantiene egli stesso il contatto con il cespuglio ardente. Ci
insegna la mansuetudine, la perseveranza. Crea in noi un atteggiamento di semplicità estrema,
l'atteggiamento di fede viva che ci permette di dissetarci alla fonte della vita divina non più a
piccoli sorsi, come quando compiamo da soli un atto di fede, ma a grandi sorsi. La preghiera,
sostenuta dall'intervento dello Spirito Santo, diventa contemplazione. Forse non ci accorgiamo
di nulla, forse abbiamo l'impressione di non fare nulla e di non vedere nulla. Ma noi siamo là,
Dio è là. Il contatto è stabilito, la vita divina ci è concessa. La nostra trasformazione si compie.
L'amore si fa più grande e la "luce risplende sotto i passi di colui che prega" (padre Maria
Eugenio del Bambino Gesù).
Il Concilio Vaticano II ci ricorda che una vita cristiana autentica esige, oggi più che mai, "un
continuo esercizio della fede, della speranza e della carità" (Decreto sull'apostolato dei laici,
n.4).
L'orazione, in quanto si pone al livello più profondo del dinamismo della grazia santificante e in
quanto è un contatto vivente concesso da Dio, sembra oggi divenuta necessaria per chi voglia
adempiere nel mondo la missione di testimonianza a cui lo consacra il battesimo. La semplicità
dell'orazione la rende universale. Essa riconosce e assicura al Dio vivente il primo posto nella
vita quotidiana. Invita e incoraggia al dono di sé ai fratelli. Spinge ad amare la Chiesa, in cui
Gesù Cristo si dà nell'Eucaristia, sacramento dell'Amore, "mistero della fede".
ISTITUTO NOTRE-DAME DE VIE
"Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là
pregava" (Mc 1,35; Lc 5,16; 6,12...).
L'orazione, la preghiera interiore che cerca il Dio vivente per stare in sua presenza e ricevere
tutto da lui, si ricollega alla preghiera silenziosa di Gesù. La si deve proporre ad ogni cristiano,
non come un metodo, una tecnica fra le altre, ma come un mezzo per assomigliare di più a
Gesù, e di essere dunque più pienamente cristiani.
Incuriositi dalla preghiera di Gesù, i suoi discepoli gli chiedono: "Signore, insegnaci a pregare".
E Gesù dice loro: "Quando pregate, dite: Padre Nostro...." (Lc 11,1; Mt 6,5-15). Gesù ci
mostra così quale sia il cuore della preghiera: un dialogo con Dio, un mettersi in contatto con
lui, uno scambio fra due amori, quello che Dio ha per noi, un amore paterno, e quello che noi
abbiamo per lui, un amore filiale.
Dio-Amore è presente nel nostro animo, come un fuoco ardente, un sole che non smette di
diffondere la sua luce, una fontana sempre zampillante.
Per andare incontro a lui, abbiamo la grazia santificante che ci ha fatto suoi figli, partecipi della
natura divina (2Pt 1,4). È in noi un'attitudine nuova e soprannaturale all'unione divina. Così io,
peccatore e creatura limitata, divento capace di unione con Dio Creatore, infinito, trascendente,
santissimo. Io posso entrare, come figlio, nella vita trinitaria di contemplazione e di amore. Nel
mio animo vive il cielo intero.
L'incontro del nostro amore con Dio-Amore, lo scambio che ne nasce, ecco l'orazione: un dialogo
d'amicizia dell'essere vivente, quali noi siamo, con il Dio vivente che dimora in noi. Dialogo dai
mille volti: triste o gioioso, commosso o insensibile, silenzioso o espansivo, attivo o impotente,
entusiasta o angosciato, a seconda del nostro temperamento e del peso delle nostre
preoccupazioni. Dialogo misterioso perché Dio è puro Spirito, infinito, insondabile. "Dio nessuno
l'ha mai visto" (Gv 1,18). E la grazia santificante, questo amore che unisce, che è della sua
stessa natura, è inaccessibile alle facoltà umane. L'orazione è un dialogo misterioso e segreto.
Se la presenza di Dio è certezza, se siamo sicuri dell'amore e della gioia che egli prova nel darsi
a noi (Lc 10,21-22) - le sue delizie sono tra i figli dell'uomo (Pr 8,31), e Gesù è venuto per i
malati e i peccatori (Mt 9,12-13) -, allora si impone una domanda: qual è la nostra parte in
questo dialogo che è l'orazione? Che cosa fare per vivere in contatto con questo Dio nascosto?
Il Vangelo fornisce la risposta a questa domanda e ci dà la chiave di ogni atto di preghiera, la
chiave della nostra vita cristiana. "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è
nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1,18). Ogni dialogo con Dio si realizza in Cristo.
Trovare Gesù è trovare Dio. È ciò che ha vissuto la donna malata del Vangelo (Mc 5,25-34).
Avendo udito parlare di Gesù, questa donna riflette fra sé, poi audacemente si fa largo tra la
folla per arrivare a toccare il lembo del suo mantello. Questo contatto "fa uscire" da Gesù una
forza. La donna è guarita. Gesù è sorpreso: "Chi mi ha toccato?... Qualcuno mi ha toccato. Ho
sentito che una forza è uscita da me" (Lc 8,43-48). Vedendo la donna, egli dà la spiegazione:
"Figlia, la tua fede ti ha salvata!".
In questo episodio noi cogliamo tutta la dinamica della preghiera: sentir parlare di Gesù;
pensare a lui; andare verso di lui, con tutto quello che noi siamo, le nostre forze e le nostre
debolezze, i nostri successi e i nostri fallimenti; toccarlo con la fede, una fede viva che spera e
che ama.
La nostra attività nella preghiera è essenzialmente una collaborazione di fede: "Chi ha sete
venga a me e beva, chi crede in me" (Gv 7,37-38).
Questa collaborazione di fede, vivente e paziente, è paragonabile ad uno sguardo. "Chi ha visto
me ha visto il Padre", afferma Gesù" (Gv 14,9). Pregare significa essenzialmente cercare lo
sguardo amante di Gesù (Mc 10,21), rivolgere a lui lo sguardo interiore del nostro animo.
Questo sguardo trascina con sé tutto il nostro essere, il nostro corpo, le nostre facoltà
(intelligenza, immaginazione, volontà) e le orienta verso Cristo, invisibile ma presente, per unirle
a lui in un contatto misterioso, soprannaturale, che dà la vita. "Pensate che egli vi guarda, e che
aspetta da voi uno sguardo", ci dice Teresa d'Avila.
Per orientare e nutrire questo sguardo verso l'invisibile ogni mezzo può essere adatto: gesto,
parola, lettura, meditazione, silenzio possono favorire il raccoglimento che ci fa cercare Dio
presente in noi, e che ci fa dunque passare al di là di tutto quanto sia altro da lui. Fermarsi al
"mezzo" sarebbe mancare lo "scopo" e fare della preghiera una ricerca esclusiva di pacificazione
interiore, mentre invece essa è un contatto con Dio. Le difficoltà, che si incontrano
frequentemente, derivano dalla dispersione delle facoltà, dalle distrazioni dell'immaginazione
e della memoria, dall'ignoranza delle cose di Dio, infine dal peccato.
La perseveranza si basa sulla certezza che la "fede faccia giungere a Dio" (san Giovanni della
Croce) e che ciò avvenga anche in mezzo a distrazioni e difficoltà.
Basta rinnovare l'atto di fede, pazientemente, con l'aiuto di una breve formula, di uno sguardo
a un'immagine... di un'azione semplice che ci ricordi la presenza interiore e che ci faccia volgere
ad essa.
Questa presenza di Dio resta nascosta. La luce del suo mistero acceca la nostra intelligenza, la
quale non ne può cogliere che l'immagine data dalla Chiesa, giusta ma oscura. "La fede è certa
e oscura nello stesso tempo", dice Giovanni della Croce. E l'orazione, come esercizio della fede
nell'amore, ci immerge nell'oscurità del mistero.
Noi non siamo abituati a questa oscurità, essa provoca una sofferenza alla nostra razionalità,
che può nutrirsi soltanto di idee chiare. Ma noi non vogliamo soltanto l'idea, vogliamo Dio.
Dobbiamo ricordarci allora che l'oscurità non aumenta la distanza fra gli esseri, e che il sole non
smette di risplendere quando abbaglia. A poco a poco, la nostra intelligenza, che confida in
questo contatto reso possibile dall'amore per Dio, sarà trasformata proprio da questo contatto,
diventando capace non di vederlo - questo è per il cielo - ma di sentirsi alla sua presenza, di
amare la notte del suo mistero. "Credere nella nostra fede" (padre Maria Eugenio del Bambino
Gesù) diventa l'atteggiamento fondamentale attraverso il quale esprimiamo il nostro amore per
Dio.
La certezza dell'amore divino che si offre a noi può restare ferma e sicura nel mezzo
dell'agitazione, della notte, nel cuore del dubbio interiore. L'orazione è un combattimento da cui
Dio uscirà vincitore, se gli diamo la fiducia della nostra fede. Questa fiducia nella debolezza e
nell'impotenza attira l'azione di Dio. Lo Spirito Santo, la nostra guida interiore, viene a
soccorrerci, "perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare" (Rm 8,26). La
sua azione a poco a poco scende sulle nostre facoltà, sui nostri sensi stessi. Placa, paralizza
l'intelligenza, colpisce la volontà, mantiene egli stesso il contatto con il cespuglio ardente. Ci
insegna la mansuetudine, la perseveranza. Crea in noi un atteggiamento di semplicità estrema,
l'atteggiamento di fede viva che ci permette di dissetarci alla fonte della vita divina non più a
piccoli sorsi, come quando compiamo da soli un atto di fede, ma a grandi sorsi. La preghiera,
sostenuta dall'intervento dello Spirito Santo, diventa contemplazione. Forse non ci accorgiamo
di nulla, forse abbiamo l'impressione di non fare nulla e di non vedere nulla. Ma noi siamo là,
Dio è là. Il contatto è stabilito, la vita divina ci è concessa. La nostra trasformazione si compie.
L'amore si fa più grande e la "luce risplende sotto i passi di colui che prega" (padre Maria
Eugenio del Bambino Gesù).
Il Concilio Vaticano II ci ricorda che una vita cristiana autentica esige, oggi più che mai, "un
continuo esercizio della fede, della speranza e della carità" (Decreto sull'apostolato dei laici,
n.4).
L'orazione, in quanto si pone al livello più profondo del dinamismo della grazia santificante e in
quanto è un contatto vivente concesso da Dio, sembra oggi divenuta necessaria per chi voglia
adempiere nel mondo la missione di testimonianza a cui lo consacra il battesimo. La semplicità
dell'orazione la rende universale. Essa riconosce e assicura al Dio vivente il primo posto nella
vita quotidiana. Invita e incoraggia al dono di sé ai fratelli. Spinge ad amare la Chiesa, in cui
Gesù Cristo si dà nell'Eucaristia, sacramento dell'Amore, "mistero della fede".
ISTITUTO NOTRE-DAME DE VIE
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