JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Mc 9,2-10" La Trasfigurazione
1 marzo 2015 | 2a Domenica - T. Quaresima B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Mc 9,2-10
Riconosciuto come Cristo ma non accettata ancora la sua croce dai suoi discepoli, Gesù sale ad un monte con tre di essi e lascia loro vedere, momentaneamente, la sua vera identità.
L'esperienza è tanto piacevole che Pietro si dimentica di sé e dei suoi compagni per ammirare solo Gesù ed i suoi compagni: è disposto a vivere all'intemperie pur di prolungare quello che vive. La voce di Dio interrompe il suo progetto ed i suoi sogni: riconoscendolo come Figlio caro, Dio vuole che sia obbedito; non sono i sentimenti, per buoni che siano, bensì l'obbedienza a Dio ciò che deve suscitare la contemplazione di Gesù. Seguirlo è imperativo divino; ed i tre discepoli ritorneranno alla realtà e alla pianura, con una nuova conoscenza ma senza comprenderla. Fino a che Gesù non risusciti tra i morti non riusciranno a comprendere quello che hanno vissuto: né la convivenza continua né una visione occasionale fecero dei seguaci di Gesù dei migliori discepoli, ma solo l'esperienza della sua resurrezione. Nel frattempo, più che dedicarsi ad invidiare Pietro, per quello che poté vedere e sentire, potremmo impegnarci a rimanere estasiati con Gesù, senza smettere di guardarlo, senza smettere di guardare Lui.
In quel tempo
2 Gesù portò Pietro, Giacomo e Giovanni, su una montagna, e si trasfigurò davanti a loro. 3I suoi vestiti divennero di un bianco splendente, come nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderli tale. 4E apparvero loro Elia e Mosè che conversavano con Gesù. 5 Allora Pietro prese la parola e disse a Gesù:
"Maestro. E' bello per noi stare qui! Facciamo tre tende, una per te, un'altra per Mosè ed un'altra per Elia."
6 Erano spaventati e non sapeva quello che diceva.
7 Si formò una nuvola che li coprì ed uscì una voce dalla nuvola:
"Questo è il mio Figlio amato; ascoltatelo."
8 All'improvviso, guardando intorno, non videro più nessuno oltre Gesù, solo con essi.
9 Mentre scendevano dalla montagna, Gesù comandò loro: Non dite a nessuno quello che avete visto fino a che il Figlio dell'Uomo resusciti di tra i morti.
10 Ed essi tennero fra loro la cosa e discutevano che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
1. LEGGERE:
Capire quello che dice il testo e come lo dice
Solo sei giorni dopo la confessione di Pietro (Mc 8,27), Gesù porta con sé tre dei suoi discepoli su un monte: scegliendosi i suoi compagni, li privilegia non già davanti alla gente bensì, soprattutto, di fronte al gruppo dei discepoli per presenziare ad un fatto insolito, la trasfigurazione di Gesù grazie ad un'attuazione speciale di Dio: i veggenti riescono a vedere quello che Dio lascia loro vedere, essendo Gesù l'oggetto della sua contemplazione. I discepoli riescono a vederlo in una luce differente che trascende le apparenze alle quali erano abituati: il Gesù che seguono è mostrato loro, con grande meraviglia, divino.
L'evento è narrato velocemente. Quello che più importa non è il portento; in realtà, è narrato per primo (Mc 9,2-4). La trasfigurazione di Gesù dà luogo ad un dialogo continuo che si presenta in tre atti, con diversi protagonisti, ed ognuno, con una presa di posizione come motivo centrale. L'esperienza, unica durante tutto il discepolato, è, oltre il portento, di natura dialogica: importante non è la visione, bensì l'ascolto.
Nella prima scena (Mc 9,4-6), i discepoli assistono alla conversazione di Gesù con Elia e Mosè ed osano chiedere la perpetuazione dell'esperienza (Mc 9,5). L'inaspettata irruzione della nuvola e la voce che rompe la placidità della visione domina la seconda scena (Mc 9,7-8): dal contemplare il Gesù divino i discepoli passano ad ascoltare lo stesso Dio che si presenta come Padre amoroso (Mc 9,7b). Dopo aver sentito la voce di Dio la visione sparisce; nella terza scena, Gesù ed i suoi discepoli sono restituiti, e con una certa asprezza, alla normalità (Mc 9,9-11). Non potranno, li ammonisce Gesù, raccontare quello che hanno visto; né sapranno, aggiunge il cronista, perché ritornano confusi per quanto ha appena detto loro un Gesù, poco divino e molto autoritario.
La visione dei discepoli è descritta con realismo: la bianchezza del vestito è il primo apprezzamento del cambiamento in Gesù; tacendo sul viso radioso (cf. Mt 17,2; Lc 9,29) Marco fa attenzione alla sua bianca figura; una straordinaria bianchezza, divina (Mc 16,5; At 1,10) circonda interamente Gesù. Si risalta la eccezionalità del fatto senza una certa non ingenuità; nessuna mano d'uomo avrebbe potuto imbiancare così un vestito. I paramenti bianchi sono, nella simbologia apocalittica, immagine della vita resuscitata ed incorruttibile (cf Dn 10,5; Ap 3,4; 7,9; 2 Cor 5,4). Quello che i discepoli ammirano non ha origine umana: si insiste nel cambiamento che si è verificato in Gesù senza menzionare la causa; è sottintesa: la mutazione è dono divino. L'esperienza della sua gloria è manifestazione sensibile dell'esaltazione di Cristo che verrà; i discepoli ottengono un'istantanea di quello che è solo futuro: vedono in anticipo, all'inizio del cammino verso Gerusalemme, come sarà il finale.
Lo sguardo dei veggenti si amplia: contemplano Elia e Mosè in dialogo con Gesù. La visione non nasce dalle loro possibilità: il termine utilizzato è tecnico per descrivere l'esperienza pasquale (1 Cor 15,5; Lc 24,34) o le apparizioni angeliche (Lc 1,11; 22,43; At 7,30); è concesso loro di vedere Gesù in compagnia - all'altezza - di due uomini di Dio (Es 34,29.35) due dei suoi intimi che non hanno conosciuto la morte (Esdra 6,26): davanti ai loro occhi Gesù è mostrato appartenente al mondo di Dio vicino a coloro che hanno vinto la morte. Qui non si allude al contenuto della sua conversazione, (non così in Lc 9,31): importa solo il fatto. Mosè come leader e prototipo, Elia come precursore (Mal 3,23-24) accompagnano l'uomo di Dio, quale si è manifestato Gesù per i suoi discepo
2. MEDITARE:
APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Il vangelo di oggi ci ricorda il momento, insolito ma centrale nella vita di Gesù, della rivelazione della sua vera identità a suoi più intimi. Chissà se invidiamo quei discepoli che videro Gesù tanto avvincente, tanto risplendente, profeta tra i profeti, figlio amato di Dio. Perché ad un Gesù tanto divino non sarebbe difficile seguirlo. Di un Gesù così, non era difficile rimanere sedotti. Con un Gesù così tutto ci sembrerebbe bello e, come a Pietro, ci sembrerebbe naturale rimanere con lui, anche tra le intemperie. Ma, allora, come è che non viviamo tanto entusiasmati per Gesù? Perché non ci si trasfigura anche a noi?
Chissà, dobbiamo riconoscere che noi non ci siamo trovati mai con un Gesù tanto abbagliante, con un Signore tanto impressionante, col figlio di Dio tanto vicino. Potremmo illuderci, nonostante tutto, che arrivi anche per noi quel giorno, nel quale ci si manifesti folgorante e vicino, imponente ed a portata di mano, Maestro stupendo e figlio amato di Dio, a paragone col quale tutte le cose e le persone non valgono più i nostri affanni né, molto meno, la nostra attenzione. Mentre ci prepariamo per quel giorno nel quale Egli permetterà che lo scopriamo realmente, possiamo imparare dai discepoli eletti la condizione previa e la conseguenza necessaria di quella scoperta.
Gesù prese con sé i discepoli che lo avevano seguito dall'inizio, quelli che avevano messo la loro fiducia in lui, e li portò in un posto appartato, su una montagna. In questa azione di Gesù è espresso il prerequisito per vedere Gesù trasfigurato: non a degli estranei Gesù si manifestò trasfigurato, bensì a chi lo vedeva tutti i giorni camminare e dormire, mangiare e predicare, pregare e riposare; la continuata convivenza, la familiarità acquisita con Gesù non fu un ostacolo per riconoscere la sua vera identità. Ben al contrario, saranno sempre i discepoli fedeli quelli che potranno avere la sorpresa di scoprire chi è realmente Gesù. Non è che egli non sia sufficientemente trasfigurato, abbastanza divino, per poter sorprenderci un bel giorno. È che non trova discepoli fedeli nel suo ambiente, capaci di rinunciare a tutto ed anteporre tutti, per mostrarsi così come egli è: uno stupendo maestro ed il figlio prediletto di Dio.
Il discepolo di Gesù, precisamente perché è abituato a stare con lui, deve essere aperto a lasciarsi sorprendere continuamente: chi non si meraviglia di lui, chi non lo teme chi non sente voglia di rimanere solo con lui, non è un discepolo degno della sua fiducia, non merita la sua intimità. Se noi ci troviamo tra quei discepoli sfortunati che non si decidono a salire sulla montagna soli con Gesù, possiamo offrirci almeno oggi a lui, presentandoci come volontari per andare lì con lui dove egli voglia portarci: perché sarà lì, dove si manifesterà come è, meraviglioso maestro e figlio amato di Dio. E questo ci basterà, come bastò a Pietro. Dimenticheremo gli sforzi fatti e le pene vissute; le scarse confessioni di fede e, perfino, qualche dura sgridata di Gesù. Vederlo come realmente è ci basterà per essere felici, senza importarci delle rinunce che abbiamo fatto. Vederlo come è realmente ci farà generosi e penseremo di più a badare a lui più che a noi stessi.
E la conseguenza ovvia di questo incontro sarà il sentirci dire che dobbiamo, soprattutto, ascoltare solo Gesù: tutto quello che abbiamo potuto conoscere e sperimentare, sarà meno importante. Chi ha scoperto Gesù, scopre l'obbligo di soddisfarlo, di seguirlo, di ubbidirgli. Gesù deve essere l'unico punto di riferimento del discepolo che l'ha visto così come è: chi si è entusiasmato con lui una sola volta, rimane sempre entusiasmato di lui; non possiamo ridurre la nostra vita cristiana all'ascolto della sua parola una volta a settimana: Dio stesso, direttamente, ha imposto sempre ai discepoli l'ascolto del suo Figlio amato. Chi vuole rimanere con Gesù è obbligato a rimanere in ascolto. Non c'è un altro modo affinché si trasformi in quell'uomo affascinante che videro Pietro e gli altri due discepoli.
Dobbiamo, dunque, domandarci se non sarà precisamente perché non siamo fedeli a Gesù, perché non l'accompagniamo dove egli va, perché non ascoltiamo solamente la sua parola, che non ci è apparso ancora tanto divino come egli è. Ascoltando quello che ci dice, lo scopriremo vicino e stupendo; e ci verrà la voglia da darci appuntamento con lui, benché non abbiamo dove ripararci: chi l'ascolta, sa che con lui si sta bene e che non sente necessità di nient'altro; chi riesce a vederlo trasfigurato, non ha tempo per altro se non per contemplarlo. Se Cristo è simpatico a quanti gli ubbidiscono, se è un stupendo signore per i suoi servi, non è difficile trovare la ragione per la quale non siamo ancora alla sua sequela: non ci troviamo ancora tra quelli che egli sceglie per mostrarsi trasfigurato. Se stare con lui non merita nessuno sforzo, è perché lo seguiamo distrattamente.
Ma non ci illudiamo troppo: questa esperienza di vedere Gesù come è, è sempre breve. "All'improvviso, guardando intorno, non videro più nessuno fuorché Gesù. E scesero con lui dalla montagna". Le esperienze belle con Gesù sono reali, ma rare; profonde, ma brevi; ci sono certamente, ma durano sempre poco. È nella relazione quotidiana con Gesù, col Gesù di sempre, tra i dubbi e le resistenze di ogni giorno, che i discepoli imparano ad ascoltare la sua voce. La fede si vive e cresce nel dubbio. La fedeltà si prova quando è possibile la tentazione o il tradimento: i discepoli che videro Gesù trasfigurato, tornarono subito a vederlo tanto ordinario come era tutti i giorni. Ma sapevano che potevano contare che in qualunque giorno potevano un'altra volta vederselo tanto divino come in realtà era. Essi lo sapevano e vissero ascoltandolo. Ascoltiamo Gesù, riempiamolo delle nostre attenzioni, atteniamoci alle sue esigenze: finiremo anche noi un giorno per sperimentare la meraviglia che è Gesù per tutti coloro che lo seguono e gli ubbidiscono. Viviamo desiderandolo, mentre continuiamo ad obbedirgli. Il giorno arriverà che lo contempleremo divino.
JUAN J. BARTOLOME sdb
LECTIO DIVINA: Mc 9,2-10
Riconosciuto come Cristo ma non accettata ancora la sua croce dai suoi discepoli, Gesù sale ad un monte con tre di essi e lascia loro vedere, momentaneamente, la sua vera identità.
L'esperienza è tanto piacevole che Pietro si dimentica di sé e dei suoi compagni per ammirare solo Gesù ed i suoi compagni: è disposto a vivere all'intemperie pur di prolungare quello che vive. La voce di Dio interrompe il suo progetto ed i suoi sogni: riconoscendolo come Figlio caro, Dio vuole che sia obbedito; non sono i sentimenti, per buoni che siano, bensì l'obbedienza a Dio ciò che deve suscitare la contemplazione di Gesù. Seguirlo è imperativo divino; ed i tre discepoli ritorneranno alla realtà e alla pianura, con una nuova conoscenza ma senza comprenderla. Fino a che Gesù non risusciti tra i morti non riusciranno a comprendere quello che hanno vissuto: né la convivenza continua né una visione occasionale fecero dei seguaci di Gesù dei migliori discepoli, ma solo l'esperienza della sua resurrezione. Nel frattempo, più che dedicarsi ad invidiare Pietro, per quello che poté vedere e sentire, potremmo impegnarci a rimanere estasiati con Gesù, senza smettere di guardarlo, senza smettere di guardare Lui.
In quel tempo
2 Gesù portò Pietro, Giacomo e Giovanni, su una montagna, e si trasfigurò davanti a loro. 3I suoi vestiti divennero di un bianco splendente, come nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderli tale. 4E apparvero loro Elia e Mosè che conversavano con Gesù. 5 Allora Pietro prese la parola e disse a Gesù:
"Maestro. E' bello per noi stare qui! Facciamo tre tende, una per te, un'altra per Mosè ed un'altra per Elia."
6 Erano spaventati e non sapeva quello che diceva.
7 Si formò una nuvola che li coprì ed uscì una voce dalla nuvola:
"Questo è il mio Figlio amato; ascoltatelo."
8 All'improvviso, guardando intorno, non videro più nessuno oltre Gesù, solo con essi.
9 Mentre scendevano dalla montagna, Gesù comandò loro: Non dite a nessuno quello che avete visto fino a che il Figlio dell'Uomo resusciti di tra i morti.
10 Ed essi tennero fra loro la cosa e discutevano che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
1. LEGGERE:
Capire quello che dice il testo e come lo dice
Solo sei giorni dopo la confessione di Pietro (Mc 8,27), Gesù porta con sé tre dei suoi discepoli su un monte: scegliendosi i suoi compagni, li privilegia non già davanti alla gente bensì, soprattutto, di fronte al gruppo dei discepoli per presenziare ad un fatto insolito, la trasfigurazione di Gesù grazie ad un'attuazione speciale di Dio: i veggenti riescono a vedere quello che Dio lascia loro vedere, essendo Gesù l'oggetto della sua contemplazione. I discepoli riescono a vederlo in una luce differente che trascende le apparenze alle quali erano abituati: il Gesù che seguono è mostrato loro, con grande meraviglia, divino.
L'evento è narrato velocemente. Quello che più importa non è il portento; in realtà, è narrato per primo (Mc 9,2-4). La trasfigurazione di Gesù dà luogo ad un dialogo continuo che si presenta in tre atti, con diversi protagonisti, ed ognuno, con una presa di posizione come motivo centrale. L'esperienza, unica durante tutto il discepolato, è, oltre il portento, di natura dialogica: importante non è la visione, bensì l'ascolto.
Nella prima scena (Mc 9,4-6), i discepoli assistono alla conversazione di Gesù con Elia e Mosè ed osano chiedere la perpetuazione dell'esperienza (Mc 9,5). L'inaspettata irruzione della nuvola e la voce che rompe la placidità della visione domina la seconda scena (Mc 9,7-8): dal contemplare il Gesù divino i discepoli passano ad ascoltare lo stesso Dio che si presenta come Padre amoroso (Mc 9,7b). Dopo aver sentito la voce di Dio la visione sparisce; nella terza scena, Gesù ed i suoi discepoli sono restituiti, e con una certa asprezza, alla normalità (Mc 9,9-11). Non potranno, li ammonisce Gesù, raccontare quello che hanno visto; né sapranno, aggiunge il cronista, perché ritornano confusi per quanto ha appena detto loro un Gesù, poco divino e molto autoritario.
La visione dei discepoli è descritta con realismo: la bianchezza del vestito è il primo apprezzamento del cambiamento in Gesù; tacendo sul viso radioso (cf. Mt 17,2; Lc 9,29) Marco fa attenzione alla sua bianca figura; una straordinaria bianchezza, divina (Mc 16,5; At 1,10) circonda interamente Gesù. Si risalta la eccezionalità del fatto senza una certa non ingenuità; nessuna mano d'uomo avrebbe potuto imbiancare così un vestito. I paramenti bianchi sono, nella simbologia apocalittica, immagine della vita resuscitata ed incorruttibile (cf Dn 10,5; Ap 3,4; 7,9; 2 Cor 5,4). Quello che i discepoli ammirano non ha origine umana: si insiste nel cambiamento che si è verificato in Gesù senza menzionare la causa; è sottintesa: la mutazione è dono divino. L'esperienza della sua gloria è manifestazione sensibile dell'esaltazione di Cristo che verrà; i discepoli ottengono un'istantanea di quello che è solo futuro: vedono in anticipo, all'inizio del cammino verso Gerusalemme, come sarà il finale.
Lo sguardo dei veggenti si amplia: contemplano Elia e Mosè in dialogo con Gesù. La visione non nasce dalle loro possibilità: il termine utilizzato è tecnico per descrivere l'esperienza pasquale (1 Cor 15,5; Lc 24,34) o le apparizioni angeliche (Lc 1,11; 22,43; At 7,30); è concesso loro di vedere Gesù in compagnia - all'altezza - di due uomini di Dio (Es 34,29.35) due dei suoi intimi che non hanno conosciuto la morte (Esdra 6,26): davanti ai loro occhi Gesù è mostrato appartenente al mondo di Dio vicino a coloro che hanno vinto la morte. Qui non si allude al contenuto della sua conversazione, (non così in Lc 9,31): importa solo il fatto. Mosè come leader e prototipo, Elia come precursore (Mal 3,23-24) accompagnano l'uomo di Dio, quale si è manifestato Gesù per i suoi discepo
2. MEDITARE:
APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA
Il vangelo di oggi ci ricorda il momento, insolito ma centrale nella vita di Gesù, della rivelazione della sua vera identità a suoi più intimi. Chissà se invidiamo quei discepoli che videro Gesù tanto avvincente, tanto risplendente, profeta tra i profeti, figlio amato di Dio. Perché ad un Gesù tanto divino non sarebbe difficile seguirlo. Di un Gesù così, non era difficile rimanere sedotti. Con un Gesù così tutto ci sembrerebbe bello e, come a Pietro, ci sembrerebbe naturale rimanere con lui, anche tra le intemperie. Ma, allora, come è che non viviamo tanto entusiasmati per Gesù? Perché non ci si trasfigura anche a noi?
Chissà, dobbiamo riconoscere che noi non ci siamo trovati mai con un Gesù tanto abbagliante, con un Signore tanto impressionante, col figlio di Dio tanto vicino. Potremmo illuderci, nonostante tutto, che arrivi anche per noi quel giorno, nel quale ci si manifesti folgorante e vicino, imponente ed a portata di mano, Maestro stupendo e figlio amato di Dio, a paragone col quale tutte le cose e le persone non valgono più i nostri affanni né, molto meno, la nostra attenzione. Mentre ci prepariamo per quel giorno nel quale Egli permetterà che lo scopriamo realmente, possiamo imparare dai discepoli eletti la condizione previa e la conseguenza necessaria di quella scoperta.
Gesù prese con sé i discepoli che lo avevano seguito dall'inizio, quelli che avevano messo la loro fiducia in lui, e li portò in un posto appartato, su una montagna. In questa azione di Gesù è espresso il prerequisito per vedere Gesù trasfigurato: non a degli estranei Gesù si manifestò trasfigurato, bensì a chi lo vedeva tutti i giorni camminare e dormire, mangiare e predicare, pregare e riposare; la continuata convivenza, la familiarità acquisita con Gesù non fu un ostacolo per riconoscere la sua vera identità. Ben al contrario, saranno sempre i discepoli fedeli quelli che potranno avere la sorpresa di scoprire chi è realmente Gesù. Non è che egli non sia sufficientemente trasfigurato, abbastanza divino, per poter sorprenderci un bel giorno. È che non trova discepoli fedeli nel suo ambiente, capaci di rinunciare a tutto ed anteporre tutti, per mostrarsi così come egli è: uno stupendo maestro ed il figlio prediletto di Dio.
Il discepolo di Gesù, precisamente perché è abituato a stare con lui, deve essere aperto a lasciarsi sorprendere continuamente: chi non si meraviglia di lui, chi non lo teme chi non sente voglia di rimanere solo con lui, non è un discepolo degno della sua fiducia, non merita la sua intimità. Se noi ci troviamo tra quei discepoli sfortunati che non si decidono a salire sulla montagna soli con Gesù, possiamo offrirci almeno oggi a lui, presentandoci come volontari per andare lì con lui dove egli voglia portarci: perché sarà lì, dove si manifesterà come è, meraviglioso maestro e figlio amato di Dio. E questo ci basterà, come bastò a Pietro. Dimenticheremo gli sforzi fatti e le pene vissute; le scarse confessioni di fede e, perfino, qualche dura sgridata di Gesù. Vederlo come realmente è ci basterà per essere felici, senza importarci delle rinunce che abbiamo fatto. Vederlo come è realmente ci farà generosi e penseremo di più a badare a lui più che a noi stessi.
E la conseguenza ovvia di questo incontro sarà il sentirci dire che dobbiamo, soprattutto, ascoltare solo Gesù: tutto quello che abbiamo potuto conoscere e sperimentare, sarà meno importante. Chi ha scoperto Gesù, scopre l'obbligo di soddisfarlo, di seguirlo, di ubbidirgli. Gesù deve essere l'unico punto di riferimento del discepolo che l'ha visto così come è: chi si è entusiasmato con lui una sola volta, rimane sempre entusiasmato di lui; non possiamo ridurre la nostra vita cristiana all'ascolto della sua parola una volta a settimana: Dio stesso, direttamente, ha imposto sempre ai discepoli l'ascolto del suo Figlio amato. Chi vuole rimanere con Gesù è obbligato a rimanere in ascolto. Non c'è un altro modo affinché si trasformi in quell'uomo affascinante che videro Pietro e gli altri due discepoli.
Dobbiamo, dunque, domandarci se non sarà precisamente perché non siamo fedeli a Gesù, perché non l'accompagniamo dove egli va, perché non ascoltiamo solamente la sua parola, che non ci è apparso ancora tanto divino come egli è. Ascoltando quello che ci dice, lo scopriremo vicino e stupendo; e ci verrà la voglia da darci appuntamento con lui, benché non abbiamo dove ripararci: chi l'ascolta, sa che con lui si sta bene e che non sente necessità di nient'altro; chi riesce a vederlo trasfigurato, non ha tempo per altro se non per contemplarlo. Se Cristo è simpatico a quanti gli ubbidiscono, se è un stupendo signore per i suoi servi, non è difficile trovare la ragione per la quale non siamo ancora alla sua sequela: non ci troviamo ancora tra quelli che egli sceglie per mostrarsi trasfigurato. Se stare con lui non merita nessuno sforzo, è perché lo seguiamo distrattamente.
Ma non ci illudiamo troppo: questa esperienza di vedere Gesù come è, è sempre breve. "All'improvviso, guardando intorno, non videro più nessuno fuorché Gesù. E scesero con lui dalla montagna". Le esperienze belle con Gesù sono reali, ma rare; profonde, ma brevi; ci sono certamente, ma durano sempre poco. È nella relazione quotidiana con Gesù, col Gesù di sempre, tra i dubbi e le resistenze di ogni giorno, che i discepoli imparano ad ascoltare la sua voce. La fede si vive e cresce nel dubbio. La fedeltà si prova quando è possibile la tentazione o il tradimento: i discepoli che videro Gesù trasfigurato, tornarono subito a vederlo tanto ordinario come era tutti i giorni. Ma sapevano che potevano contare che in qualunque giorno potevano un'altra volta vederselo tanto divino come in realtà era. Essi lo sapevano e vissero ascoltandolo. Ascoltiamo Gesù, riempiamolo delle nostre attenzioni, atteniamoci alle sue esigenze: finiremo anche noi un giorno per sperimentare la meraviglia che è Gesù per tutti coloro che lo seguono e gli ubbidiscono. Viviamo desiderandolo, mentre continuiamo ad obbedirgli. Il giorno arriverà che lo contempleremo divino.
JUAN J. BARTOLOME sdb
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