Abbazia Santa Maria di Pulsano Lectio domenica «della resurrezione del signore» Anno B
Evangelo della Veglia: Mc 16,1-8
Paolo con un grido in cui vibra tutta la sua anima mossa dalla sua fede afferma in 1 Cor 15,12-13 e 20:
«Se si predica che Cristo fu risvegliato dai morti,
come dicono alcuni che non esiste resurrezione dei morti?
Se resurrezione dei morti non esiste, neppure Cristo fu risvegliato,
ma se Cristo non fu risvegliato, vuota è quindi la predicazione nostra,
vuota anche la fede vostra…
Ma ora, Cristo fu risvegliato dai morti, Primizia dei dormienti!».
La veglia di oggi sempre ci fa mettere, e per “tutto l’anno”, al centro della predicazione della Chiesa e della fede di tutti i fedeli Cristo Signore con la sua Resurrezione. Come è professato dal “Credo” battesimale. Tristemente e senza fare processi per colpe la Resurrezione del Signore nostro nello Spirito Santo per la gloria del Padre e per l’umana redenzione da moltissimo tempo non è più il centro della predicazione, della teologia e neppure nel senso liturgico comune.
Predicazione, teologia e senso comune senza il loro centro nella Resurrezione sono produttori di una terminologia e di una vita decentrata e quindi malata senza saperlo: «Dimmi come parli e ti dirò chi sei».
I riti orientali qui un poco si salvano perché preservano gelosamente la Resurrezione, il saluto è «Cristo è Risorto» e la Domenica è chiamata “Resurrezione” ed è celebrata da lunghe ufficiature di Resurrezione.
Dell’Evangelo della Resurrezione secondo i 3 Cicli, si proclamano Mt 28,1-10; Mc 16,1-8; Lc 24,1-12. Purtroppo, per l’unica volta nell’anno.
L’uso immemoriale del Rito bizantino è proclamare l’Evangelo della Resurrezione (secondo un ordine di 11 pericope, gli «Evangeli resurrezionali mattutini») al solenne Ufficio del Mattutino domenicale.
Nel Rito romano gli Evangeli della Resurrezione si possono proclamare la Domenica, tuttavia (purtroppo) solo a piacimento, durante l’Ora della lettura, dopo il Te Deum, con un elenco apposito di 8 pericope dato in appendice al Libro delle Ore, e su questo si può anche tenere l’omelia (vedi IGLH 73; quindi mai! Per la nota legge liturgica del “ribasso o della minor fatica”!).
Sarebbe ottima pratica, ammessa dalle norme, di proclamare tali Evangeli come pericope a scelta al Vespro domenicale con il popolo e così pure alle Lodi domenicali sempre con il popolo. E con l’opportuna omelia, sempre consigliata quando il Vespro e le Lodi, il «cardine della preghiera della Chiesa», si celebrano con il popolo.
Il racconto della visita delle donne alla tomba nella versione offerta dall'evangelo di Marco è molto particolare. L'evangelista propone infatti un testo che si chiude sul loro silenzio e la loro paura (cf. v. 8), una versione sentita come imbarazzante, dal momento che ben presto a quello che nei manoscritti originali è l'ultimo versetto dell'evangelo (il v. 8 del c. 16) si sono aggiunti dei complementi: un finale "breve" e un altro detto "lungo".
Di fronte a narrazioni lunghe e circostanziate dei 4 Evangeli, quella della Resurrezione è stringata, per non dire impacciata nella descrizione e striminzita nella spiegazione mancata. Se si osserva dai testi, in ordine cronologico:
- Mt 28,1-10: ossia 10 versetti;
- Lc 24,1-12: ossia 12 versetti;
- Mc 16,1-8: ossia 8 versetti;
- Gv 20,1-10: ossia 10 versetti,
per il totale di 40 versetti, non coordinati tra essi, non accordati, anzi pieni di dati diversi e perfino contraddittori, come 1 o 2 Angeli, oppure 1 o 2 Giovani; le Donne corsero dai discepoli, oppure nulla dissero per paura. Proprio questo groviglio impacciato di testimonianze è tuttavia garanzia di autenticità e veridicità.
Per il complesso immane delle Letture e dell’eucologia della Veglia della Resurrezione nella Notte santa si rimanda a quanto detto e scritto in altre occasioni o ad altri interventi, qui della Veglia nel Ciclo B si commenta solo l’Evangelo.
Esaminiamo il brano
v. 1 - «Passato il sabato»: Il sabato terminava attorno alle 18,00, la sera dello stesso giorno. A questo punto i negozi potevano essere aperti e le donne potevano andare a comprare gli arómata (unguenti, profumi aromatici, balsami) con cui trattare il corpo di Gesù. Lo scopo principale di questi aromata era quello di coprire l'odore della decomposizione.
Una piccola nota sulla data della Pasqua di quest’anno 5 aprile 2015: se si riflette, la Resurrezione come “fatto” avvenne circa alle 5-6 del mattino, il giorno 9 aprile dell’anno 30 d. C., data matematica calcolata dall’astronomia, il 1° giorno della settimana ebraica, la “Domenica” della nuova era.
«Maria di Màgdala... Salome»: Queste tre donne sono anche testimoni della morte di Gesù secondo 15,40. Le due Marie sono inoltre testimoni della sepoltura di Gesù secondo 15,47. La seconda Maria (la «madre di Giacomo») presumibilmente è la stessa «madre di Ioses» di 15,47, anche se l'alternanza dei nomi è piuttosto strana.
«per andare a ungere il corpo di Gesù»: Per il costume ebraico prima di ungere il cadavere questi andava lavato. Nel racconto di Marco, non era stato possibile lavare e ungere il corpo di Gesù a causa dell'urgenza di seppellirlo prima dell'inizio del sabato (ma vedi Gv 19,39-40), e perciò il gesto dell'anonima donna che ha unto il capo di Gesù in 14,3-9 è stato interpretato come un'anticipazione e un sostitutivo: «Essa... ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura» (14,8).
2 - «Di buon mattino il primo giorno della settimana... al levar del sole»: Vista la propensione di Marco per le espressioni duplicate, le due indicazioni di tempo probabilmente vogliono dire la stessa cosa, ossia attorno alle 6,00 della domenica mattina. Il verbo erchontai (lett. «vengono») è al presente storico, un altro esempio della costruzione cara a Marco che si ripete in 16,4 (lett. «vedono») e in 16,6 (lett. «egli dice»).
Protagoniste di questa scena iniziale sono dunque le donne che erano ai piedi della croce. Esse prendono in un certo senso il posto dei discepoli fuggiti (cf. 14,50), non soltanto perché si attivano (ci sono almeno quindici verbi in questi pochi versetti per esprimere le loro azioni e i loro sentimenti), ma anche perché ripropongono l'atteggiamento dei fuggitivi:
1. la paura (cf. 16,8 in parallelo a 4,41)
2. la fuga (cf. 16,8 in parallelo a 14,50).
Di tutti coloro che servivano e seguivano Gesù quando era in Galilea, restavano soltanto loro, e comunque guardavano solo "da lontano" (apò makróthen: 15,40).
In questi versetti vi è qualcosa di significativo se guardiamo attentamente anche a tutto l'evangelo di Marco nel suo insieme: queste donne incerte e spaventate sono le uniche che potranno testimoniare che esiste effettivamente una relazione tra il predicatore del Regno, guaritore di folle, crocifisso e morto miserabilmente su una croce, e colui del quale si constata l'assenza nella tomba. È impressionante il contrasto tra ciò che costituisce il cuore della fede cristiana (il fatto che il predicatore di Nazaret e il Cristo risorto siano una sola persona) e le prime a testimoniarlo, ad attestarne la verità, delle donne impaurite e silenziose:
a. chi oserà dire che Dio non si è assunto tutti i rischi della condizione umana legando il destino dell'Evangelo a questa testimonianza?
b. La verità dell'Evangelo, la sua forza, ciò che ne costituisce l'essenza - la vittoria di Cristo sulla morte - è qui stranamente vincolata, quasi sottomessa, a un'umanità fallibile, peccatrice e incostante.
v. 3 - «Chi farà rotolare via la pietra...?»: C'è da chiedersi perché le donne non ci abbiano pensato prima, tanto più che le due Marie secondo 15,47 avevano assistito alla sepoltura e avevano visto la pietra. Ma il fatto che si pongano questo problema mentre sono già avviate verso il sepolcro contribuisce a preparare meglio la loro sorpresa quando giungono sul posto. Per la difficoltà di rotolare via la pietra occorre ricordare che lo scopo era quello di evitare i furti per questo essa era una grossa macina circolare che veniva fatta scorrere in una scalanatura intagliata nella pietra.
v. 4 - «la pietra era già stata fatta rotolare»: Il dilemma delle donne era già stato risolto. Non è detto però chi abbia fatto rotolare via la pietra. E stato forse il «giovane» di 16,5, il Gesù risorto, o Dio?
La domanda delle donne "Chi ci rotolerà la pietra della porta del sepolcro?" del v. 3 ha veicolato un'interpretazione particolare della morte di Gesù. Infatti si vuole aprire la tomba non perché il morto si risvegli, ma perché un corpo venga unto (cosa che, però, simbolicamente, è già stata fatta: cf. 14,8). Dietro la domanda delle donne si insinua certo l'attesa di qualcosa, che non è neanche più condivisa dai discepoli che si sono dati alla fuga, ma che non è attesa della resurrezione.
«Benché fosse molto grande»: Questa «riflessione» sarebbe più logico se fosse stata messa alla fine di 16,3.
«Entrate nel sepolcro»: Questa descrizione conferma che il sepolcro di cui si è parlato in 15,46 era una cella mortuaria scavata nella roccia.
«un giovane... vestito d'una veste bianca»: Secondo Matteo questo giovane è un angelo (vedi Mt 28,5), e probabilmente questo è ciò che intende dire anche Marco; Marco però in realtà lo chiama neaniskos («un giovane»), lo stesso termine usato per il giovane vestito solo con un lenzuolo (sindón) in 14,51.
A queste donne senza speranza un giovane vestito di bianco (segno della sua origine celeste, cf. 9,3) appare in fondo alla tomba e le incarica di annunciare la notizia: Gesù di Nazaret, il "Crocifisso", è risorto. Questo "giovane" deve essere accostato a quello di 14,51-52? E quello che suggeriscono alcuni esegeti. Se è proprio lui quello che si ritrova ora vestito di bianco, al mattino di pasqua, Marco ci consegna allora una lettura dell'esperienza di fede che per certi versi ricorda quella del padre del ragazzo epilettico (cf. 9,24). La fede si esprime proprio al cuore del dubbio e del tradimento, quando vengono assunti. Qualunque sia l'identità del giovane, il suo messaggio è chiaro: Gesù non è prigioniero della morte. Colui che le donne venivano a ungere non è più là.
Unica prova: l'assenza del suo corpo. Non un'apparizione, né un sudario, solo l'attestazione che manca qualcosa, manca quel corpo che esse erano venute a onorare. Ed è questo che bisogna testimoniare ai discepoli. Non una "prova" materiale, ma il fatto che la tomba sia aperta e che lui sia assente dal luogo in cui lo si cerca. Non c'è più.
«ed ebbero paura»: Per un precedente uso di ekthambeisthai in Marco vedi 9,15 (per lo stupore della folla all'arrivo di Gesù sulla scena) e 14,33 (per la prostrazione di Gesù nel Getsemani). Il termine denota una profonda emozione. Le donne non erano preparate a trovare il sepolcro aperto, un essere vivente (forse un angelo?) all'interno e il corpo di Gesù scomparso.
«Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso»: Gesù era stato chiamato «il Nazareno» altre tre volte in precedenza nell’Evangelo di Marco:
1. dallo spirito impuro nella sinagoga di Cafarnao (1,23),
2. dal cieco Bartimeo (10,47)
3. dalla serva del sommo sacerdote che interrogava Pietro (14,67).
Il verbo stauroun («crocifiggere») è stato usato diverse volte nel cap. 15 (vedi i vv. 13,14,15,20,24,25,27). Qui è usato come participio («colui che è stato crocifisso») ed ha la connotazione di una confessione di fede dei primi cristiani (vedi 1 Cor 1,23; 2,2; Gal 3,1).
«È risorto, non è qui»: La spiegazione data dal giovane per il sepolcro vuoto è che Gesù è risorto dai morti. L'aoristo passivo ègerthe («è stato fatto risorgere») è un passivo teologico o divino (ossia, Dio l'ha fatto risorgere dai morti). Per precedenti usi di ègerthe in Marco si veda 2,12; 6,14.16.
«Ecco il luogo dove l’avevano posto»: Dobbiamo immaginarci il «giovane» che punta il dito verso il ripiano sul quale era stato posto il corpo di Gesù (vedi 15,46-47).
v. 7 - «Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro»: Alle donne viene dato l'incarico (come negli altri evangeli) di portare il messaggio della risurrezione di Gesù agli Undici (ancora una volta con un accenno in particolare a Pietro). Ma se 16,8 segna la fine dell’Evangelo di Marco com'era originariamente, le donne non svolgono affatto il compito loro assegnato.
«Egli vi precederà in Galilea»: Il messaggio speciale affidato alle donne ricorda la profezia fatta da Gesù riguardo a se stesso in 14,28: «ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Notare l'uso del passivo divino nel riferimento alla risurrezione di Gesù («dopo che sarò risorto = risuscitato»). La combinazione di 14,28 e di 16,7 porta il lettore ad aspettarsi il racconto di un'apparizione del Gesù risorto ai suoi discepoli in Galilea (vedi Mt 28,16-20; Gv 21,1-23).
I discepoli lo vedranno in Galilea come egli ha detto (cf. 14,28). Cioè incontreranno Gesù in un luogo che essi conoscono già, dove hanno condiviso con lui tante cose. Ma certamente è con altri occhi che lo vedranno. Là, in Galilea, dopo la passione, è probabile che l'ambiente geografico stesso, i ricordi comuni delle parole ascoltate, delle esperienze vissute insieme, delle guarigioni e degli esorcismi, assumano un senso rinnovato.
I discepoli scopriranno, alla luce della croce reinterpretata dall'annuncio della tomba vuota, che la predicazione iniziale in Galilea (cf. 1,14-15) riveste da quel momento un significato nuovo: il regno di Dio è ormai presente nella persona di Gesù, in quel "crocifisso" che la morte non ha potuto trattenere nei suoi lacci. Infatti la resurrezione non solo non annulla la croce (ormai è come "crocifisso" che egli si fa conoscere), ma non è neanche continuazione di ciò che c'era prima. Opera una rottura nel quotidiano e un rinnovamento dello sguardo sulle realtà più ordinarie.
Del resto non è forse questo che accade alle donne? Esse vedono in modo assolutamente nuovo qualcosa che conoscevano già: sapevano che la tomba era il luogo in cui riposava il corpo di Gesù (cf. 15,47), ma ora essa diventa un luogo assolutamente nuovo e che si presenta con un senso e in una prospettiva radicalmente differenti.
v. 8 - «uscite, fuggirono... piene di spavento e stupore... erano impaurite»: Non è chiaro se Marco intenda dire che la reazione delle donne è stata di puro terrore e spavento oppure di sacro timore davanti al misterioso operato di Dio.
«E non dissero niente a nessuno»: Il doppio negativo oudeni ouden («a nessuno niente») serve a sottolineare il concetto; vedi i doppi negativi in 15,4 e 5 per il silenzio di Gesù davanti a Pilato. Ma questo significa che le donne non hanno detto niente alla gente che incontravano nell'andare da Pietro e dagli altri discepoli? Oppure significa che non hanno riferito il messaggio proprio a nessuno?
«perché erano impaurite»: Il versetto termina con la particella gar («infatti», «perché»), un modo curioso ma non impossibile di terminare un libro. Se questo è il modo in cui l'autore ha voluto che terminasse l’Evangelo di Marco, dobbiamo proprio concludere che rimane «sospeso nel vuoto».
Resta allora da interpretare questo versetto che chiude il racconto con la paura e il silenzio delle donne. Il cristiano sa bene che la paura e il silenzio non hanno avuto l'ultima parola nell'esistenza di queste donne: per certi versi egli stesso ne è la prova. Ora, malgrado questo, Marco ha voluto nel suo evangelo fermarsi su questo tratto. Allora il problema non è cercare di capire ciò che questo ha significato storicamente per quelle donne in quel mattino di pasqua, ma cercare di comprendere che ogni uditore che ascolterà questo racconto è personalmente interpellato da quella paura e da quel silenzio:
1. Innanzitutto, paura e silenzio dicono con forza che l'esperienza della resurrezione non è un'esperienza di autosuggestione: è al cuore della disperazione che nasce l'esperienza pasquale, e tale esperienza non è sinonimo di esaltazione e di negazione della paura.
2. In secondo luogo, la paura delle donne simboleggia la condizione dell'umanità di fronte alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Non è soltanto la paura che nasce da un'apparizione soprannaturale (dopotutto, Gesù non è apparso loro). Qui la paura è l'esito ultimo dello scarto costante, che ha continuato ad approfondirsi, tra ciò che Gesù rivelava di se stesso e ciò che gli uomini comprendevano: si attendevano un re, si è proclamato servo; si aspettavano che riportasse la vittoria, si è manifestato come colui che accetta di perdere la propria vita; si attendevano che fosse forte, si rivela volutamente debole.
Quando alla fine le donne e i discepoli non attendono più nulla, egli si rivela come il Vivente. Ma anche allora, là dove ci si aspetterebbe una manifestazione gloriosa di fronte al mondo che lo ha crocifisso, egli precede i discepoli in Galilea per un cammino da ricominciare!
La paura delle donne, qui, è la paura di ogni essere umano di questo mondo che non comprende che genere di Dio è questo, che lo chiama e lo invita a seguirlo. Ma questa paura non è sinonimo di chiusura e disperazione; infatti è preceduta dalla parola dell'uomo vestito di bianco che invita tutti i discepoli alla fiducia e alla missione. E il paradosso è che Dio continua, in ciascuno degli uditori dell'evangelo, malgrado la sua paura, a chiamare questa umanità fallibile e incapace; il paradosso è che incarica, nella persona di ciascuno di noi oggi, di trasmettere la buona notizia della grazia e del perdono.
L'evangelo non è un racconto di cronaca nera, ma non è neanche un racconto tutto rose e fiori, con il lieto fine rassicurante delle favole. Non è possibile, una volta ascoltata la storia dall'inizio alla fine, uscirne come quando si richiude un romanzo d'amore, mettersi a sognare giorni felici di romantico idillio. Non basta neanche ripassare interiormente la storia e rileggerla a partire dal nuovo fatto intervenuto: la resurrezione; come se si trattasse di un puzzle pazientemente costruito al quale mancava solo un pezzo che ora è in nostro possesso. E la paura delle donne è proprio la prova che un atteggiamento del genere non è possibile.
Si tratta, più radicalmente, di ritornare al punto di partenza della storia di Gesù di Nazaret, ma questa volta cominciando la strada con lui, camminando con lui, divenendo un personaggio della sua storia, che allora diverrà la nostra storia: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto" (v. 7).
Per ogni cristiano, questo ritorno in Galilea è sinonimo di un lavoro di rilettura, di reinterpretazione dell'esistenza di Gesù alla luce della resurrezione. per lui, non vi è altro accesso al Gesù della storia che il Cristo della fede.
Il silenzio delle donne lascia dunque spazio al cristiano, al di là di quella paura che troppo spesso lo paralizza e lo fa tacere, perché a sua volta prenda la parola e testimoni l'Evangelo di Dio. E questo Evangelo, questa buona notizia, è che ciascuno è invitato a incontrare il Risorto là dove egli si rivela all'uomo, sulla via della sua esistenza quotidiana.
Un quotidiano dove il Risorto inscrive una rottura dei determinismi, un punto interrogativo al cuore delle false sicurezze, una rappacificazione nelle tribolazioni, in una parola, l'irruzione della grazia di Dio nella vita dell'uomo.
Christòs anèsti Cristo è Risorto
Alithòs anèsti È veramente Risorto
Vive e regna per tutti i secoli. Amen.
Lunedì 30 marzo 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Paolo con un grido in cui vibra tutta la sua anima mossa dalla sua fede afferma in 1 Cor 15,12-13 e 20:
«Se si predica che Cristo fu risvegliato dai morti,
come dicono alcuni che non esiste resurrezione dei morti?
Se resurrezione dei morti non esiste, neppure Cristo fu risvegliato,
ma se Cristo non fu risvegliato, vuota è quindi la predicazione nostra,
vuota anche la fede vostra…
Ma ora, Cristo fu risvegliato dai morti, Primizia dei dormienti!».
La veglia di oggi sempre ci fa mettere, e per “tutto l’anno”, al centro della predicazione della Chiesa e della fede di tutti i fedeli Cristo Signore con la sua Resurrezione. Come è professato dal “Credo” battesimale. Tristemente e senza fare processi per colpe la Resurrezione del Signore nostro nello Spirito Santo per la gloria del Padre e per l’umana redenzione da moltissimo tempo non è più il centro della predicazione, della teologia e neppure nel senso liturgico comune.
Predicazione, teologia e senso comune senza il loro centro nella Resurrezione sono produttori di una terminologia e di una vita decentrata e quindi malata senza saperlo: «Dimmi come parli e ti dirò chi sei».
I riti orientali qui un poco si salvano perché preservano gelosamente la Resurrezione, il saluto è «Cristo è Risorto» e la Domenica è chiamata “Resurrezione” ed è celebrata da lunghe ufficiature di Resurrezione.
Dell’Evangelo della Resurrezione secondo i 3 Cicli, si proclamano Mt 28,1-10; Mc 16,1-8; Lc 24,1-12. Purtroppo, per l’unica volta nell’anno.
L’uso immemoriale del Rito bizantino è proclamare l’Evangelo della Resurrezione (secondo un ordine di 11 pericope, gli «Evangeli resurrezionali mattutini») al solenne Ufficio del Mattutino domenicale.
Nel Rito romano gli Evangeli della Resurrezione si possono proclamare la Domenica, tuttavia (purtroppo) solo a piacimento, durante l’Ora della lettura, dopo il Te Deum, con un elenco apposito di 8 pericope dato in appendice al Libro delle Ore, e su questo si può anche tenere l’omelia (vedi IGLH 73; quindi mai! Per la nota legge liturgica del “ribasso o della minor fatica”!).
Sarebbe ottima pratica, ammessa dalle norme, di proclamare tali Evangeli come pericope a scelta al Vespro domenicale con il popolo e così pure alle Lodi domenicali sempre con il popolo. E con l’opportuna omelia, sempre consigliata quando il Vespro e le Lodi, il «cardine della preghiera della Chiesa», si celebrano con il popolo.
Il racconto della visita delle donne alla tomba nella versione offerta dall'evangelo di Marco è molto particolare. L'evangelista propone infatti un testo che si chiude sul loro silenzio e la loro paura (cf. v. 8), una versione sentita come imbarazzante, dal momento che ben presto a quello che nei manoscritti originali è l'ultimo versetto dell'evangelo (il v. 8 del c. 16) si sono aggiunti dei complementi: un finale "breve" e un altro detto "lungo".
Di fronte a narrazioni lunghe e circostanziate dei 4 Evangeli, quella della Resurrezione è stringata, per non dire impacciata nella descrizione e striminzita nella spiegazione mancata. Se si osserva dai testi, in ordine cronologico:
- Mt 28,1-10: ossia 10 versetti;
- Lc 24,1-12: ossia 12 versetti;
- Mc 16,1-8: ossia 8 versetti;
- Gv 20,1-10: ossia 10 versetti,
per il totale di 40 versetti, non coordinati tra essi, non accordati, anzi pieni di dati diversi e perfino contraddittori, come 1 o 2 Angeli, oppure 1 o 2 Giovani; le Donne corsero dai discepoli, oppure nulla dissero per paura. Proprio questo groviglio impacciato di testimonianze è tuttavia garanzia di autenticità e veridicità.
Per il complesso immane delle Letture e dell’eucologia della Veglia della Resurrezione nella Notte santa si rimanda a quanto detto e scritto in altre occasioni o ad altri interventi, qui della Veglia nel Ciclo B si commenta solo l’Evangelo.
Esaminiamo il brano
v. 1 - «Passato il sabato»: Il sabato terminava attorno alle 18,00, la sera dello stesso giorno. A questo punto i negozi potevano essere aperti e le donne potevano andare a comprare gli arómata (unguenti, profumi aromatici, balsami) con cui trattare il corpo di Gesù. Lo scopo principale di questi aromata era quello di coprire l'odore della decomposizione.
Una piccola nota sulla data della Pasqua di quest’anno 5 aprile 2015: se si riflette, la Resurrezione come “fatto” avvenne circa alle 5-6 del mattino, il giorno 9 aprile dell’anno 30 d. C., data matematica calcolata dall’astronomia, il 1° giorno della settimana ebraica, la “Domenica” della nuova era.
«Maria di Màgdala... Salome»: Queste tre donne sono anche testimoni della morte di Gesù secondo 15,40. Le due Marie sono inoltre testimoni della sepoltura di Gesù secondo 15,47. La seconda Maria (la «madre di Giacomo») presumibilmente è la stessa «madre di Ioses» di 15,47, anche se l'alternanza dei nomi è piuttosto strana.
«per andare a ungere il corpo di Gesù»: Per il costume ebraico prima di ungere il cadavere questi andava lavato. Nel racconto di Marco, non era stato possibile lavare e ungere il corpo di Gesù a causa dell'urgenza di seppellirlo prima dell'inizio del sabato (ma vedi Gv 19,39-40), e perciò il gesto dell'anonima donna che ha unto il capo di Gesù in 14,3-9 è stato interpretato come un'anticipazione e un sostitutivo: «Essa... ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura» (14,8).
2 - «Di buon mattino il primo giorno della settimana... al levar del sole»: Vista la propensione di Marco per le espressioni duplicate, le due indicazioni di tempo probabilmente vogliono dire la stessa cosa, ossia attorno alle 6,00 della domenica mattina. Il verbo erchontai (lett. «vengono») è al presente storico, un altro esempio della costruzione cara a Marco che si ripete in 16,4 (lett. «vedono») e in 16,6 (lett. «egli dice»).
Protagoniste di questa scena iniziale sono dunque le donne che erano ai piedi della croce. Esse prendono in un certo senso il posto dei discepoli fuggiti (cf. 14,50), non soltanto perché si attivano (ci sono almeno quindici verbi in questi pochi versetti per esprimere le loro azioni e i loro sentimenti), ma anche perché ripropongono l'atteggiamento dei fuggitivi:
1. la paura (cf. 16,8 in parallelo a 4,41)
2. la fuga (cf. 16,8 in parallelo a 14,50).
Di tutti coloro che servivano e seguivano Gesù quando era in Galilea, restavano soltanto loro, e comunque guardavano solo "da lontano" (apò makróthen: 15,40).
In questi versetti vi è qualcosa di significativo se guardiamo attentamente anche a tutto l'evangelo di Marco nel suo insieme: queste donne incerte e spaventate sono le uniche che potranno testimoniare che esiste effettivamente una relazione tra il predicatore del Regno, guaritore di folle, crocifisso e morto miserabilmente su una croce, e colui del quale si constata l'assenza nella tomba. È impressionante il contrasto tra ciò che costituisce il cuore della fede cristiana (il fatto che il predicatore di Nazaret e il Cristo risorto siano una sola persona) e le prime a testimoniarlo, ad attestarne la verità, delle donne impaurite e silenziose:
a. chi oserà dire che Dio non si è assunto tutti i rischi della condizione umana legando il destino dell'Evangelo a questa testimonianza?
b. La verità dell'Evangelo, la sua forza, ciò che ne costituisce l'essenza - la vittoria di Cristo sulla morte - è qui stranamente vincolata, quasi sottomessa, a un'umanità fallibile, peccatrice e incostante.
v. 3 - «Chi farà rotolare via la pietra...?»: C'è da chiedersi perché le donne non ci abbiano pensato prima, tanto più che le due Marie secondo 15,47 avevano assistito alla sepoltura e avevano visto la pietra. Ma il fatto che si pongano questo problema mentre sono già avviate verso il sepolcro contribuisce a preparare meglio la loro sorpresa quando giungono sul posto. Per la difficoltà di rotolare via la pietra occorre ricordare che lo scopo era quello di evitare i furti per questo essa era una grossa macina circolare che veniva fatta scorrere in una scalanatura intagliata nella pietra.
v. 4 - «la pietra era già stata fatta rotolare»: Il dilemma delle donne era già stato risolto. Non è detto però chi abbia fatto rotolare via la pietra. E stato forse il «giovane» di 16,5, il Gesù risorto, o Dio?
La domanda delle donne "Chi ci rotolerà la pietra della porta del sepolcro?" del v. 3 ha veicolato un'interpretazione particolare della morte di Gesù. Infatti si vuole aprire la tomba non perché il morto si risvegli, ma perché un corpo venga unto (cosa che, però, simbolicamente, è già stata fatta: cf. 14,8). Dietro la domanda delle donne si insinua certo l'attesa di qualcosa, che non è neanche più condivisa dai discepoli che si sono dati alla fuga, ma che non è attesa della resurrezione.
«Benché fosse molto grande»: Questa «riflessione» sarebbe più logico se fosse stata messa alla fine di 16,3.
«Entrate nel sepolcro»: Questa descrizione conferma che il sepolcro di cui si è parlato in 15,46 era una cella mortuaria scavata nella roccia.
«un giovane... vestito d'una veste bianca»: Secondo Matteo questo giovane è un angelo (vedi Mt 28,5), e probabilmente questo è ciò che intende dire anche Marco; Marco però in realtà lo chiama neaniskos («un giovane»), lo stesso termine usato per il giovane vestito solo con un lenzuolo (sindón) in 14,51.
A queste donne senza speranza un giovane vestito di bianco (segno della sua origine celeste, cf. 9,3) appare in fondo alla tomba e le incarica di annunciare la notizia: Gesù di Nazaret, il "Crocifisso", è risorto. Questo "giovane" deve essere accostato a quello di 14,51-52? E quello che suggeriscono alcuni esegeti. Se è proprio lui quello che si ritrova ora vestito di bianco, al mattino di pasqua, Marco ci consegna allora una lettura dell'esperienza di fede che per certi versi ricorda quella del padre del ragazzo epilettico (cf. 9,24). La fede si esprime proprio al cuore del dubbio e del tradimento, quando vengono assunti. Qualunque sia l'identità del giovane, il suo messaggio è chiaro: Gesù non è prigioniero della morte. Colui che le donne venivano a ungere non è più là.
Unica prova: l'assenza del suo corpo. Non un'apparizione, né un sudario, solo l'attestazione che manca qualcosa, manca quel corpo che esse erano venute a onorare. Ed è questo che bisogna testimoniare ai discepoli. Non una "prova" materiale, ma il fatto che la tomba sia aperta e che lui sia assente dal luogo in cui lo si cerca. Non c'è più.
«ed ebbero paura»: Per un precedente uso di ekthambeisthai in Marco vedi 9,15 (per lo stupore della folla all'arrivo di Gesù sulla scena) e 14,33 (per la prostrazione di Gesù nel Getsemani). Il termine denota una profonda emozione. Le donne non erano preparate a trovare il sepolcro aperto, un essere vivente (forse un angelo?) all'interno e il corpo di Gesù scomparso.
«Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso»: Gesù era stato chiamato «il Nazareno» altre tre volte in precedenza nell’Evangelo di Marco:
1. dallo spirito impuro nella sinagoga di Cafarnao (1,23),
2. dal cieco Bartimeo (10,47)
3. dalla serva del sommo sacerdote che interrogava Pietro (14,67).
Il verbo stauroun («crocifiggere») è stato usato diverse volte nel cap. 15 (vedi i vv. 13,14,15,20,24,25,27). Qui è usato come participio («colui che è stato crocifisso») ed ha la connotazione di una confessione di fede dei primi cristiani (vedi 1 Cor 1,23; 2,2; Gal 3,1).
«È risorto, non è qui»: La spiegazione data dal giovane per il sepolcro vuoto è che Gesù è risorto dai morti. L'aoristo passivo ègerthe («è stato fatto risorgere») è un passivo teologico o divino (ossia, Dio l'ha fatto risorgere dai morti). Per precedenti usi di ègerthe in Marco si veda 2,12; 6,14.16.
«Ecco il luogo dove l’avevano posto»: Dobbiamo immaginarci il «giovane» che punta il dito verso il ripiano sul quale era stato posto il corpo di Gesù (vedi 15,46-47).
v. 7 - «Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro»: Alle donne viene dato l'incarico (come negli altri evangeli) di portare il messaggio della risurrezione di Gesù agli Undici (ancora una volta con un accenno in particolare a Pietro). Ma se 16,8 segna la fine dell’Evangelo di Marco com'era originariamente, le donne non svolgono affatto il compito loro assegnato.
«Egli vi precederà in Galilea»: Il messaggio speciale affidato alle donne ricorda la profezia fatta da Gesù riguardo a se stesso in 14,28: «ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». Notare l'uso del passivo divino nel riferimento alla risurrezione di Gesù («dopo che sarò risorto = risuscitato»). La combinazione di 14,28 e di 16,7 porta il lettore ad aspettarsi il racconto di un'apparizione del Gesù risorto ai suoi discepoli in Galilea (vedi Mt 28,16-20; Gv 21,1-23).
I discepoli lo vedranno in Galilea come egli ha detto (cf. 14,28). Cioè incontreranno Gesù in un luogo che essi conoscono già, dove hanno condiviso con lui tante cose. Ma certamente è con altri occhi che lo vedranno. Là, in Galilea, dopo la passione, è probabile che l'ambiente geografico stesso, i ricordi comuni delle parole ascoltate, delle esperienze vissute insieme, delle guarigioni e degli esorcismi, assumano un senso rinnovato.
I discepoli scopriranno, alla luce della croce reinterpretata dall'annuncio della tomba vuota, che la predicazione iniziale in Galilea (cf. 1,14-15) riveste da quel momento un significato nuovo: il regno di Dio è ormai presente nella persona di Gesù, in quel "crocifisso" che la morte non ha potuto trattenere nei suoi lacci. Infatti la resurrezione non solo non annulla la croce (ormai è come "crocifisso" che egli si fa conoscere), ma non è neanche continuazione di ciò che c'era prima. Opera una rottura nel quotidiano e un rinnovamento dello sguardo sulle realtà più ordinarie.
Del resto non è forse questo che accade alle donne? Esse vedono in modo assolutamente nuovo qualcosa che conoscevano già: sapevano che la tomba era il luogo in cui riposava il corpo di Gesù (cf. 15,47), ma ora essa diventa un luogo assolutamente nuovo e che si presenta con un senso e in una prospettiva radicalmente differenti.
v. 8 - «uscite, fuggirono... piene di spavento e stupore... erano impaurite»: Non è chiaro se Marco intenda dire che la reazione delle donne è stata di puro terrore e spavento oppure di sacro timore davanti al misterioso operato di Dio.
«E non dissero niente a nessuno»: Il doppio negativo oudeni ouden («a nessuno niente») serve a sottolineare il concetto; vedi i doppi negativi in 15,4 e 5 per il silenzio di Gesù davanti a Pilato. Ma questo significa che le donne non hanno detto niente alla gente che incontravano nell'andare da Pietro e dagli altri discepoli? Oppure significa che non hanno riferito il messaggio proprio a nessuno?
«perché erano impaurite»: Il versetto termina con la particella gar («infatti», «perché»), un modo curioso ma non impossibile di terminare un libro. Se questo è il modo in cui l'autore ha voluto che terminasse l’Evangelo di Marco, dobbiamo proprio concludere che rimane «sospeso nel vuoto».
Resta allora da interpretare questo versetto che chiude il racconto con la paura e il silenzio delle donne. Il cristiano sa bene che la paura e il silenzio non hanno avuto l'ultima parola nell'esistenza di queste donne: per certi versi egli stesso ne è la prova. Ora, malgrado questo, Marco ha voluto nel suo evangelo fermarsi su questo tratto. Allora il problema non è cercare di capire ciò che questo ha significato storicamente per quelle donne in quel mattino di pasqua, ma cercare di comprendere che ogni uditore che ascolterà questo racconto è personalmente interpellato da quella paura e da quel silenzio:
1. Innanzitutto, paura e silenzio dicono con forza che l'esperienza della resurrezione non è un'esperienza di autosuggestione: è al cuore della disperazione che nasce l'esperienza pasquale, e tale esperienza non è sinonimo di esaltazione e di negazione della paura.
2. In secondo luogo, la paura delle donne simboleggia la condizione dell'umanità di fronte alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Non è soltanto la paura che nasce da un'apparizione soprannaturale (dopotutto, Gesù non è apparso loro). Qui la paura è l'esito ultimo dello scarto costante, che ha continuato ad approfondirsi, tra ciò che Gesù rivelava di se stesso e ciò che gli uomini comprendevano: si attendevano un re, si è proclamato servo; si aspettavano che riportasse la vittoria, si è manifestato come colui che accetta di perdere la propria vita; si attendevano che fosse forte, si rivela volutamente debole.
Quando alla fine le donne e i discepoli non attendono più nulla, egli si rivela come il Vivente. Ma anche allora, là dove ci si aspetterebbe una manifestazione gloriosa di fronte al mondo che lo ha crocifisso, egli precede i discepoli in Galilea per un cammino da ricominciare!
La paura delle donne, qui, è la paura di ogni essere umano di questo mondo che non comprende che genere di Dio è questo, che lo chiama e lo invita a seguirlo. Ma questa paura non è sinonimo di chiusura e disperazione; infatti è preceduta dalla parola dell'uomo vestito di bianco che invita tutti i discepoli alla fiducia e alla missione. E il paradosso è che Dio continua, in ciascuno degli uditori dell'evangelo, malgrado la sua paura, a chiamare questa umanità fallibile e incapace; il paradosso è che incarica, nella persona di ciascuno di noi oggi, di trasmettere la buona notizia della grazia e del perdono.
L'evangelo non è un racconto di cronaca nera, ma non è neanche un racconto tutto rose e fiori, con il lieto fine rassicurante delle favole. Non è possibile, una volta ascoltata la storia dall'inizio alla fine, uscirne come quando si richiude un romanzo d'amore, mettersi a sognare giorni felici di romantico idillio. Non basta neanche ripassare interiormente la storia e rileggerla a partire dal nuovo fatto intervenuto: la resurrezione; come se si trattasse di un puzzle pazientemente costruito al quale mancava solo un pezzo che ora è in nostro possesso. E la paura delle donne è proprio la prova che un atteggiamento del genere non è possibile.
Si tratta, più radicalmente, di ritornare al punto di partenza della storia di Gesù di Nazaret, ma questa volta cominciando la strada con lui, camminando con lui, divenendo un personaggio della sua storia, che allora diverrà la nostra storia: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto" (v. 7).
Per ogni cristiano, questo ritorno in Galilea è sinonimo di un lavoro di rilettura, di reinterpretazione dell'esistenza di Gesù alla luce della resurrezione. per lui, non vi è altro accesso al Gesù della storia che il Cristo della fede.
Il silenzio delle donne lascia dunque spazio al cristiano, al di là di quella paura che troppo spesso lo paralizza e lo fa tacere, perché a sua volta prenda la parola e testimoni l'Evangelo di Dio. E questo Evangelo, questa buona notizia, è che ciascuno è invitato a incontrare il Risorto là dove egli si rivela all'uomo, sulla via della sua esistenza quotidiana.
Un quotidiano dove il Risorto inscrive una rottura dei determinismi, un punto interrogativo al cuore delle false sicurezze, una rappacificazione nelle tribolazioni, in una parola, l'irruzione della grazia di Dio nella vita dell'uomo.
Christòs anèsti Cristo è Risorto
Alithòs anèsti È veramente Risorto
Vive e regna per tutti i secoli. Amen.
Lunedì 30 marzo 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano
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