Abbazia Santa Maria di Pulsano Letture patristiche della Domenica «della Resurrezione del Signore» Anno B


Evangelo della Veglia: Mc 16,1-8
1. Siamo come Cristo!
Ieri s`immolava l`agnello e le porte venivano dipinte col sangue e tutto l`Egitto pianse i suoi primogeniti, ma noi restammo immuni, il sangue sulle porte ci
salvò. Oggi lasciamo l`Egitto, il suo Faraone e i suoi feroci prefetti; lasciamo la fabbrica dei mattoni e nessuno ci può impedire di celebrare la festa della nostra liberazione, e celebriamo "non nel vecchio fermento della malizia, ma negli azzimi della sincerità e della verità", poiché non portiamo con noi niente dell`empietà dell`Egitto.
Ieri ero levato in croce con Cristo, oggi son glorificato con lui; ieri morivo con lui, oggi rivivo; ieri venivo seppellito con lui, oggi risorgo. Offriamo, dunque, qualcosa a colui che per noi morì ed è risorto. Forse voi pensate a oro, argento, tessuti, pietre lucide e preziose, tutta roba fragile e mutevole della terra, la maggior parte della quale è in possesso di un qualche schiavo delle cose terrene e di un qualche principe del mondo. Offriamo, invece, noi stessi; questo è il possesso più prezioso per Iddio e il più degno di lui. Diamo all`immagine ciò che conviene all`immagine, riconosciamo la nostra dignità, onoriamo il modello, comprendiamo la forza del mistero e il motivo per cui Cristo è morto.
Siamo come Cristo, perché Cristo s`è fatto come noi. Facciamoci dèi per lui, perché lui per noi s`è fatto uomo. Prese qualche cosa d`inferiore, per darci qualche cosa di superiore. Si fece povero, perché diventassimo ricchi della sua povertà. Prese la condizione di schiavo, perché noi fossimo liberati. Scese, perché noi salissimo. Fu tentato, perché noi vincessimo. Fu vilipeso, per coprirci di gloria. Morì per dar salute a noi. Salì al cielo, per trarre con sé quelli che giacevano nella caduta del peccato. Ciascuno dia tutto; tutto a colui che diede tutto se stesso come prezzo del nostro riscatto; ma nessuno darà mai tanto, quanto darebbe se desse se stesso con l`esatta comprensione di questo mistero: farsi tutto per colui che s`è fatto tutto per noi.

(Gregorio di Nazianzo, Oratio I, in Pascha, 3-5)



2. La Pasqua, onore della Trinità

E` la Pasqua del Signore, Pasqua e ancora Pasqua in onore della Trinità. E` per noi la festa delle feste e la solennità delle solennità, tanto più grande di tutte le altre, non solo di quelle inventate dagli uomini, ma anche di quelle che onorano Cristo tanto più grande, quanto il sole supera tutte le stelle. Fu certo splendida ieri la processione della veste candida e delle luci (che facemmo tutti d`ogni condizione, illuminando la notte con un gran fuoco), celebrando quella gran luce, che, illuminando il mondo intero con la bellezza delle sue stelle, attraversa il cielo, o è luce soprannaturale, sia negli angeli, che dopo Dio è la prima lucida natura (da Dio, infatti, gli angeli prendono splendore), sia nella stessa Trinità, dalla quale nasce ogni luce. Ma la festa di oggi è più bella e più nobile. Quella di ieri era l`alba della grande luce della risurrezione, quasi un assaggio. Oggi celebriamo proprio la risurrezione, non nella speranza ma nella realtà, nell`atto che richiama l`attenzione di tutto il mondo. Doni ognuno qualche cosa in questa circostanza, un piccolo o un grande dono, purché sia spirituale, gradito a Dio, proporzionato alle forze di ciascuno. Neanche gli angeli, infatti, potrebbero offrire un dono adeguato; dico i primi, intelligenti e puri spettatori e testimoni della gloria superna; se pure a questi è concessa una lode assoluta di Dio. Noi ci metteremo le più belle parole che abbiamo e le più scelte; tanto più che vogliamo benedire il Verbo per il bene da lui fatto a esseri dotati d`intelligenza.

(Gregorio di Nazianzo, Oratio II, in Pascha, 45, 2)


3. Festa di Pasqua, festa della salvezza

Il vero riposo del Sabato, che fu benedetto da Dio, nel quale Dio si riposò dalla sua fatica, dopo aver spezzato la potenza della morte del mondo, sta per finire e se ne va la grazia ch`esso offrì agli occhi, alle orecchie, al cuore attraverso tutte le cose che vedemmo, udimmo e ci riempirono di gioia. Dinanzi agli occhi durante la notte tenemmo delle lampade, che ricordavano la colonna di fuoco. Le parole che sentimmo tutta la notte negli inni, nei salmi, nei canti, scorrendo come un fiume di gioia, ci riempirono di ottima speranza. Il cuore poi, per tutto ciò che si vedeva e si sentiva, aveva la sensazione di una letizia ineffabile, mentre attraverso le cose che si vedono, era quasi condotto per mano a colui che non si vede. I beni di questo riposo, infatti, che sono garanzia di quelli cui siamo destinati, sono un`immagine di quei beni, che nessun occhio mai vide né orecchio udì né cuore umano mai assaporò. Poiché dunque questa notte luminosa, mettendo insieme la luce delle lampade con quella dei raggi del sole nascente, ha fatto un lunghissimo giorno continuo, senza nessuna interruzione di tenebre, cerchiamo di capire la profezia che dice: "Questo è il giorno che ha fatto il Signore". Nel quale ciò che ci si propone di fare non è cosa grave né difficile, ma gaudio, letizia, esultanza, poiché la Scrittura dice: "Esultiamo e godiamo in esso" (Sal 117,24). O raro comando! O legge dolcissima! Chi non vorrà obbedire senza indugio e senza dilazioni a un tale ordine? Anzi chi non riterrà un danno anche una piccola dilazione? La letizia e ciò che vien comandato e la tristezza si muta in gioia, perché la condanna inflittaci per il peccato è stata abolita.
Questa è la parola sapiente, la dimenticanza e abolizione dei mali nel giorno della festa. Questo giorno ci ha portato la dimenticanza della sentenza pronunziata contro di noi; rettifico, non dimenticanza, abolizione. Ha distrutto, infatti, e raso ogni ricordo della primitiva condanna. Allora il parto era nel dolore ora si nasce senza dolori. Allora nascemmo carne da carne, ora ciò che nasce è spirito da spirito. Allora eravamo figli degli uomini; ora siamo figli di Dio. Allora dal cielo fummo relegati sulla terra; ora colui che è celeste, ha fatto anche noi celesti. Allora attraverso il peccato regnava la morte; ora invece la giustizia, attraverso la vita, ha preso il comando. Allora uno solo diede libero ingresso alla morte; adesso uno solo ha introdotto la vita. Allora a causa della morte uscimmo dalla vita; ora la morte è distrutta dalla vita. Allora per la vergogna ci nascondemmo sotto un fico, ora ci avviciniamo con gloria al legno della vita. Allora per la disobbedienza fummo cacciati dal paradiso; ora attraverso la fede siamo introdotti nel paradiso. Ancora una volta ci è posta la scelta dell`albero della vita. Un`altra volta la sorgente del paradiso distribuita in quattro fiumi evangelici irriga tutta la faccia della Chiesa, in modo che anche i solchi delle nostre anime possano essere irrigati e si moltiplichino i semi della virtù. Che cosa faremo allora? Che altro se non imitare i monti del Profeta? "I monti esultarono come cervi e i colli come agnelli" (Sal 113,4). Venite, dunque, e benediciamo Dio che ha spezzato le forze del nemico e sulla rovina dell`avversario ha innalzato per noi il grande trofeo della croce. Evviva, è l`acclamazione festosa dei vincitori contro i vinti. Poiché, dunque, è stato sbaragliato l`esercito nemico e lo stesso suo comandante è caduto, è stato distrutto e annientato, diciamo che Dio è un signore grande e un gran re sopra tutta la terra, che ha colmato il ciclo della sua benevolenza e ci ha condotti a questa danza dello spirito per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia gloria in tutti i secoli. Amen.

(Gregorio di Nissa, Oratio IV, in Pascha)


4. Omelia per la santa Risurrezione del nostro Salvatore

Il pio coro delle donne amiche di Dio custodiva un legame d`amore con il sepolcro del Maestro, esse attendevano di veder risplendere di bel nuovo la Vita che sarebbe uscita da un "sepolcro tagliato nella roccia" (Lc 23,53). A queste donne in lacrime (cf. Gv 20,11.13.15), due angeli luminosi (cf. Gv 20,12; Lc 24,4) e abbaglianti come lampi di luce (cf. Lc 24,4), davano il lieto annuncio. Con il loro aspetto radioso e sorridente, mostravano che la Gioia del mondo era risuscitata, e rimproveravano le donne di pensare a torto che la Vita (cf. Gv 11,25; 14,6) potesse essere ancora nascosta nel sepolcro e di cercare colui che è vivo in mezzo ai morti (cf. Lc 24,5). Muovevano loro dei rimproveri e gridavano verso di loro: «"Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?" (Lc 24,5). Fino a quando rimarrete così nell`errore, a piangere? Fino a quando riterrete morto colui che è vivo e dispensatore di vita? La Luce (cf. Gv 8,12; 1,4) è risorta, come aveva predetto, al terzo giorno (cf. Mt 27,63). Il sepolcro non ricopre più colui che aveva ricoperto la terra con il cielo (cf. Gen 1,6-8). Egli non è più avvolto dalle fasce (cf. Lc 2,7-12); egli che con una sola parola ha sciolto i lacci della morte (cf. Gv 11,43-44). Andate via gioiose, correte ad annunciare agli apostoli la buona novella della Risurrezione». Queste donne dunque, portate per il loro sesso al pessimismo e tuttora affezionate, per l`amore che portavano a Dio, eccole consolate da un messaggio tanto importante, trasmesso loro da angeli, e bastante a rasserenarle dal loro sconforto. Peraltro, oggi, i pastori della grazia annunciano la buona novella alle chiese del Crocifisso sparse su tutta la terra, servendosi delle parole sacre di Paolo, con le quali anch`io, a mia volta, grido a voi nella letizia: "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che si sono addormentati nella morte" (1Cor 15,20). A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Dal beato Giovanni, vescovo di Beirut, per la Risurrezione del nostro Salvatore.

(Giovanni da Beirut, Hom. in Pascha)


5. La vita del cristiano deve essere una festa ininterrotta

«Una festa», come dice bene un sapiente greco [Tucidide], «non è altro che compiere il proprio dovere (verso la divinità)». E davvero celebra una festa colui che compie questo suo dovere: pregando sempre, offrendo incessantemente alla divinità nelle proprie preci, vittime incruente. Per questo mi sembra magnifico ciò che dice Paolo: Voi osservate i giorni, i mesi, le stagioni e gli anni! Temo di aver lavorato invano fra di voi (Gal 4,10-11).
Se poi qualcuno obietta a ciò che anche noi abbiamo i nostri giorni del Signore e di vigilia, e Pasqua e Pentecoste, gli si deve rispondere che il perfetto cristiano, il quale nelle parole, nelle opere e nei pensieri è sempre unito al Logos di Dio, per sua natura Signore, vive sempre nei suoi giorni, celebra quotidianamente il giorno del Signore. Chi poi si prepara incessantemente alla vita vera, si astiene dai piaceri della vita che ingannano i più, e non alimenta le mire della carne, ma castiga il suo corpo e lo tiene in schiavitù (cf. 1Cor 9,27), celebra incessantemente vigilia. E anche chi ha riconosciuto che Cristo, nostra Pasqua, si è immolato (cf. 1Cor 5,7) e che deve celebrarne la festa mangiando la carne del Logos, costui non cessa mai di celebrare la Pasqua, che significa passaggio: passa incessantemente, infatti, in tutti i pensieri, in tutte le parole e in tutte le opere, dalle faccende di questa vita a Dio, affrettandosi verso la sua città. Oltre a ciò chi può dire in verità: Insieme con Cristo siamo risorti (Col 3,1), e anche: Insieme ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo (Ef 2,6), vive incessantemente nei giorni di Pentecoste; e tanto più se, entrando nel cenacolo come gli apostoli di Gesù, si dedica alla preghiera e all`orazione, per rendersi degno del soffio potente che viene dal cielo, soffio che annienta col suo vigore la malizia degli uomini e ciò che ne deriva; e degno anche di partecipare alle lingue di fuoco che scendono da Dio.
Ma la massa di coloro che sembrano aver la fede e che non vogliono o non possono celebrare in questo modo tutti i giorni, hanno bisogno, per tener viva la memoria, di commemorazioni sensibili, per non scadere del tutto. Ritengo che a ciò pensasse Paolo, chiamando «parte della festa» (cf. Col 2,16) la celebrazione ricorrente in giorni stabiliti diversi dagli altri: alludeva, esprimendosi in questo modo, che la vita condotta sempre secondo il Logos divino non è parte di una festa, ma è una festa completa e incessante. Considera dunque nuovamente da ciò che abbiamo detto sulle nostre feste e paragonandole con le feste celebrate dai pagani e da Celso, se non siano molto più sante delle pubbliche celebrazioni, in cui sono le mire della carne che fanno festa e insolentiscono, volgendosi all`ubriachezza e alla licenziosità.
Sarebbe ora lungo dire perché le feste, celebrate secondo la legge di Dio, ci insegnano a mangiare il pane di afflizione (Dt 16,3), o a cibarci di pani azzimi con erbe selvatiche (Es 12,8), o perché sia detto: Umiliate le vostre anime (Lv 16,29), e altre espressioni simili. Non è possibile infatti che tutto quanto l`uomo, in cui la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne (Gal 5,17), possa far festa con tutto il suo essere. Se qualcuno fa festa nello spirito affligge il corpo che, per natura sua e le sue mire carnali, non può far festa insieme con lo spirito; e chi fa festa secondo la carne non può celebrare certo la festa dello spirito.

(Origene, Contro Celso, 8,21-24)


6. La nostra Pasqua è Cristo

Il mistero della Pasqua è nuovo e antico, senza tempo e nel tempo, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale. Antico secondo la legge, ma nuovo secondo la Parola; nel tempo secondo la figura, eterno secondo la grazia. Corruttibile per l`uccisione dell`agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sepoltura nella terra, immortale per la risurrezione dai morti. Antica è la legge, ma nuova è la Parola; nel tempo è la figura, eterna è la grazia. Corruttibile è l`agnello, incorruttibile è il Signore: immolato come agnello, risorto come Dio. Perché come una pecora è stato condotto al macello (Is 53,7; ma non era una pecora; come un agnello senza voce (At 8,32), ma non era un agnello. Il simbolo è passato e la realtà si è svelata. Al posto di un agnello è venuto Dio, al posto di una pecora un uomo: e in quest`uomo, Cristo che contiene tutto in sé. E dunque, il sacrificio dell`agnello e la celebrazione della Pasqua e la lettera della Legge sono contenute nel Cristo Gesù, attraverso il quale sono accadute tutte le cose, nella Legge antica e più ancora nella Parola nuova...
Infatti la salvezza del Signore e la verità sono state prefigurate nel popolo di Israele e le affermazioni del Vangelo preannunciate dalla Legge. Il popolo di Israele era dunque l`abbozzo di un disegno e la Legge la lettera di una parabola. Il Vangelo invece è spiegazione e pienezza della Legge, e la Chiesa il luogo che contiene la verità. L`immagine era dunque preziosa prima della realizzazione, e la parabola mirabile prima dell`interpretazione. In altre parole: il popolo d`Israele aveva un valore prima che la Chiesa sorgesse, e la legge era mirabile prima che il Vangelo diffondesse la sua luce. Ma quando sorse la Chiesa e fu annunziato il Vangelo, l`immagine divenne vana, perché trasmise la sua forza alla realtà; la Legge ebbe compimento, perché trasmise la sua forza al Vangelo...
Il Signore si era rivestito dell`uomo. Aveva sofferto per chi soffriva, era stato legato per chi era tenuto prigioniero, condannato per chi era colpevole, sepolto per chi era nella tomba. E ora è risorto dai morti e ha gridato a gran voce: «Chi potrà citarmi in giudizio? Si faccia pure avanti! Sono io che ho scelto il condannato, io che ho ridato al morto la vita, io che ho risuscitato il sepolto. Chi mi può contraddire? Io - dice - sono il Cristo; io sono colui che ha distrutto la morte, trionfato sul nemico, calpestato l`inferno; io ho incatenato il potente e sollevato l`uomo verso l`alto dei cieli. Io - dice - sono il Cristo. Venite dunque voi tutte, famiglie degli uomini impastate di peccato, e ricevete il perdono dei peccati. Perché sono io il vostro perdono, io la Pasqua della salvezza, io l`agnello immolato per voi. Sono io il vostro riscatto, la vostra vita, la vostra risurrezione. Io la vostra luce, la vostra salvezza, il vostro re. Io vi conduco nell`alto dei cieli, io vi mostrerò il Padre immortale, io vi farò risorgere con la mia destra».

(Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 2-6.39-40.100-103)


DISCORSO 229/B
NELLA DOMENICA DELLA SANTA PASQUA
Di Sant’Agostino, Vescovo

Se vivete bene, siete voi stessi il giorno che ha fatto il Signore.
1. Ogni singolo giorno ha fatto il Signore; anzi non solo ha fatto, ma continua a fare; egli fa ogni singolo giorno perché fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi e piove sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Per questa ragione quanto abbiamo sentito: Questo è il giorno che ha fatto [il Signore], non si può pensare che indichi quel che noi chiamiamo volgarmente giorno, che è uguale per i buoni e per i cattivi. Qui si tratta di qualcosa di particolare; dicendo: Questo è il giorno che ha fatto [il Signore], ci spinge a fissare l'attenzione su un giorno tutto speciale. Qual è questo giorno per il quale ci vien detto: Rallegriamoci ed esultiamo in esso ? Come sarà, se non buono? Come, se non concupiscibile, amabile, desiderabile, beatificante? Riferendosi ad esso il santo profeta Geremia diceva: Non ho desiderato il giorno degli uomini, tu lo sai. Dunque, qual è questo giorno che ha fatto il Signore? Vivete bene e lo sarete voi stessi. Infatti quando l'Apostolo diceva: Camminiamo onestamente come [di] giorno, non si riferiva a questo giorno che si apre col sorgere del sole e si chiude con il tramonto. E dice anche: Quelli che si ubriacano sono ubriachi di notte. Nessuno vede gente che si ubriaca alla prima colazione; quando questo avviene, si appartiene già alla notte, non al giorno che ha fatto il Signore. Come infatti vi è il giorno in coloro che piamente, santamente e religiosamente vivono nella temperanza, nella giustizia, nella sobrietà, così all'opposto in coloro che vivono nell'empietà, nella lussuria, nella superbia, nella irreligiosità, senza dubbio la notte farà da ladro per tale notte. Infatti sta scritto: Come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. Ma nel presentare questo avvertimento l'Apostolo, rivolto a coloro ai quali altrove aveva detto: Un tempo eravate tenebra, ma ora siete luce nel Signore (si rivolge ad essi e li considera il giorno fatto dal Signore), dopo aver detto: Voi sapete, o fratelli, che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore, continua dicendo: Voi però non siete nelle tenebre, così che quel giorno vi colga di sorpresa come un ladro; voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre 9. Perciò questo nostro cantare ci ricorda l'impegno a vivere bene. Quando tutti con voce armoniosa, con spirito gioioso, con cuore unanime diciamo: Questo è il giorno che ha fatto il Signore, dobbiamo essere in accordo col nostro canto, affinché la nostra lingua non dica una testimonianza contro noi stessi: Tu hai in mente oggi di ubriacarti, e canti: Questo è il giorno che ha fatto il Signore; non hai paura che ti risponda: No, questo non è il giorno che ha fatto il Signore? Non puoi chiamar giorno buono quello che la lussuria e la malvagità ti ha trasformato in un pessimo giorno.

Se infonde tanta gioia quel che speriamo, che sarà quando lo raggiungeremo?.
2. Quanta gioia, fratelli miei! Gioia nella vostra assemblea, gioia nei salmi e negli inni, gioia nel ricordo della passione e della risurrezione di Cristo, gioia nella speranza della vita futura. Se tanta gioia infonde ciò che speriamo, che sarà quando lo raggiungeremo? In questi giorni, vedete, quando sentiamo Alleluia, il nostro spirito par che si trasformi. Non ci sembra di gustare non so che cosa di quella città superna? Se tanta gioia infondono a noi questi giorni, che sarà quello in cui ci verrà detto: Venite, o benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno? Quando tutti i santi saranno radunati insieme, quando s'incontreranno tanti che non si conoscevano, si ritroveranno tanti che si conoscevano, e staranno talmente al sicuro che mai si perderà un amico, mai si avrà a temere un nemico? Ecco, noi diciamo: Alleluia; è bello, è lieto, è pieno di gioia, di giocondità, di soavità. Eppure, se lo dicessimo sempre, ci stancheremmo. Siccome però ritorna in un preciso tempo dell'anno, con quanta gioia arriva, con quanta nostalgia se ne va! Forse anche lassù uguale sarà la gioia e uguale la stanchezza? No, non sarà così. Qualcuno forse dirà: Ma come è possibile che sia sempre così e non ci si stanchi mai? Se io ti saprò indicare qualcosa in questa vita di cui non ci si può stancare, dovrai credere che lassù tutto sarà così. Ci si stanca del cibo, ci si stanca del bere, ci si stanca degli spettacoli, ci si stanca di questo e di quell'altro; ma della salute non ci si stanca mai. Come dunque quaggiù, in questo morire della carne, in questa fragilità, in questo fastidio per il peso del corpo mai ci può essere stanchezza della salute, così lassù mai ci sarà stanchezza della carità, dell'immortalità, dell'eternità.




Lunedì 30 marzo 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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