dom Luigi Gioia "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere"

III Domenica di Quaresima (Anno B) (08/03/2015)
Vangelo: Gv 2,13-25
Potrebbe sorprenderci leggere che Gesù, arrivando nel tempio di Gerusalemme, vi trovasse dei buoi, delle pecore e delle colombe e persone che li vendevano. Questo episodio va situato nel contesto della pratica religiosa ebraica prescritta dalla scrittura stessa, soprattutto dal libro del Levitico. Il culto del tempio era fondato essenzialmente sull'offerta di sacrifici di animali. I sacrifici richiedevano dunque che ci fossero a disposizione colombe, pecore e buoi e quindi qualcuno che li vendesse.

Non è quindi il fatto di trovare questi animali presenti nel tempio e intorno al tempio che conduce Gesù a compiere questo gesto radicale e, bisogna ammetterlo, violento. Ciò a cui Gesù reagisce è la trasformazione di questo che sarebbe dovuto essere un atto di culto, un atto di adorazione di Dio in un qualcosa che potremmo definire semplicemente della religiosità.
Questa distinzione tra atto di culto e religiosità è da capire bene.
I sacrifici di animali nell'Antico Testamento dovevano essere il segno dell'offerta del cuore. In una società fondata su un'economia pastorizia, quindi sul pascolo degli animali, si chiedeva di offrire l'animale più bello del proprio gregge in segno di gratitudine al Signore. Se infatti questi animali potevano crescere era grazie alla benedizione del Signore. Quindi si prendeva l'animale migliore del proprio gregge e lo si offriva come segno di riconoscenza.
L'essenza di questo sacrificio era la gratitudine, l'azione di grazie, la lode, la preghiera e l'invocazione della benedizione del Signore. Tutta la letteratura profetica insiste su questo fatto: ciò che il Signore vuole non è il sacrificio degli animali perché comunque tutto il creato già appartiene al Signore e non è il sangue di animali che dà lode a Dio. Ciò che dà lode a Dio è un cuore contrito, un cuore umiliato. Ciò che dà lode a Dio è la preghiera.
Il problema che Gesù costata nel suo tempo, quando appunto entra nel tempio a Gerusalemme, è che tutto questo è diventato semplicemente un mercato. I sentimenti che avrebbero dovuto essere l'anima di questi sacrifici sono stati dimenticati. Non si sceglie più l'animale migliore che si ha nel gregge - se ne compra uno e lo si offre pensando che compiere il gesto nella sua materialità sia sufficiente. L'atto di culto, cioè i sentimenti interiori di dipendenza, di gratitudine, di lode si sono trasformati in religiosità - ma la religiosità non è la fede e anzi spesso può essere ciò che soffoca una relazione autentica con il Signore. E' molto facile essere religiosi mentre è molto difficile avere fede; è facile compiere degli atti per mettersi ‘a posto' davanti al Signore, invece è molto difficile aderire al Signore con tutto il cuore e con tutta l'anima. Essere religiosi è qualcosa che può essere profondamente pagano. E' qualcosa che consiste essenzialmente nel "tenere Dio buono", nel voler accontentare Dio per delimitare la sua influenza nella propria vita.
Tutti i popoli hanno forme di religiosità spesso accompagnate da sacrifici. In questi sacrifici si dà qualcosa alla divinità perché la divinità mi dia qualcosa in cambio. Do ut des: questa è la religiosità.
Invece la fede è il riconoscimento di Dio come nostro creatore, come nostro padre, come qualcuno per il quale siamo importanti, come qualcuno che vive, che è presente nel più profondo del nostro cuore. La fede è adesione filiale ad un padre.
Gli atti esteriori di culto hanno senso solo nella misura in cui sono espressioni non di religiosità ma di fede, solo se esprimono l'adesione del cuore al Signore.
E' chiaro che il pericolo di trasformare la fede in religiosità resta tanto forte oggi quanto lo era al tempo di Gesù.
Il vangelo di oggi ci invita a interrogarci molto concretamente su questo punto. Perché vado in chiesa? Perché sono ‘praticante'? Per tenere Dio buono? Per dare a lui qualcosa in modo che lui dia qualcosa in cambio a me? Per essere in regola davanti a lui?
Oppure, come dovrebbe essere, lo faccio perché riconosco che Dio è mio padre e mi ama; perché riconosco che io sono nelle sue mani, che tutto quello che ho e più ancora tutto quello che sono è un suo dono e lo ricevo da lui e per questo voglio rendergli grazie, rendergli lode?
La prima lettura ci invita ad andare più profondamente, nel cuore di ciò che veramente costituisce l'unico sacrificio gradito a Dio. Io sono il Signore tuo Dio - dice questo passaggio tratto dal Libro dell'Esodo - che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile. Io sono il tuo Dio che ti ha salvato dalla morte, che ti ha liberato dal peccato. Io sono il padre che ha dato il suo figlio per te. Non avrai altri dei all'infuori di me. Solo il Signore tuo Dio adorerai, perché io sono un Dio geloso - ci dice. Non pronuncerai il nome di Dio invano. E poi sì, a questo punto: ricordati del sabato per santificarlo. Il nuovo sabato è la domenica, giorno della resurrezione del Signore, giorno del Signore. Quindi ricordati di questo giorno per santificarlo, non come semplice espressione di religiosità, non per tener buono Dio, ma proprio perché riconosci che Dio è il tuo Signore, che egli ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto e per manifestare questa gratitudine, questa adorazione nei suoi riguardi.
La fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, la fede nel Dio di Gesù Cristo, è una fede fondata sull'interiorità. Quanto è detto nei dieci comandamenti sarà prolungato, sarà approfondito dal discorso sulla montagna di Gesù, nel quale non basterà più semplicemente non uccidere, non rubare, non dare falsa testimonianza e non desiderare la donna dell'altro, ma questo culto interiore sarà portato fin nel più profondo dei nostri sentimenti, per cui sarà la povertà in spirito, sarà l'onestà, sarà la sincerità, sarà la mitezza, sarà lo spirito di pace che diventeranno la forma di culto più gradita a Dio. Questo culto in spirito e verità di cui parla poi Gesù nel vangelo di Giovanni.
E ancora più profondamente ci sarà chiesto non semplicemente di non uccidere, ma di non dire nulla di male nei confronti del prossimo. Non semplicemente di non commettere adulterio, ma già nel cuore di non cedere al desiderio impuro. E così via.
Non abbiamo bisogno di essere troppo istruiti a questo riguardo, fratelli e sorelle. Lo Spirito che Cristo ha mandato nei nostri cuori ci insegna quale sia la differenza tra la religiosità e la fede.
Nella religiosità teniamo Dio a distanza. Lo consideriamo - magari con sospetto - come una divinità da accontentare. Nella fede invece lo riconosciamo come padre, ci riconosciamo come figli. E non è per timore, ma per amore, che vogliamo offrirgli non solo un po' del nostro tempo, non solo un contentino, non solo un angolo della nostra vita, ma tutto noi stessi in un sacrificio di lode, in un sacrificio di ringraziamento, in un atteggiamento di disponibilità e di apertura del cuore che manifesti tutto il nostro amore per lui, tutto il nostro bisogno di lui, tutto il nostro desiderio di essere per sempre con lui.

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