don Alberto Brignoli "Che Dio, quello di Gesù Cristo!"
IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (15/03/2015)
Vangelo: Gv 3,14-21
La vita è un cammino: non si è mai terminato di camminare. Anche se ci fermiamo, anche se facciamo una pausa, anche quando tiriamo il fiato, il tempo scorre inesorabilmente, e solo dopo che è passato, voltandoci indietro, ce ne rendiamo conto.
La vita è un cammino: ha un inizio, e ha pure una meta cui giungere, ma soprattutto è una strada da percorrere.
La vita è un cammino: e la vita di fede, ancor di più. Inizia quando scopriamo - da sempre - di essere amati da Dio; ha
come meta la salvezza, e la cosa che più colpisce è che questa meta coincide con la strada stessa da percorrere. Perché la salvezza che il Signore ci offre non arriva alla fine del cammino, e soprattutto non è mai raggiunta: questo significa che il cammino stesso è un cammino di salvezza.
Non siamo ancora giunti alla meta, anzi, oggi abbiamo da poco superato la metà del cammino di Quaresima, e la Liturgia della Parola ci parla di un Dio che si fa presente nella storia principalmente per questo: per salvarci. E stando al Vangelo che abbiamo ascoltato, è proprio il caso di dire che il Dio di Gesù Cristo ci salva in una maniera che ha a dir poco dello sconvolgente. Ascoltando il colloquio di Gesù con Nicodemo, sembra che il Maestro faccia di tutto per mostrare a lui e a noi un'immagine di Dio totalmente differente da quella che il popolo d'Israele aveva sino allora conosciuto, e che forse spesso è ancora l'immagine che anche noi abbiamo di Dio. La citazione stessa che Gesù fa di un episodio dell'Antico Testamento ha un sapore completamente diverso. Gesù narra il fatto descritto nel capitolo 21 del libro dei Numeri: il popolo d'Israele in cammino nel deserto si lamenta con Dio per la mancanza di acqua e di cibo; Dio si stanca di un popolo del genere e manda dei serpenti velenosi a sterminarlo; il popolo castigato si pente, e tramite Mosè chiede perdono a Dio; Dio si impietosisce e lo salva attraverso il serpente di bronzo. Lo schema del racconto è evidente: grandezza di Dio - ingratitudine del popolo - castigo di Dio - pentimento del popolo - pietà di Dio - salvezza del popolo.
Tutto questo schema, con Gesù salta: Dio salva l'umanità per mezzo della croce di Cristo, indipendentemente dalla sua ingratitudine o dal suo pentimento. La salva perché la salva. Punto. Non è un Dio che castiga e che s'impietosisce dei suoi castighi. Prova ne è che, poco dopo, Gesù ribadisce in maniera esplicita questo concetto: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". Non un Dio che salva perché si pente del castigo dato, ma un Dio che salva per amore, e solo per amore, indipendentemente da quelle dinamiche di castigo-pentimento tipiche del Dio della storia d'Israele.
Ci verrebbe subito da dire che un Dio così non è giusto: o ti penti di ciò che sei, cioè un peccatore lontano da Dio, oppure Dio non ti salva, anzi, ti condanna e ha tutto il diritto di farlo! E qui sta l'altra grande sconvolgente novità: non è Dio che condanna l'uomo. Dio ama talmente l'umanità da lasciarla libera di credere o meno in lui: libera, addirittura, di autocondannarsi o di accettare la sua salvezza. E tutto questo, solo per il fatto di credere in lui: "Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio". La libertà umana, frutto dell'amore di Dio per l'umanità, è talmente grande che ha il potere di allontanare definitivamente l'uomo da Dio; ma è pure talmente fragile, che esaurisce presto tutta la sua grandezza e potenza autodistruttrice, e nonostante questo sa di poter confidare in un Dio che non la condanna più e che pensa solo a salvarla. Per di più, la salva donandogli la vita eterna: "Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". E quando Giovanni parla di vita eterna (ben diciassette volte, nel suo Vangelo), non parla mai di qualcosa che avverrà "nell'aldilà": parla di qualcosa di infinito, di grande, di qualitativamente grande, che dona pienezza di vita qui, oggi.
Certo, un Dio così è ingiusto: dove c'è una colpa, ci vorrebbe un castigo, e dove c'è bontà, un premio. Invece no: dove c'è colpa, c'è perdono, e dove c'è bontà è segno che il perdono sta portando i suoi frutti, quindi è la strada giusta. Non c'è più il Dio giusto retributore che dà a ognuno secondo i propri meriti o le proprie colpe. Di fronte a un Dio così severo, non ci restava altra scelta che quella di Adamo nell'Eden: nasconderci da lui e rifugiarci nelle tenebre (come fa' chi agisce nel male), perché almeno nel nostro angolo e nel nostro nascondiglio, Dio non ci avrebbe mai trovato o perlomeno non avrebbe potuto vedere tutto il male compiuto. Invece, con questo Dio, bisogna uscire alla luce, senza paura di mostrare le nostre opere, buone o meno che esse siano: "Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".
Dio non ci condanna, pensa solo a salvarci; Dio non ci retribuisce in base a ciò che meritiamo, pensa solo ad amarci, sempre e comunque; Dio ci porta alla luce, anche se preferiremmo nasconderci da lui; Dio ci permette anche di fare a meno di lui, tanto ama la nostra libertà...più di così!
Invece, il Dio di Gesù Cristo fa ancora di più. Non ci chiede una fede che "dica la verità", ma che "faccia la verità": "Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio". Quindi, non un elenco di dogmi a cui credere in maniera incondizionata, ma una vita fatta di opere di buona volontà. Dio non ci salva per la dottrina che professiamo, per il solo fatto di essere cristiani battezzati, ma perché facciamo le sue opere, in altre parole la sua volontà. È una fede stimolante, apertissima, piena di opportunità per ogni uomo, ma anche molto impegnativa, perché non basta professare la verità (per quello, è sufficiente recitare il Credo), occorre fare la verità: e la verità, sono le sue opere. Le sue, non le nostre, come dice bene Paolo nella seconda lettura: "Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo".
La nostra condanna non è opera di Dio, dipende solo da noi: lui pensa solo alla nostra salvezza, quella sì è opera sua. Ma dove lo troviamo un Dio così disponibile con l'umanità? E ci permettiamo di fare a meno di lui? Su, dai: rimettiamoci in cammino, abbiamo solo da guadagnare!
Vangelo: Gv 3,14-21
La vita è un cammino: non si è mai terminato di camminare. Anche se ci fermiamo, anche se facciamo una pausa, anche quando tiriamo il fiato, il tempo scorre inesorabilmente, e solo dopo che è passato, voltandoci indietro, ce ne rendiamo conto.
La vita è un cammino: ha un inizio, e ha pure una meta cui giungere, ma soprattutto è una strada da percorrere.
La vita è un cammino: e la vita di fede, ancor di più. Inizia quando scopriamo - da sempre - di essere amati da Dio; ha
come meta la salvezza, e la cosa che più colpisce è che questa meta coincide con la strada stessa da percorrere. Perché la salvezza che il Signore ci offre non arriva alla fine del cammino, e soprattutto non è mai raggiunta: questo significa che il cammino stesso è un cammino di salvezza.
Non siamo ancora giunti alla meta, anzi, oggi abbiamo da poco superato la metà del cammino di Quaresima, e la Liturgia della Parola ci parla di un Dio che si fa presente nella storia principalmente per questo: per salvarci. E stando al Vangelo che abbiamo ascoltato, è proprio il caso di dire che il Dio di Gesù Cristo ci salva in una maniera che ha a dir poco dello sconvolgente. Ascoltando il colloquio di Gesù con Nicodemo, sembra che il Maestro faccia di tutto per mostrare a lui e a noi un'immagine di Dio totalmente differente da quella che il popolo d'Israele aveva sino allora conosciuto, e che forse spesso è ancora l'immagine che anche noi abbiamo di Dio. La citazione stessa che Gesù fa di un episodio dell'Antico Testamento ha un sapore completamente diverso. Gesù narra il fatto descritto nel capitolo 21 del libro dei Numeri: il popolo d'Israele in cammino nel deserto si lamenta con Dio per la mancanza di acqua e di cibo; Dio si stanca di un popolo del genere e manda dei serpenti velenosi a sterminarlo; il popolo castigato si pente, e tramite Mosè chiede perdono a Dio; Dio si impietosisce e lo salva attraverso il serpente di bronzo. Lo schema del racconto è evidente: grandezza di Dio - ingratitudine del popolo - castigo di Dio - pentimento del popolo - pietà di Dio - salvezza del popolo.
Tutto questo schema, con Gesù salta: Dio salva l'umanità per mezzo della croce di Cristo, indipendentemente dalla sua ingratitudine o dal suo pentimento. La salva perché la salva. Punto. Non è un Dio che castiga e che s'impietosisce dei suoi castighi. Prova ne è che, poco dopo, Gesù ribadisce in maniera esplicita questo concetto: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". Non un Dio che salva perché si pente del castigo dato, ma un Dio che salva per amore, e solo per amore, indipendentemente da quelle dinamiche di castigo-pentimento tipiche del Dio della storia d'Israele.
Ci verrebbe subito da dire che un Dio così non è giusto: o ti penti di ciò che sei, cioè un peccatore lontano da Dio, oppure Dio non ti salva, anzi, ti condanna e ha tutto il diritto di farlo! E qui sta l'altra grande sconvolgente novità: non è Dio che condanna l'uomo. Dio ama talmente l'umanità da lasciarla libera di credere o meno in lui: libera, addirittura, di autocondannarsi o di accettare la sua salvezza. E tutto questo, solo per il fatto di credere in lui: "Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio". La libertà umana, frutto dell'amore di Dio per l'umanità, è talmente grande che ha il potere di allontanare definitivamente l'uomo da Dio; ma è pure talmente fragile, che esaurisce presto tutta la sua grandezza e potenza autodistruttrice, e nonostante questo sa di poter confidare in un Dio che non la condanna più e che pensa solo a salvarla. Per di più, la salva donandogli la vita eterna: "Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna". E quando Giovanni parla di vita eterna (ben diciassette volte, nel suo Vangelo), non parla mai di qualcosa che avverrà "nell'aldilà": parla di qualcosa di infinito, di grande, di qualitativamente grande, che dona pienezza di vita qui, oggi.
Certo, un Dio così è ingiusto: dove c'è una colpa, ci vorrebbe un castigo, e dove c'è bontà, un premio. Invece no: dove c'è colpa, c'è perdono, e dove c'è bontà è segno che il perdono sta portando i suoi frutti, quindi è la strada giusta. Non c'è più il Dio giusto retributore che dà a ognuno secondo i propri meriti o le proprie colpe. Di fronte a un Dio così severo, non ci restava altra scelta che quella di Adamo nell'Eden: nasconderci da lui e rifugiarci nelle tenebre (come fa' chi agisce nel male), perché almeno nel nostro angolo e nel nostro nascondiglio, Dio non ci avrebbe mai trovato o perlomeno non avrebbe potuto vedere tutto il male compiuto. Invece, con questo Dio, bisogna uscire alla luce, senza paura di mostrare le nostre opere, buone o meno che esse siano: "Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".
Dio non ci condanna, pensa solo a salvarci; Dio non ci retribuisce in base a ciò che meritiamo, pensa solo ad amarci, sempre e comunque; Dio ci porta alla luce, anche se preferiremmo nasconderci da lui; Dio ci permette anche di fare a meno di lui, tanto ama la nostra libertà...più di così!
Invece, il Dio di Gesù Cristo fa ancora di più. Non ci chiede una fede che "dica la verità", ma che "faccia la verità": "Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio". Quindi, non un elenco di dogmi a cui credere in maniera incondizionata, ma una vita fatta di opere di buona volontà. Dio non ci salva per la dottrina che professiamo, per il solo fatto di essere cristiani battezzati, ma perché facciamo le sue opere, in altre parole la sua volontà. È una fede stimolante, apertissima, piena di opportunità per ogni uomo, ma anche molto impegnativa, perché non basta professare la verità (per quello, è sufficiente recitare il Credo), occorre fare la verità: e la verità, sono le sue opere. Le sue, non le nostre, come dice bene Paolo nella seconda lettura: "Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo".
La nostra condanna non è opera di Dio, dipende solo da noi: lui pensa solo alla nostra salvezza, quella sì è opera sua. Ma dove lo troviamo un Dio così disponibile con l'umanità? E ci permettiamo di fare a meno di lui? Su, dai: rimettiamoci in cammino, abbiamo solo da guadagnare!
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