don Alberto Brignoli "Purificare la fede"
III Domenica di Quaresima (Anno B)
Vangelo: Gv 2,13-25
Se il nostro impegno annuale della Quaresima di voler migliorare qualcosa nella nostra vita di credenti può portare almeno un frutto, credo che questo sia proprio la riscoperta di una fede sincera e genuina. E ciò assume un significato ancor più profondo in previsione dell'Anno della
Fede che il Papa ci chiama a vivere dal prossimo mese di ottobre. Troppo spesso viviamo una fede fatta di formalità, di cose scontate, a volte anche di superficialità, o - al contrario - di eccessiva scrupolosità nei confronti delle nostre obbligazioni religiose.
Così, si passa - ad esempio - dalla superficialità di ritenere che la messa domenicale non è più un precetto vincolante, alla scrupolosità di chi si sente in colpa per aver mangiato un brodo di carne al venerdì; da chi ritiene che ormai più nulla è peccato perché "l'importante è essere sereni dentro e in pace con tutti, e non fare del male a nessuno", a chi discute tutta una seduta del Consiglio Parrocchiale su come collocare la statua del santo patrono in processione; da chi ritiene delle "stupidaggini", delle "stoltezze", le prese di posizione della Chiesa in materia di etica dei comportamenti rispetto ad altri temi importanti della vita e della società, a chi grida allo "scandalo" nei confronti della stessa Chiesa perché permette eccessive aperture in materia di ecumenismo o di dialogo con le grandi religioni.
Insomma, la fede cristiana si è sempre mossa tra chi dice: "Sono stoltezze", e chi grida: "È uno scandalo", come già i gruppi di Giudei e di pagani presenti a Corinto ai tempi di Paolo.
E in mezzo a questi due gruppi, non c'è una cosa qualsiasi. C'è il fondamento della nostra fede: la Croce di Cristo. È questo che rende grave la questione tra Giudei e pagani al tempo di Paolo, così come ai nostri giorni: preoccupati dal dibattere su un modo o sull'altro di vivere la fede, rischiamo di perdere di vista il centro, l'oggetto, il motivo della nostra fede, ossia la morte di Cristo in croce per noi.
È necessario quindi tornare al centro della nostra vita di fede, al fondamento di ciò in cui crediamo; è necessario - e la Quaresima è un tempo privilegiato - purificare la nostra fede da tutti quei modi di viverla e di approcciarsi ad essa che non sono genuini, sinceri. Occorre fare ciò che Gesù simbolicamente ha fatto nel Vangelo di oggi: "buttare all'aria tutte le bancarelle dei mercanti del tempio", ovvero eliminare tutti quegli atteggiamenti che si mascherano da atteggiamenti di fede ma che in realtà ostruiscono il nostro libero accesso alle cose di Dio, simboleggiate dal tempio, luogo privilegiato della presenza di Dio in mezzo all'Antico popolo di Israele.
Che cosa dobbiamo "buttare all'aria", nel nostro modo di vivere la fede tale da impedirci di vivere in maniera genuina il nostro rapporto con Dio? Ognuno di noi, certamente, è in grado di individuare le proprie "bancarelle", le proprie barriere che mascherandosi da atteggiamenti di pietà (le bancarelle dei mercanti del tempio, di per sé, rispondevano alla necessità di fare l'offerta di un sacrificio all'altare) in realtà lo distanziano da Dio.
Ma se vogliamo tornare a quanto le letture di oggi, in particolare Paolo, ci invitano a considerare, ritengo che vadano "buttati all'aria" almeno due atteggiamenti poco sinceri e poco genuini nel vivere il nostro rapporto con Dio:
• da una parte, l'atteggiamento (che Paolo rimproverava ai cristiani di Corinto provenienti dal mondo pagano) che considera "stoltezze", "stupidaggini" tutti i tentativi di rimanere fedeli agli insegnamenti che ci hanno trasmessi coloro che ci hanno educato alla vita di fede, a partire dai nostri genitori e familiari. È un atteggiamento molto frequente, soprattutto (ma non solo) nelle giovani generazioni, che tendono a tacciare di "bigottismo" chi cerca di vivere una fede salda, convinta, fatta anche di partecipazione frequente alla vita di Chiesa. Coloro che vanno avanti con convinzione a praticare la propria fede vengono considerati "bigotti" in nome di una libertà religiosa o pluri - religiosa che, considerando buona, valida e utile ogni espressione del fenomeno religioso senza la necessità di appartenere esplicitamente ad una comunità di credenti, alla fine porta a una totale scomparsa di Dio dalla nostra esistenza. Paradossalmente, l'esigenza di scrollarsi di dosso un modo "tradizionalista e obsoleto" di vivere la vita di fede, invece di darci l'opportunità di riscoprire un genuino rapporto di amicizia con Dio ci ha allontanati ancor di più da lui;
• dall'altra parte, l'atteggiamento (che Paolo rimproverava ai cristiani di Corinto provenienti dalla religione giudaica) che considera "scandalosi" tutti i tentativi di vivere la fede in maniera originale rispetto all'insieme di norme, precetti, leggi e decreti che una religione istituzionalizzata offre con sicurezza ai propri fedeli. È l'atteggiamento che sinceramente a me spaventa di più, perché vorrebbe ridurre il nostro rapporto con Dio a un cliché, a uno standard preconfezionato nell'involucro dei precetti e delle norme, al di fuori del quale è assolutamente impensabile (o addirittura scandaloso) parlare di vita di fede. Mi spaventa, dicevo, perché se il nostro rapporto con Dio dovesse essere di questo tipo, la stessa vicenda di Gesù Cristo risulterebbe un'assurdità, uno scandalo, una bestemmia. Cosa che puntualmente avviene con i tanti vecchi e nuovi farisei della storia che accusano e condannano Gesù Cristo per il suo desiderio di "distruggere il tempio" e le sue istituzioni, per ricostruirlo nuovo a partire dalla realtà più sincera e genuina del nostro rapporto con Dio: la croce.
Questo è l'insegnamento di Gesù nella Liturgia della Parola di oggi e di sempre: il nostro rapporto genuino e sincero con Dio non è questione di norme e precetti, non è questione di elementi innovativi che esulino da un senso di appartenenza a una comunità, e non è nemmeno questione di miracoli o segni prodigiosi che troppo spesso chiediamo a Dio di fare per poter credere in lui.
Come dice il Vangelo di oggi, ci deve invece "divorare lo zelo per la casa di Dio". La radice della parola "zelo" è la stessa radice della parola "gelosia", "amore cieco e folle". Ossia, è solo questione di quanto amiamo Dio, le cose di Dio, le manifestazioni di Dio nella nostra vita, attraverso atteggiamenti di obbedienza alla sua volontà, di offerta di noi stessi e della nostra vita alla causa del Vangelo e dell'uomo, di desiderio di conversione e di assoluta comunione con la vita di Dio e con le sofferenze dell'umanità.
In una parola sola, è tutta una questione di amore alla Croce.
Scandalo per i Giudei che si aspettavano un Dio legislatore, giudice e castigatore; stoltezza per i pagani che preferiscono un Dio qualunque, purché non dia loro troppo fastidio.
Ma per color che credono, potenza di Dio e sapienza di Dio.
Perché ciò che per gli altri è apparente debolezza e sconfitta, per chi crede in lui diviene fonte di vita vera e di fede autentica.
Vangelo: Gv 2,13-25
Se il nostro impegno annuale della Quaresima di voler migliorare qualcosa nella nostra vita di credenti può portare almeno un frutto, credo che questo sia proprio la riscoperta di una fede sincera e genuina. E ciò assume un significato ancor più profondo in previsione dell'Anno della
Fede che il Papa ci chiama a vivere dal prossimo mese di ottobre. Troppo spesso viviamo una fede fatta di formalità, di cose scontate, a volte anche di superficialità, o - al contrario - di eccessiva scrupolosità nei confronti delle nostre obbligazioni religiose.
Così, si passa - ad esempio - dalla superficialità di ritenere che la messa domenicale non è più un precetto vincolante, alla scrupolosità di chi si sente in colpa per aver mangiato un brodo di carne al venerdì; da chi ritiene che ormai più nulla è peccato perché "l'importante è essere sereni dentro e in pace con tutti, e non fare del male a nessuno", a chi discute tutta una seduta del Consiglio Parrocchiale su come collocare la statua del santo patrono in processione; da chi ritiene delle "stupidaggini", delle "stoltezze", le prese di posizione della Chiesa in materia di etica dei comportamenti rispetto ad altri temi importanti della vita e della società, a chi grida allo "scandalo" nei confronti della stessa Chiesa perché permette eccessive aperture in materia di ecumenismo o di dialogo con le grandi religioni.
Insomma, la fede cristiana si è sempre mossa tra chi dice: "Sono stoltezze", e chi grida: "È uno scandalo", come già i gruppi di Giudei e di pagani presenti a Corinto ai tempi di Paolo.
E in mezzo a questi due gruppi, non c'è una cosa qualsiasi. C'è il fondamento della nostra fede: la Croce di Cristo. È questo che rende grave la questione tra Giudei e pagani al tempo di Paolo, così come ai nostri giorni: preoccupati dal dibattere su un modo o sull'altro di vivere la fede, rischiamo di perdere di vista il centro, l'oggetto, il motivo della nostra fede, ossia la morte di Cristo in croce per noi.
È necessario quindi tornare al centro della nostra vita di fede, al fondamento di ciò in cui crediamo; è necessario - e la Quaresima è un tempo privilegiato - purificare la nostra fede da tutti quei modi di viverla e di approcciarsi ad essa che non sono genuini, sinceri. Occorre fare ciò che Gesù simbolicamente ha fatto nel Vangelo di oggi: "buttare all'aria tutte le bancarelle dei mercanti del tempio", ovvero eliminare tutti quegli atteggiamenti che si mascherano da atteggiamenti di fede ma che in realtà ostruiscono il nostro libero accesso alle cose di Dio, simboleggiate dal tempio, luogo privilegiato della presenza di Dio in mezzo all'Antico popolo di Israele.
Che cosa dobbiamo "buttare all'aria", nel nostro modo di vivere la fede tale da impedirci di vivere in maniera genuina il nostro rapporto con Dio? Ognuno di noi, certamente, è in grado di individuare le proprie "bancarelle", le proprie barriere che mascherandosi da atteggiamenti di pietà (le bancarelle dei mercanti del tempio, di per sé, rispondevano alla necessità di fare l'offerta di un sacrificio all'altare) in realtà lo distanziano da Dio.
Ma se vogliamo tornare a quanto le letture di oggi, in particolare Paolo, ci invitano a considerare, ritengo che vadano "buttati all'aria" almeno due atteggiamenti poco sinceri e poco genuini nel vivere il nostro rapporto con Dio:
• da una parte, l'atteggiamento (che Paolo rimproverava ai cristiani di Corinto provenienti dal mondo pagano) che considera "stoltezze", "stupidaggini" tutti i tentativi di rimanere fedeli agli insegnamenti che ci hanno trasmessi coloro che ci hanno educato alla vita di fede, a partire dai nostri genitori e familiari. È un atteggiamento molto frequente, soprattutto (ma non solo) nelle giovani generazioni, che tendono a tacciare di "bigottismo" chi cerca di vivere una fede salda, convinta, fatta anche di partecipazione frequente alla vita di Chiesa. Coloro che vanno avanti con convinzione a praticare la propria fede vengono considerati "bigotti" in nome di una libertà religiosa o pluri - religiosa che, considerando buona, valida e utile ogni espressione del fenomeno religioso senza la necessità di appartenere esplicitamente ad una comunità di credenti, alla fine porta a una totale scomparsa di Dio dalla nostra esistenza. Paradossalmente, l'esigenza di scrollarsi di dosso un modo "tradizionalista e obsoleto" di vivere la vita di fede, invece di darci l'opportunità di riscoprire un genuino rapporto di amicizia con Dio ci ha allontanati ancor di più da lui;
• dall'altra parte, l'atteggiamento (che Paolo rimproverava ai cristiani di Corinto provenienti dalla religione giudaica) che considera "scandalosi" tutti i tentativi di vivere la fede in maniera originale rispetto all'insieme di norme, precetti, leggi e decreti che una religione istituzionalizzata offre con sicurezza ai propri fedeli. È l'atteggiamento che sinceramente a me spaventa di più, perché vorrebbe ridurre il nostro rapporto con Dio a un cliché, a uno standard preconfezionato nell'involucro dei precetti e delle norme, al di fuori del quale è assolutamente impensabile (o addirittura scandaloso) parlare di vita di fede. Mi spaventa, dicevo, perché se il nostro rapporto con Dio dovesse essere di questo tipo, la stessa vicenda di Gesù Cristo risulterebbe un'assurdità, uno scandalo, una bestemmia. Cosa che puntualmente avviene con i tanti vecchi e nuovi farisei della storia che accusano e condannano Gesù Cristo per il suo desiderio di "distruggere il tempio" e le sue istituzioni, per ricostruirlo nuovo a partire dalla realtà più sincera e genuina del nostro rapporto con Dio: la croce.
Questo è l'insegnamento di Gesù nella Liturgia della Parola di oggi e di sempre: il nostro rapporto genuino e sincero con Dio non è questione di norme e precetti, non è questione di elementi innovativi che esulino da un senso di appartenenza a una comunità, e non è nemmeno questione di miracoli o segni prodigiosi che troppo spesso chiediamo a Dio di fare per poter credere in lui.
Come dice il Vangelo di oggi, ci deve invece "divorare lo zelo per la casa di Dio". La radice della parola "zelo" è la stessa radice della parola "gelosia", "amore cieco e folle". Ossia, è solo questione di quanto amiamo Dio, le cose di Dio, le manifestazioni di Dio nella nostra vita, attraverso atteggiamenti di obbedienza alla sua volontà, di offerta di noi stessi e della nostra vita alla causa del Vangelo e dell'uomo, di desiderio di conversione e di assoluta comunione con la vita di Dio e con le sofferenze dell'umanità.
In una parola sola, è tutta una questione di amore alla Croce.
Scandalo per i Giudei che si aspettavano un Dio legislatore, giudice e castigatore; stoltezza per i pagani che preferiscono un Dio qualunque, purché non dia loro troppo fastidio.
Ma per color che credono, potenza di Dio e sapienza di Dio.
Perché ciò che per gli altri è apparente debolezza e sconfitta, per chi crede in lui diviene fonte di vita vera e di fede autentica.
Commenti
Posta un commento