don Giorgio Scatto "La casa di Dio e il mercato"

Letture: Es 20, 1-17     1 Cor 1, 22-25     Gv 2, 13-25
1)“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile”. Conosciamo la dura esistenza degli Ebrei in Egitto: “Gli Egiziani li fecero lavorare
trattandoli con durezza. Resero loro amara la vita mediante una dura schiavitù, costringendoli a preparare l’argilla e a fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di lavoro nei campi; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.” (Es 1,14). Anche Dio conosce questa sofferenza, e non la tollera. Scende dai cieli, si compromette, libera un popolo di schiavi per dare loro la dignità di figli. Sta in questo coinvolgimento di Dio con la storia dell’uomo l’origine della fede del popolo di Israele e la ragione di quelle “dieci parole” consegnate a Mosè nel monte Sinai “Solo io sono il tuo Signore, il Dio che libera dalla schiavitù, che ama più di un padre, che guarisce ogni tua malattia. Ed io sono un Dio geloso”. Alla radice della nostra libertà c’è la scoperta sorprendente di una presenza che plasma la nostra esistenza fino a renderla conforme alla sua, in una dilatazione infinita dell’amore. Mi commuove sempre sapere come questo Dio, affinché noi potessimo abitare il mondo, abbia rinunciato alla sua onnipotente immensità, si sia ritratto perché l’uomo potesse avere uno spazio incommensurabile di libertà. Mi commuove sapere di un Dio che si è annichilito sulla croce per farci nascere come figli, ai quali tutto è stato donato: il mondo, il Cristo, e Dio stesso. “Non ti farai idolo, né immagine alcuna.” Dio non può essere “visto” se non nel volto dell’uomo, il cui prototipo è l’uomo Gesù. In lui, dice l’apostolo Paolo, “ abita corporalmente la divinità” (Col 2,9). Lui è “l’icona visibile del Dio invisibile” (Col 1,15). Stare davanti a Dio come figli, vincendo la tentazione di servire gli idoli, è per noi guardare a Gesù, imitare Cristo, diventandone discepoli. La libertà dall’idolo - che oggi ha i nomi blasfemi dell’ossessione del mercato e dell’economia - ci porta a custodire gelosamente  “il settimo giorno”, non solo come giorno per Dio, ma, insieme, come giorno per l’uomo. Il modello sociale dominante non può esaurirsi nella dimensione del consumo. L’unica offerta sociale che si avanza non può essere quella di passare la propria vita in un centro commerciale. Sarebbe una regressione e una diminuzione grave della ricchezza dell’umano. In questi tempi di crisi la domenica libera dal lavoro sarebbe la dimostrazione chiara e visibile che le nostre società non dipendono solamente dal lavoro e dall’economia. Tutto oggi si può comprare e vendere, ma la domenica, che è la nostra libertà, insieme personale e collettiva, non ha prezzo.
Una parola sulla seconda lettura: “Noi annunciamo Cristo crocifisso” (1Cor 1,23). Non con discorsi di mondana eloquenza. Non con intenti di potere, fosse anche religioso. Ma come canto libero di chi è stato incontrato, nella sua debolezza, da un Dio che per amore si è fatto debole e stolto, pietra di scarto, per arricchirci della sapienza di Dio, che edifica con le pietre scartate il suo tempio vivo. È un guaio quando l’onnipresenza del mercato invade anche lo spazio sacro del tempio, occupa i pensieri dei responsabili delle istituzioni, dilaga riempiendo di sé tutto il tempo, relegando anche Dio a immagine, occasione per il mercato stesso, a scenario fisso di un teatro dove l’uomo recita il dramma cruento di contrapposti interessi economici e politici, non raramente occultati da nomenclature e sigle religiose.
Nel racconto odierno del Vangelo, Gesù non incontra nel tempio gente che cerca Dio ma commercio. “La Pasqua giudaica era l’occasione per il grande mercato annuale, che cominciava tre settimane prima; l’importo delle licenze per l’installazione dei posti di commercio era versato al sommo sacerdote. Vi erano banchi che appartenevano alla sua famiglia. E’ probabile che il commercio degli animali per i sacrifici fosse nelle mani della potente famiglia del sommo sacerdote Anna” (J. Mateos-J. Barreto).
“Gesù scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi” (Gv 2,15). Non si tratta solo di una forte denuncia, come tante altre volte i profeti avevano fatto nei confronti di un culto ipocrita che andava di pari passo con l’ingiustizia e l’oppressione del povero. Gesù non denuncia soltanto un culto che vuole nascondere l’ingiustizia, ma il culto che è in stesso un’ingiustizia, essendo diventato un’occasione di sfruttamento del popolo. Le pecore, allora, sono figura di questo popolo chiuso nel recinto, condannato al sacrificio, se Gesù non le avesse condotte fuori. Gesù “quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” (Gv 10,4).“Gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi” (Gv 2,15). Il sistema bancario si era installato nel tempio. Anzi, il tempio stesso batteva moneta, lucrando molto nel cambio con il denaro che portava impressa l’immagine di re pagani. Il gesto di Gesù denuncia il sistema economico del tempio che era un’altra forma di sfruttamento, negazione del primato di Dio e culto dell’idolo, perché asservito all’immagine del dio pagano.“Non fate della casa del Padre mio un mercato” (Gv 2,16). Il dio principale del tempio è divenuto il denaro. Il culto si è mutato in un pretesto a scopo di lucro, che ne costituisce l’obiettivo primario. Così Gesù porta Dio fuori dal tempio, riaffermando una relazione di familiarità con lui. Non si può servire Dio e mammona.“Distruggete questo tempio”. “Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,19.21). D’ora innanzi la manifestazione della gloria di Dio si compirà in Gesù, la parola divenuta uomo, che ha piantato la sua tenda tra noi. (cfr. Gv 1,14). La parola che Gesù adopera, santuario, designava la tenda del deserto e , nel successivo tempio, il luogo che simboleggiava la presenza di Dio. Gesù è il vero santuario. Gli hanno domandato un segno; egli dà loro il segno della sua morte, che sarà il suo massimo segno d’amore all’umanità e la più grande manifestazione della gloria di Dio. Sì, l’umanità di Gesù è il vero santuario perché contiene la pienezza dello Spirito di Dio (cfr. Gv 1,32). Solidali con Lui nella sua umanità, lui che è la “pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio”, siamo anche noi costruiti come edificio spirituale, tempio vivo dello Spirito (cfr. 1Pt 2,4-5). Perché il mondo trovi un approdo alla sua inquieta esistenza.

Giorgio Scatto

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