Enzo Bianco, sdb"SE IL CHICCO DI GRANO MUORE..."

22 marzo 2015 | 5a Domenica - Tempo di Quaresima B | Omelia
Brevissima parabola narrata da Gesù, tutta in due righe. Protagonista: il chicco di grano. Il racconto: "Se il chicco di grano - caduto in terra - non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto".

Ora noi sappiamo da quali altezze quel chicco di grano, che è Gesù, è caduto nel solco della nostra storia. E sappiamo che Gesù per portare molto frutto ha accettato di morire. Dunque Gesù non è tutto e solo dolcezza e tenerezza, come a volte ci piace immaginarlo, e viene dipinto sulle immaginette o in quadri devoti di maniera. È un Gesù ruvido, che parla senza mezzi termini di cose spiacevoli, di quella realtà su cui di solito preferiamo sorvolare: la morte.

* Un giorno un intellettuale francese, Guillaume Pouget, bravo cristiano, si trovava in crocchio con alcuni suoi colleghi, persone di cultura, che discutevano da laici sulla storicità di Gesù. Uno di loro sosteneva apertamente che Gesù non era esistito, era un'invenzione umana, dei preti. Quel Pouget, da vero credente, rispose con una battuta che lasciò sconcertati. Disse semplicemente: "Non lo si inventa il Cristo, perché è troppo scomodo".

* Davvero, se lo avessimo inventato noi il Cristo, forse lo avremmo pensato più accomodante, di manica larga, con sé e con gli altri. Invece il Gesù che troviamo nel Vangelo, di cui siamo diventati discepoli col battesimo, è proprio così: un amico scomodo. Nella vita terrena non ha scelto la sterile mediocrità di chi si risparmia, non sa donarsi, pensa solo a sopravvivere, tira a campare. Gesù parla senza veli di croce e di morte. Della propria morte in croce.
E non ostante che sia così, o forse proprio per questo, i cristiani veri gli vogliono bene.

TRIONFO O MORTE?

Quando Gesù narrò la breve parabola del chicco, si trovava a Gerusalemme. Gli vennero annunciati degli stranieri, dei pellegrini greci, che volevano vederlo. Erano curiosi, come tutti i turisti, anche se non avevano ancora la macchina fotografica al collo, ma volevano vedere com'era fatta la star del momento, il vip di cui tutti a Gerusalemme parlavano. Gesù.

* E Gesù li accoglie addirittura con entusiasmo. Esclama: "È giunta l'ora che il Figlio dell'Uomo sia glorificato". Ma sono parole piuttosto sibilline. Gesù presto sarà davvero glorificato, da tutto il popolo (ricorderemo l'episodio domenica prossima, domenica delle Palme). Gesù entrerà da trionfatore in Gerusalemme, e la gente inneggerà a lui con l'osanna: "Osanna al Figlio di Davide!". Ecco la glorificazione. Che comincia con quei turisti greci.

* Ma ora Gesù prende in contropiede i suoi discepoli, e anche noi, perché dopo l'accenno alla sua glorificazione, prosegue il discorso con quell'"In verità, in verità io vi dico", che era un fortissimo richiamo a prestargli ascolto. Ascoltare che cosa? Appunto la parabola del chicco di grano, con cui Gesù allude chiaramente alla propria morte. Cioè qualcosa che è l'opposto della glorificazione.

* Allora: trionfo, o morte? Ma forse non è un'alternativa, le due cose vanno insieme.
Il trionfo a quei tempi era un cerimoniale solenne, riservato a casi eccezionali: ai condottieri vittoriosi, agli imperatori. E sappiamo la curiosa consuetudine. Sul carro trionfale dei generali romani, alle spalle del trionfatore, c'era un méntore, un funzionario incaricato di mormorargli all'orecchio due parole. Gli sussurrava, ogni tanto, in latino: "Memento mori", ricordati che morirai. Come dire: "Non montarti troppo la testa. Tutti ti acclamano, ma in realtà sei un mortale come tutti gli altri". Così il trionfatore si sentiva tirato giù con i piedi per terra, e richiamato alla realtà.

* Be', Gesù nei suoi fugaci momenti di trionfo terreno non aveva bisogno di paroline all'orecchio. Sapeva di essere il chicco di grano destinato a cadere nel solco, e accettava liberamente di morire per produrre molto frutto.
Infatti la sua morte in croce, massimo gesto d'amore da lui offerto agli uomini, sarebbe risultato pieno di efficacia, ricco di conseguenze per noi: significava, nel progetto del Padre, la redenzione, l'adozione a figli, il Regno dei cieli.

* Ora sappiamo: "In fondo nessuno muore, perché non si esce da Dio" (Antonin Sertillanges). "Non c'è un regno dei viventi e un regno dei morti: c'è il regno di Dio, e noi tutti - vivi o morti - ci siamo dentro" (Georges Bernanos).
Perciò, se la nostra vita è vissuta - sull'esempio di Gesù - come dono, allora anche a noi la morte non fa paura. E anche noi possiamo pregare con san Francesco d'Assisi nel "Cantico delle Creature", con quella lode altrimenti inspiegabile: "Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale".

DONO, SULL'ESEMPIO DI GESÙ SALVATORE

A pensarci bene, le vite donate di Gesù, del poverello d'Assisi, di madre Teresa di Calcutta, come le vite spese bene di tanti cristiani di tutti i tempi, comprese mamme e papà, sono state e sono esistenze bellissime, entusiasmanti, che valeva e vale la pena di essere vissute.

* Abbiamo la sensazione che la vita sfugge tra le dita. Ma può scivolare via come sabbia, o come seme che cade nel solco per morire e portare frutto. Se il seme non muore, dice Gesù, rimane solo. E la solitudine è squallida. "La più grande disgrazia che possa capitare è di non essere utili a nessuno, è che la vita non serva a nulla" (Raoul Follereau).
In questo tempo di Quaresima il Signore aiuti noi suoi discepoli a capire la parabola del seme che accetta la vita e la morte, perché vuole produrre molto frutto. E ci aiuti a vivere nella generosità del dono di sé. Tra i propri cari, con gli amici, e con tutti. Dono, sullo splendido esempio di Gesù salvatore.

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