padre RANIERO CANTALAMESSA"COSI DIO HA TANTO AMATO IL MONDO"
2 Cronache 36,14-16.19-23; Efesini 2,4-10; Giovanni 3,14-21
Il salmo responsoriale, uno dei più poetici del salterio (ha ispirato a Giuseppe Verdi la celebre aria del Nabucco Va pensiero) è una mesta meditazione sullo stato d’animo del po¬polo d’Israele durante l’esilio. «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo…» I
babilonesi chiedono ai figli d’Israele di cantare i loro canti tradizionali; vogliono che dimentichino la loro patria e di essere in esilio, ma essi rispondono: «Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia».
L’applicazione alla nostra situazione di credenti è trasparente. Babilonia è il mondo, la nostra vita presente un esilio (2 Corinzi 5,6). Il mondo secolarizzato fa del tutto per farci dimenticare che siamo in esilio, vuole che ci lasciamo «assimilare» alla cultura dominante. Dobbiamo reagire anche noi come gli ebrei, senza bisogno di imprecazioni, ma con la stessa determinazione, mettendo la nostra vera patria – la Gerusalemme del cielo – «al di sopra di ogni nostra gioia».
Passando al Vangelo, abbiamo l’occasione di chiarire un possibile equivoco: il mondo non è tutto e solo «Babilonia», terra di esilio e di peccato. Il brano si apre con una delle affermazioni, in assoluto, più belle e consolanti della Bibbia: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Il mondo è e rimane fondamentalmente ciò che Dio ha creato e ama!
Per parlarci del suo amore, Dio si è servito delle esperienze che l’uomo fa nell’ambito naturale. Tutti gli amori umani – coniugale, paterno, materno, di amicizia – sono faville di un incendio, che ha in Dio la sua sorgente e la sua pienezza.
L’amore paterno è fatto di stimolo, di spinta. Il padre vuole far crescere il figlio, spingendolo a dare il meglio di sé. Per questo, difficilmente un papà loderà il figlio incondizionatamente in sua presenza. Ha paura che si creda arrivato e non si sforzi più. Un tratto dell’amore paterno è anche la correzione. Ma un vero padre è anche colui che dà libertà, sicurezza al figlio, che lo fa sentire protetto nella vita. Ecco perché Dio si presenta all’uomo, lungo tutta la rivelazione, come la sua «roccia e il suo baluardo», «fortezza sempre vicina nelle angosce».
L’amore della madre è fatto invece di accoglienza, di compassione e di tenerezza; è un amore «viscerale». Le madri sono sempre un po’ complici dei figli e spesso devono difenderli e intercedere per loro presso il padre. Si parla sempre della potenza di Dio e della sua forza; ma la Bibbia ci parla anche di una debolezza di Dio, di una sua impotenza. È la «debolezza» materna. Dice: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49,15).
L’uomo conosce per esperienza un altro tipo di amore, l’amore sponsale, di cui si dice che è «forte come la morte» e le cui vampe «sono vampe di fuoco» (Cantico dei cantici 8,6). E anche a questo tipo di amore Dio ha fatto ricorso per convincerci del suo appassionato amore per noi.
Gesù ha portato a compimento tutte queste forme di amore, ma ne ha aggiunto un’altra: l’amore di amicizia. Diceva ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Giovanni 15,15).
La cosa da fare dopo aver ricordato questo amore, è credere nell’amore di Dio, accoglierlo; ripetere commossi, con san Giovanni: «Noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi!» (1 Giovanni 4,16).
Il salmo responsoriale, uno dei più poetici del salterio (ha ispirato a Giuseppe Verdi la celebre aria del Nabucco Va pensiero) è una mesta meditazione sullo stato d’animo del po¬polo d’Israele durante l’esilio. «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo…» I
babilonesi chiedono ai figli d’Israele di cantare i loro canti tradizionali; vogliono che dimentichino la loro patria e di essere in esilio, ma essi rispondono: «Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia».
L’applicazione alla nostra situazione di credenti è trasparente. Babilonia è il mondo, la nostra vita presente un esilio (2 Corinzi 5,6). Il mondo secolarizzato fa del tutto per farci dimenticare che siamo in esilio, vuole che ci lasciamo «assimilare» alla cultura dominante. Dobbiamo reagire anche noi come gli ebrei, senza bisogno di imprecazioni, ma con la stessa determinazione, mettendo la nostra vera patria – la Gerusalemme del cielo – «al di sopra di ogni nostra gioia».
Passando al Vangelo, abbiamo l’occasione di chiarire un possibile equivoco: il mondo non è tutto e solo «Babilonia», terra di esilio e di peccato. Il brano si apre con una delle affermazioni, in assoluto, più belle e consolanti della Bibbia: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Il mondo è e rimane fondamentalmente ciò che Dio ha creato e ama!
Per parlarci del suo amore, Dio si è servito delle esperienze che l’uomo fa nell’ambito naturale. Tutti gli amori umani – coniugale, paterno, materno, di amicizia – sono faville di un incendio, che ha in Dio la sua sorgente e la sua pienezza.
L’amore paterno è fatto di stimolo, di spinta. Il padre vuole far crescere il figlio, spingendolo a dare il meglio di sé. Per questo, difficilmente un papà loderà il figlio incondizionatamente in sua presenza. Ha paura che si creda arrivato e non si sforzi più. Un tratto dell’amore paterno è anche la correzione. Ma un vero padre è anche colui che dà libertà, sicurezza al figlio, che lo fa sentire protetto nella vita. Ecco perché Dio si presenta all’uomo, lungo tutta la rivelazione, come la sua «roccia e il suo baluardo», «fortezza sempre vicina nelle angosce».
L’amore della madre è fatto invece di accoglienza, di compassione e di tenerezza; è un amore «viscerale». Le madri sono sempre un po’ complici dei figli e spesso devono difenderli e intercedere per loro presso il padre. Si parla sempre della potenza di Dio e della sua forza; ma la Bibbia ci parla anche di una debolezza di Dio, di una sua impotenza. È la «debolezza» materna. Dice: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49,15).
L’uomo conosce per esperienza un altro tipo di amore, l’amore sponsale, di cui si dice che è «forte come la morte» e le cui vampe «sono vampe di fuoco» (Cantico dei cantici 8,6). E anche a questo tipo di amore Dio ha fatto ricorso per convincerci del suo appassionato amore per noi.
Gesù ha portato a compimento tutte queste forme di amore, ma ne ha aggiunto un’altra: l’amore di amicizia. Diceva ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Giovanni 15,15).
La cosa da fare dopo aver ricordato questo amore, è credere nell’amore di Dio, accoglierlo; ripetere commossi, con san Giovanni: «Noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi!» (1 Giovanni 4,16).
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