Abbazia Santa Maria di Pulsano Domenica «dell’apparizione nel cenacolo» III di Pasqua B

Lc 24,35-48; At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1 Gv 2,l-5a
Antifona d'Ingresso Sal 65,1-2
Acclamate al Signore da tutta la terra,
cantate un inno al suo nome,
rendetegli gloria, elevate la lode. Alleluia.
Nel sal 65 l'Orante vuole cantare al Signore per tutti i benefici di cui fu gratificato. Il Salmo nella versione greca e nella Volgata ha un titolo molto singolare: «canto del Salmo di resurrezione» è detto (v. 1a). Di fatto il poema parla delle prove di morte subite, e insieme dell'intervento
onnipotente del Signore, che libera e dona la sua pace ai suoi fedeli. L'applicazione alla Resurrezione è conseguente. Perciò l'Orante, nel tempo della salvezza, tempo benedetto, con un imperativo innico investe la terra intera affinché "giubili" festosamente in Dio (v. lb; anche Sal 80,2; 94,1; 97,4; 99,1). La Redenzione è avvenuta (Is 44,23).
Non esiste motivo più grande dell'opera massima della Redenzione avvenuta, la Resurrezione di Cristo.

Canto all’Evangelo Cf Lc 24,32
Alleluia, alleluia.
Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;
arde il nostro cuore mentre ci parli.
Alleluia.

Nell’alleluia all'Evangelo: Lc 24,32, adattato, si accentua la proclamazione dell'Evangelo di oggi con la riproposizione del nucleo sostanziale del fatto avvenuto ad Emmaus. Lì il Signore Risorto aprì le Scritture con tutto il loro significato, come poi ripetè ancora ai discepoli nel cenacolo (v. 45), e riempì il cuore dei due fuggitivi con il Fuoco bruciante dello Spirito Santo (Sal 38,4; Ger 20,9). Il testo qui è usato in forma epicletica, per chiedere al Signore stesso di ripetere, ancora e sempre questi fatti benedetti per i fedeli qui presenti oggi.
Il brano di Luca che la liturgia della III Domenica di Pasqua ci propone è, fra tutti gli scritti del NT, una delle prime esplicite narrazioni di un incontro visivo tra i discepoli e il risorto (cfr. anche la formulazione più sobria di 1 Cor 15,3-5). La descrizione è analoga a quella di Gv 20,19-23, che abbiamo proclamato e pregato la settimana scorsa. Il tema unificante di questa III Domenica di Pasqua è la teofania di Cristo risuscitato, le sue apparizioni ma sotto l'aspetto dell'adempimento delle Scritture, come fanno notare principalmente la prima lettura e l'evangelo.
Il Signore che per misericordia aveva voluto incontrare Cleofa e la sua sposa, disperati e fuggiaschi. Per misericordia vuole incontrare i suoi discepoli amati e manifestandosi spiega loro che tutto è avvenuto perché si adempissero le Scritture e dà loro la capacità di comprendere, da allora in poi, che tanto Mose quanto i profeti e i salmi parlano di lui (vv. 44-45). Gesù, presente in mezzo ai suoi, come portatore di pace e di perdono, è inoltre il segno vivente dell’azione liberatrice di Dio nei confronti dell'umanità.
Si tratta in primo luogo di prendere coscienza del proprio peccato e questo avviene alla luce della resurrezione, allorché anche le scritture si aprono e diventa chiaro che si è adempiuto quanto annunciato dai profeti, «che cioè il messia sarebbe morto» (v. 18 Ia lett.). «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno» (v. 46 dell’evangelo).
Così diventa chiaro anche il tremendo peccato dell'uomo e Pietro non ha paura di denunciarlo chiaramente: «Avete rinnegato il santo e il giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita» (vv. 14-15a Ia lett.). Tutti sono colpevoli di questo peccato, perché anche i più intimi amici del Cristo vi sono implicati; peccato che si ripete ogni volta che un innocente è condannato ingiustamente, un debole oppresso, un povero sfruttato.
«Ma Dio l'ha resuscitato dai morti...» (v. 15b Ia lett.); accanto al peccato dell'uomo viene subito annunciata la potenza salvatrice di Dio.
Tuttavia non basta prendere coscienza del proprio peccato, occorre fare un altro passo: ravvedersi, comportarsi d'ora in poi diversamente.
«Convertitevi dunque - suona l'invito di Pietro - e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati» (v. 19 la lett.) e lo storpio che egli ha appena guarito (cf. vv. precedenti) è un segno che questo è possibile, è un simbolo di ciò che può succedere a ognuno.
Si può «guarire» appunto perché Cristo è vivo e non per condannare, ma per rendere partecipi della sua resurrezione.
Come il Battista e Cristo avevano inaugurato la loro predicazione con l'invito alla conversione, così il Risorto e la prima comunità cristiana aprono la loro attività con il medesimo annuncio.
È una lieta novella questa che non va tenuta nascosta a nessuno, ma deve essere annunziata al mondo intero. Dove giunge Cristo ivi giunge la pace, si vince la paura, come insegna l'esperienza dei discepoli narrata da Luca. Nella sua lettera Giovanni esorta a non peccare e ci mette in guardia dal credere di essere senza peccato; se tuttavia succede di peccare ci garantisce che possiamo ottenere il perdono perché «abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo il giusto». È proprio la conoscenza di Lui che ci porta ad aderire al suo amore (l'osservanza dei suoi comandamenti) e quindi a non peccare più (vv. 3-5).
È opportuno per non spendersi in falsi problemi, individuare subito l'intenzione e la prospettiva di Luca nello stendere questa pagina conclusiva del suo evangelo. Da scartare subito un'intenzione prevalentemente storico-informativa riguardo agli ultimi episodi di Gesù risorto; infatti non si riesce a spiegare ad esempio perché i discepoli e gli undici all'apparizione di Gesù siano turbati e spauriti e perché essi ancora non credano dopo quanto è stato detto a conclusione dell'episodio precedente, dove essi stessi accolgono i due di Emmaus con le parole: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone» (24,34).
Resta anche incomprensibile, in una prospettiva puramente cronachistica protocollare, la successione di tutti questi avvenimenti: la sera due discepoli partono da Emmaus, arrivano a Gerusalemme dopo due ore; qui appare di nuovo Gesù, che tiene un discorso ai discepoli riuniti e poi li conduce fuori di Gerusalemme e si separa da loro salendo al cielo. Secondo gli Atti degli Apostoli, Gesù dopo la resurrezione si intrattiene con i discepoli per quaranta giorni prima di separarsi da loro con l'ascensione al cielo (cfr. At 1,3-11).
Lasciamoci perciò guidare dall’evangelista Luca più che dalla nostra curiosità: mediante le espressioni e le immagini usate e il genere letterario adottato, egli ci fa capire che questo brano non è un resoconto giornalistico, ma una sintesi teologico-cherigmatica (= predicazione), cioè un riassunto delle riflessioni e della predicazione che la prima comunità ha fatto sulla base delle ultime esperienze o incontri con il Signore risorto.
Di questi incontri Luca ci offre tre esempi tipici: 24,36-43 (un'apparizione di riconoscimento); 24,44-49 (un incarico e un discorso di missione) e 24,50-53 (l'ascensione).

Esaminiamo il brano

vv. 35-38 Questi versetti collegano quanto segue con la pericope dei discepoli di Emmaus e con il v. 34 dove si accenna brevemente all'apparizione del risorto a Simone. Questa scena segue immediatamente l'episodio dei discepoli di Emmaus con cui si intreccia, al punto che la pericope liturgica è costretta a introdurre nel testo alcune precisazioni per renderne comprensibile la lettura. I due di Emmaus, infatti, tornano velocemente a Gerusalemme con l'entusiasmo di chi ha fatto un grande incontro e brama comunicarlo ad altri; ma trovano che anche i discepoli in città sanno la grande notizia e sapientemente Luca mette sulle loro labbra un'antica formula di fede apostolica: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (v. 34).
Prima che i discepoli di Emmaus raccontino l'esperienza dell'apparizione del Risorto, si nomina per prima quella di Simone, che diventa così il testimone principale del Risorto.
Essi raccontano quindi «ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (v. 35): in tal modo l'evangelista sottolinea ancora una volta i temi del cammino e del riconoscimento, che tanto gli stanno a cuore e che ora riprende con il nuovo racconto. Notiamo che l'espressione «spezzare il pane» (in greco: klàsis tu àrtu; reso in latino con: fractio panis) costituisce il termine tecnico più antico, adoperato dalla comunità cristiana per indicare la celebrazione eucaristica e deriva dalla prassi giudaica di iniziare il pasto con tale gesto orante: riferito a Gesù, richiama certamente il gesto simbolico da lui compiuto nell'ultima Cena, alludendo alla propria vita «spezzata e data».
Di queste manifestazioni se ne parla nel «gruppo degli undici e gli altri che erano con loro» (aggiunta liturgica cfr v. 33), in un certo senso viene già proclamata la risurrezione del Signore, quando all'improvviso il Risorto si trova in mezzo ai discepoli.
v. 36 «egli stesso»: in greco c'è solo il pronome autós, senza il nome proprio Gesù.
«stette in mezzo a loro»: Come in Giovanni (cfr. Gv 20,19.26), anche Luca adopera un semplice verbo (éste) per indicare la presenza di Gesù che, in piedi, si colloca al centro del gruppo; evita quindi ogni particolare di «apparizione» miracolosa.
«Pace a voi»: Come in Giovanni (cfr. Gv 20,19.21.26), anche Luca riporta il saluto iniziale di Gesù nella forma «Pace a voi», con l'intento di dare al normale saluto giudaico (shalom) un significato profondo, in quanto la «pace» rappresenta l'evento messianico stesso e ai discepoli viene comunicato l'effetto dell'opera compiuta dal Messia nella sua Pasqua di morte e risurrezione.
v. 37 «sconvolti e pieni di paura»: Luca a differenza di Giovanni aggiunge alcune importanti osservazioni sulla reazione dei discepoli: questi non erano gioiosi nel vedere il Signore ma erano sconvolti e terrorizzati. I discepoli reagiscono nel modo che il cuore ancora troppo umano suggerisce davanti al Signore Risorto.
«credevano di vedere un fantasma »: Nel racconto di Luca appare per due volte il termine greco pnèuma, dai vari significati. Esso può indicare lo "spirito'' vitale di una persona, il soffio, il vento, l'anima, lo Spirito Santo; nel nostro caso ha, però, il valore di "fantasma, spettro", qualcosa di simile a quello che il re Saul vide quando si reca dalla maga di Endor per evocare lo spirito del profeta Samuele (cfr. 1 Sam 28).
Il terzo evangelista mette in guardia il lettore da una concezione della resurrezione quasi fosse un evento medianico o parapsicologico, egli vuole dimostrare in modo irrefutabile che i discepoli non hanno visto uno spirito. Ciò che segue nel racconto ribadisce l’intenzione dell'evangelista, oltre ogni incertezza, di affermare narrativamente che la risurrezione di Gesù è avvenuta nel «suo vero corpo».
v. 38 «sorgono dubbi nel cuore»: Le parole di Gesù chiariscono al lettore la reazione dei discepoli: il loro turbamento è dovuto al fatto che sorgono dubbi nel cuore. È tradotto con «dubbi» il termine dialoghismós che evoca piuttosto ragionamenti e scambi verbali, per dire come il tanto parlare che di quell'evento avevano fatto non fosse sufficiente a comprenderlo e accettarlo (cfr. 24,17).
vv. 39-43 La dimostrazione avviene in tre momenti:
1. i discepoli possono guardare le cicatrici delle mani e dei piedi del risorto (cfr. l'evangelo di Gv 20,20);
2. possono toccare il risorto;
3. il risorto mangia davanti ai discepoli.
Già con le letture di Domenica scorsa abbiamo sottolineato come la resurrezione del Cristo non sia riconducibile ad esempio con quella di Lazzaro. La resurrezione di Gesù è qualcosa di più grande, coinvolge tutto l'essere, dev'essere compresa nella sua pienezza attraverso la fede: non per nulla il Risorto non è subito riconoscibile come Gesù di Nazaret, tant'è vero che Maria di Magdala all'inizio lo scambia con il custode del giardino cimiteriale.
Necessariamente urge ora parlare di un equivoco che può sorgere a proposito della resurrezione: le espressioni «risuscitare» e «risorgere» nell'ambito dei termini categoriali descrivono il ridestarsi o l'alzarsi di una persona che dorme. Per colui che riposava, questa azione significa un ritorno allo stato di autocoscienza che egli possedeva prima di addormentarsi. Al contrario, con «risuscitare» e «risorgere» non si intende affatto un ritorno alla vita quale essa era prima della morte». Gesù non risorge «a ritroso nella vita»; si può piuttosto parlare di una risurrezione «in avanti», si tratta infatti di un passaggio a un nuovo modo di essere.
La resurrezione di Gesù costituisce un avvenimento unico ed esclusivo per cui a noi uomini mancano i termini per esprimerlo. La resurrezione di Cristo è un evento escatologico che è sì in rapporto con la storia (il corpo, le cicatrici, il cibarsi sono segno di una realtà storica), ma supera la categoria di «evento storico»; tocca il nostro mondo, ma la sua realtà piena è al di là di questo mondo.
v. 41 «per la gioia non credevano»: Nel tentativo di scusare gli apostoli, l'evangelista spiega che non credevano ancora perché erano troppo contenti, sembrava loro «troppo bello per essere vero!»: tale insistenza ha però la funzione di convincere il lettore, aiutandolo a superare i vari dubbi che l'annuncio della risurrezione poteva comportare, soprattutto in un ambiente di cultura ellenista.
v. 43 «mangiò davanti a loro»: Per l’evangelista è importante il fatto che gli apostoli abbiano mangiato con Gesù dopo la sua risurrezione dai morti (cfr. At 10,41): perciò in questo caso è detto che egli stesso mangiò con loro. Proprio da questa condivisione della mensa con il Risorto nacque per la comunità cristiana la prassi eucaristica, come reale - anche se sacramentale - continuazione dell'originale «mangiare con il Risorto».
Negli antichi codici, benché rigettato dalla “critica” moderna che tutto sospetta e tutto sfronda, è molto bene attestato qui un altro gesto. I discepoli offrono al Signore anche un favo di miele, sul quale Egli imprime i suoi denti e ne mostra l’impronta visibile.
v. 44 «queste le parole»: Al vertice dell'incontro sta la parola di Gesù che spiega il senso di ciò che è avvenuto, richiamando le parole (hoi lógoi) che aveva già rivolto loro durante la vita terrena, ma che i discepoli non avevano ancora accolto e capito.
«bisogna»: Per la terza volta nei racconti del cap. 24 ritorna l'importante forma verbale «bisogna» (24,7.26.44), per sottolineare una necessità teologica. «Bisogna (dèi) che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mose, nei Profeti e nei Salmi».
La morte e la resurrezione di Gesù è l'adempimento delle scritture sacre.
Con «la legge di Mose»,«i profeti» e «i salmi», si citano le tre parti principali in cui si suddivide l'AT. Nel v. 44 si mette in rilievo che Gesù aveva già affermato esplicitamente durante la sua vita terrena che egli doveva morire (cfr. Lc 9,22.44; 17,25; 18,32-33; 22,37). In Lc 9,45 e 18,34 si dice esplicitamente che i discepoli non comprendevano; ora, dopo la resurrezione, il senso della passione di Gesù diviene chiaro.
v. 45 «Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture»: L’evangelista in questo passaggio importante evidenzia con cura che solo la grazia e la potenza del Risorto possono «aprire» la mente umana e permettere di capire in profondità la Bibbia, in quanto Parola e Progetto di Dio: è la continua presenza del Cristo in mezzo all'assemblea eucaristica dei discepoli che rivela loro lungo i secoli il senso delle Scritture.
vv. 46-47 «Così sta scritto...»: troviamo qui elencati tutti gli elementi costitutivi del kerygma apostolico, che si trova anche nei discorsi della prima parte degli Atti.
Quale contenuto del nuovo modo di intendere la scrittura vengono nominate la passione del messia, la sua resurrezione, l'annuncio della conversione e della remissione dei peccati nel suo nome. L'annuncio parte non da Roma o da Atene, ma da Gerusalemme.
«il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» Una frase del genere non si trova in nessun testo biblico, tuttavia esprime la sintesi del messaggio teologico che si può ricavare dalla meditazione sull'Antico Testamento. Infatti il Messia Gesù, risorto dai morti, è considerato la chiave ermeneutica delle Scritture, ma al contempo sono i testi biblici che offrono preziosi chiarimenti per comprendere l'evento del Cristo. Luca stesso si è formato all'interno delle prime comunità cristiane attraverso lo studio delle Scritture, rilette nella prospettiva dell'annuncio apostolico.
v. 48 «Di questo voi siete testimoni» l'affermazione contiene una costatazione e un impegno
a) la costatazione: coloro che hanno visto il risorto lo possono anche testimoniare; nell'elezione di Mattia in At 1,21-22 è messo particolarmente in risalto che il neoeletto da quel momento è anche testimone della resurrezione di Cristo, perché è stato scelto tra gli uomini «che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato tra di noi assunto in cielo».
b) l'impegno: i testimoni non sono liberi di testimoniare o meno, essi hanno «l'obbligo» di rendere giustizia; nel caso nostro di manifestare il decisivo evento salvifico.
Gli apostoli diventano «testimoni» (màrtyres) di un evento che parte da Gerusalemme, ma riguarda tutta l'umanità, chiede cambiamento di mentalità (metànoia) e offre il perdono dei peccati (áphesis).
Lo stesso ancora per noi oggi che esultiamo gioiosi nella celebrazione dei Divini Misteri del Signore che ci ha rinnovato nella grazia della rigenerazione battesimale (cfr. i sacramenti pasquali dell’antif. dopo la Comunione: Guarda con bontà, Signore, il tuo popolo, che hai rinnovato con i sacramenti pasquali, e guidalo alla gloria incorruttibile della risurrezione) verso la gloria incorruttibile della Resurrezione della carne sotto l’amorevole e continua custodia divina.
Così infatti recita la II preghiera di Colletta:

O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio,
vittima di espiazione per i nostri peccati,
hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace,
apri il nostro cuore alla vera conversione
e fa' di noi i testimoni dell'umanità nuova,
pacificata nel tuo amore.
Per il nostro Signore...

Lunedì 13 aprile 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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