CIPRIANI SETTIMO SDB "Dio lo ha risuscitato il terzo giorno"

5 aprile 2015 | 1a Domenica: S. Pasqua - Tempo diPasqua B | Appunti per la Lectio
È cosi vasta e profonda la significazione della Pasqua, "festa delle feste", che ci troviamo in difficoltà a cogliere dalla Liturgia qualcuno dei numerosi aspetti che essa ci presenta nell'immenso fascio di luce che fa brillare davanti ai nostri occhi, attoniti e come allucinati da tanto splendore. Saremmo, ad esempio, tentati, prendendo lo spunto dall'accensione del cero e dalla solenne proclamazione dell'annuncio
pasquale nella veglia notturna, di svolgere una serie di riflessioni proprio sulla Pasqua come "sacramento" di luce: "Esulti il coro degli Angeli... gioisca la terra inondata da così grande splendore: la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore..." ("Preconio" pasquale).
Pensiamo però che sia più opportuno lasciarsi ispirare dalle letture bibliche della Messa del giorno "in resurrectione Domini", tentando di cogliere il messaggio di insieme, che a me sembra condensato prima di tutto nell'affermazione che "veramente" Cristo è risorto dai morti, e in secondo luogo che la sua risurrezione "mette a prova" la nostra fede e "dà senso" alla nostra vita.

"Essi lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha risuscitato"
La prima lettura (At 10,34.37-43) ci riporta quasi per intero il discorso di Pietro nella casa del centurione Cornelio, prima di introdurlo nella Chiesa.
È un breve riassunto dell'attività pubblica di Gesù, "dal battesimo di Giovanni" fino alla sua morte di croce e alla sua risurrezione: "E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti..." (vv. 39-42).
Non sarà difficile notare come san Pietro insista sull'esperienza "testimoniale" che lui e gli altri apostoli hanno avuto di Gesù prima che fosse ucciso, sia in Galilea che in Giudea, quando venne ucciso e, infine, quando Dio "lo risuscitò il terzo giorno e volle che apparisse" a dei "testimoni" da lui stesso prescelti. Il fatto di aver "mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti" dice una sicurezza "irrefragabile" che gli apostoli hanno degli eventi di Pasqua, per cui il credere alla loro "testimonianza" non è un rischio, ma piuttosto il più elementare gesto di "lealtà" e di obbedienza verso Dio che in Cristo, risorto dai morti, ha manifestato la sua potenza e la sua fedeltà agli uomini.
Infatti, se Cristo è risorto dai morti, vuol dire che la sua umanità è nella "gloria" del Padre e che perciò tutti noi, che egli rappresenta e impersona nella sua carne, "abbiamo nello Spirito libero accesso presso di lui" (Ef 2,18). Nel Cristo risorto Dio non può più respingere da sé gli uomini! Basta perciò accettare questo fatto, per fede, come un gesto di amore e di fedeltà di Dio per avere salvezza. È la conclusione del discorso di Pietro: "Tutti i profeti gli rendono testimonianza: chiunque crede in lui, ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome" (v. 43).

"Hanno portato via il Signore dal sepolcro!"
Più interessante ancora, sulla linea delle considerazioni già esposte, è il brano di Vangelo di san Giovanni (20,1-9) che ci riporta due episodi caratteristici, intimamente collegati fra di loro e tendenti sicuramente a testimoniare la "realtà" della risurrezione del Signore.
Il primo episodio ha per protagonista Maria di Magdala che, di buon'ora, "quando era ancora buio", va al sepolcro e "vede" che la "pietra era stata ribaltata" (v. 1). La prima spiegazione, che essa istintivamente è portata a dare, è che qualcuno abbia rubato di notte il corpo del Signore! Infatti, è quanto essa va subito a riferire a Pietro e a Giovanni: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!" (v. 2).

"Correvano insieme tutti e due"
È a questo punto che scatta la gara fra i due per arrivare prima al sepolcro: "Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro..." (vv. 4-8).
Il brano praticamente si sviluppa nella tensione fra il "vedere" la pietra ribaltata, da parte di Maria di Magdala, con la legittima deduzione che il corpo del Signore sarebbe stato trafugato da qualche violatore di tombe, e il "vedere" ultimo di Giovanni il quale, al contrario, "credette": "Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette" (v. 8). Prima di lui, però, era entrato nella cella funeraria anche Pietro, il quale pure aveva visto "le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte" (vv. 6-7), senza peraltro credere.

"Entrò anche l'altro discepolo, e vide e credette"
C'è dunque un "vedere" che non produce la fede e un "vedere" che, al contrario, la fa nascere: che Cristo sia risorto dai morti non si può dedurre né dalla tomba vuota, che poteva essere anche effetto di un furto, come di fatto aveva sul principio, e anche dopo (cf 20,15), pensato Maria di Magdala, né dall'ordine in cui vengono trovati i vari oggetti che avevano servito ad avvolgere lì per lì il corpo del Signore, come era accaduto per Pietro. Tutto questo, che l'evangelista intende indubbiamente mettere in evidenza, ha certo il suo peso, ma non è determinante per la fede: altrimenti, questa sarebbe come il risultato di un sillogismo, o di una equazione matematica, o di una dimostrazione scientifica!
Per l'evangelista il credere "dell'altro discepolo, quello che Gesù amava" (v. 2), è frutto di un particolare "vedere", che non è il "vedere" materiale di Maria di Magdala (blépein: v. 1), né quello di Pietro (theoréin: v. 6). È il "vedere (horàn) che va al di là della materialità e della "fisicità" del fatto, per coglierne la dimensione interiore e la "significatività" della cosa o della persona non solo in sé e per sé, ma anche nei riguardi di chi la osserva.
A questo punto è evidente che un tale "vedere" implica come una sintonia, una "disponibilità" a farsi commuovere, trasformare e come soggiogare dalla realtà che penetriamo: è un "vedere" congiunto all'amore, alla simpatia, alla gioia della scoperta, all'apertura alle esigenze dell'altro, alla tendenza a "riconoscersi" nell'evento o nelle persone che ci stanno davanti. Non è perciò un caso che qui "l'altro discepolo", che "vide e credette", sia stato introdotto proprio con la formula caratteristica "quello che Gesù amava" (v. 2), che è la formula con cui Giovanni nel quarto Vangelo presenta, in forma anonima e simbolica nello stesso tempo, se stesso.
È l'amore che ha permesso a Giovanni di "vedere" più a fondo e di "credere" che Gesù era risorto dai morti, senza averlo ancora visto: le "cristofanie" agli apostoli verranno descritte più tardi (20,19-29). In forza di questo amore egli solo ha compreso tutto il senso racchiuso nel sepolcro vuoto e nei panni piegati. Perciò qualcuno ha parlato, proprio in questo contesto, di "chiaroveggenza dell'amore".

"Non avevano ancora compreso la Scrittura"
Pur lodando la fede, illuminata dall'amore, di Giovanni, a cui dovette seguire anche la "fede" di Pietro, l'evangelista tuttavia sembra voler rimproverare a loro qualcosa. Ecco, infatti, come conclude il suo racconto: "Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti" (v. 9). La "fede" vera è quella che si affida totalmente alla parola di Dio, nel caso concreto la "Scrittura", non quella che cerca qualche appiglio, o qualche indizio di credibilità: come qui il sepolcro vuoto, o i pannolini tutti piegati in ordine.
L'espressione "non comprendere" (letteralmente "non sapere") è frequente in san Giovanni: a Cana, ad esempio, il capotavola "non sapeva" la provenienza del vino (2,9); la samaritana "non sapeva" il dono di Dio e chi le chiedeva da bere (4,10); nell'ultima cena i discepoli dichiarano di "non sapere" dove Gesù stia per andare (14,13), ecc.
"Tutti questi passi ci fanno comprendere la profondità dell'incomprensione, dovuta alla "novità" del mistero di Dio, di fronte alla quale l'uomo carnale è perennemente impreparato. Questa sottolineatura dell'incomprensione, e quindi della difficoltà di credere (aspetti che vedremo anche nell'episodio di Maria Maddalena e poi di Tommaso), non intendono solo mettere in luce l'impotenza dell'uomo (e quindi la necessità di una luce dall'alto), e neppure semplicemente descrivere la vera natura della fede, ma anche sottolineare il mistero della risurrezione, la sua novità inattesa e sorprendente".
E la "novità" non riguarda solo Gesù, ma direi, quasi soprattutto, noi e i nostri rapporti con lui. Se Cristo è "davvero" risorto e vive ormai nella gloria del Padre, vuol dire che la nostra "comunione" con lui continua, molto di più che quando egli era in mezzo a noi nella terra di Palestina, limitato e condizionato nello spazio e nel tempo: mediante la fede ormai ogni uomo ha la possibilità di comunicare con Cristo.

"Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù"
Ma soprattutto ha la possibilità di "convivere" con lui, perché egli si dona agli uomini nella totalità delle sue esperienze e delle sue condizioni di vita: come si è dato a noi nel mistero della sua morte, così si dona nel mistero della sua risurrezione. È quanto Paolo scriveva ai Romani: "Dio, ...che ha dato per tutti noi il suo Figlio (alla morte), come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?" (Rm 8,32). Perciò la risurrezione di Cristo implica, fin da questo momento, la nostra risurrezione!
È quanto san Paolo ricordava ancora ai cristiani di Roma, quando scriveva loro che tutto ciò si verifica nel nostro battesimo: "Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4).
Perciò nella veglia di Pasqua ha un posto tutto particolare la Liturgia battesimale, con la benedizione dell'acqua: "Infondi in quest'acqua, per opera dello Spirito Santo, la grazia del tuo unico Figlio, perché con il sacramento del battesimo l'uomo, fatto a tua immagine, sia lavato dalla macchia del peccato, e dall'acqua e dallo Spirito Santo rinasca come nuova creatura".
E appunto perché "nuova creatura", che deve "camminare in una vita nuova", è necessario che il cristiano respiri e sia come immerso in un clima di risurrezione, con il desiderio teso là dove è il Cristo risorto: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra" (Col 3,1-2). È ancora un ammonimento di Paolo, che più di tutti ha esplorato il mistero e il "significato" della risurrezione di Cristo.

      CIPRIANI SETTIMO

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