D. Severino GALLO sdb"RISURREZIONE DELLA CARNE - IL CORPO"

19 aprile 2015 | 3a Domenica di Pasqua - Anno B | Omelia
Vangelo: "Il Cristo doveva patire e risuscitare dai morti" (Lc. 24,5-48)
Gli episodi salienti del brano evangelico d'oggi sono i seguenti:
* la "frazione del pane", nella quale si esperimenta tangibilmente la presenza di Gesù
risorto, che costituisce la sostanza del mistero eucaristico;
* l'apparizione di Gesù con la sua carne gloriosa, che porta ancora i segni della Passione, per indicare che la risurrezione corporale si realizza anche per tutti i credenti in lui;
* la definitiva interpretazione messianica delle Scritture fatta per bocca di Gesù stesso, il quale finalmente può rompere il "segreto messianico" e rivelare compiutamente il senso della sua vita e del suo insegnamento;
* e infine l'invio degli Apostoli nel mondo per testimoniare appunto la sostanza di quanto è avvenuto in Gesù.

Gesù appare con il suo corpo glorioso
(Per designare una certa attrice americana, i giornalisti cinematografici e gli agenti della pubblicità l'hanno definita "il corpo". Sia o non sia dotata d'intelligenza, non è stata chiamata più con il suo nome, non la considerano più come Jean Russel o Mary Mac Donald: è semplicemente "il corpo".
Ora noi pensiamo che cosa avverrà di quel corpo tra alcuni anni, e, più ancora, che cosa rimarrà di quelle carni, dopo l'inevitabile sfacelo della morte!).
Noi vogliamo appunto intrattenerci ora sul destino dei nostri corpi, prendendo l'avvio dall'improvvisa presenza di Gesù nel Cenacolo con il suo corpo risuscitato e ancora piagato, come ce lo presenta il Vangelo d'oggi.
Esaminiamo dunque: 1. La funzione del nostro corpo - 2. La ribellione del corpo - 3. il dominio del corpo.

Il frate... bello
Oltre il suggestivo richiamo della fede, l'episodio di Gesù che vuol far "toccare con mano" d'avere ancora un vero corpo, c'invita a meditare sulla santità da raggiungersi dall'uomo intero e non solo perché anima.
a) Quando san Paolo invoca Dio gridando: "Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm. 7,24) si riferisce alle occasioni di peccato, che sono inerenti alla nostra condizione di eredi della colpa originale, di esseri deboli, di creature indecise e tentate.
Eppure questo corpo si trasforma in strumento di vita e mezzo di perfezionamento, soltanto se noi lo vogliamo, dominandolo e facendolo partecipare alla grazia.
"Glorificate e portate Dio nel vostro corpo", ci esorta San Polo (1 Cor. 6,20).
Non dimentichiamo: avremo sempre il corpo anche in Paradiso, dopo la risurrezione finale di tutti i morti.
b) Se non avessimo il corpo, non potremmo praticare le virtù della temperanza, della fortezza, della modestia, della pazienza, della castità, della costanza, della stessa giustizia e della perseveranza.
Se non avessimo il corpo, non potremmo neppure servirci dei Sacramenti, che sono proprio segni sensibili attraverso i quali fluisce in noi la Grazia. Che cosa sono tutte quelle funzioni e benedizioni che riceviamo nel Battesimo, nella Cresima, nell'Unzione degli infermi, se non un potenziamento dei sensi e l'inserimento anche del fisico nell'atmosfera spirituale e soprannaturale?.
Se non avessimo il corpo, non avremmo la somma ventura di ricevere in noi Gesù Eucaristico, non potremmo confessare le nostre mancanze, i sacerdoti non potrebbero consacrare e assolvere, (i coniugi non avrebbero motivo e modo di unirsi e non darebbero al mondo altre creature immortali).

c) Tuttavia non bisogna vivere per il corpo, farne un idolo o dimenticare che esso è in funzione di una vita trasformata.
l Beato Innocenzo V, prima di essere Papa, quando si chiamava ancora Pietro di Tarantasia, era un giovane bellissimo e così avvenente da divenire oggetto di attrazione nel suo stesso ministero. E il Priore di St-Jacques, a Parigi, doveva lasciarlo uscire il più raramente possibile dal Convento.
Ma quando fu sul letto di morte, questo Pontefice chiamò a sé alcuni Cardinali e disse loro: "Quando ero giovane si ammirava il mio corpo come qualcosa di molto bello. Guardate ora come è il mio corpo…" e scoprendo il petto mostrò come il tempo e la malattia avevano ridotto quelle membra così attraenti.

Ma in una visione superiore ogni corpo è sempre bellissimo, perché partecipa anch'esso della Grazia di Gesù.
Un ragazzaccio
Con la fatale caduta del paradiso terrestre i nostri progenitori perdettero il magnifico dono, per cui la ragione, serenamente illuminata e irresistibilmente illuminante, poteva regolare il corpo e le sue passioni.
Anche dopo la Redenzione è rimasta in noi la cicatrice di quella rovinosa ferita; i teologi chiamano "fomite", la cupidigia di quei piaceri fisici, che sono illeciti, perché contro l'ordine della natura stessa e contro la legge superiore dell'uomo nuovo, quale ognuno di noi deve essere.
(Ogni concessione al corpo, ogni esagerata cura del fisico, ogni regalo alla maggior comodità ed al gusto sensibile rappresenta un indebolimento della capacità umana di resistere alle tendenze più animalesche che il corpo pretende pazzamente e sempre.
Oggi si bada più allo spazzolino da denti che non ai sacramentali, più ai bagni di mare che non alla mondezza interiore, più all'igiene e alla cultura fisica che alla virtù ed alla formazione spirituale. Le conseguenze sono evidenti).

Nel 1671 un insigne domenicano, il venerabile de la Haye diceva: "Diffido del mio corpo tanto oggi che ho 68 anni, come quando ne avevo 25: esso è un ragazzaccio, e temo sempre che si ribelli, mi tradisca e mi attacchi e per questo l'ho sempre trattato male e alimentato peggio".
Del resto si dice che S. Alfonso, ormai ottantenne e reso curvo dai reumatismi al punto che il mento aveva scavato una piaga sul suo petto, affermasse un giorno:; "Ho ancora le stesse tentazioni, di quando ero giovane e studente all'Università di Napoli".
E' pazzesco il culto che invece il mondo moderno rende all'estetica e l'odio che proclama ad ogni mortificazione. Se vogliamo renderci conto del reale peggioramento dei costumi sociali del nostro tempo, basta che osserviamo le edicole dei giornali: il dio a cui si sacrifica più volentieri è sempre il nudismo, il corpo scoperto ed eccitante al male.
A questo proposito sarà bene ricordare ciò che notava Giovanni Papini. Diceva: "Il primo sintomo di pazzia furiosa è sempre quello di scoprirsi e di buttare via gli abiti".
Se è così, dovremmo concludere che sono davvero molti i… pazzi furiosi e soprattutto le… pazze furiose… che si aggirano in questo mondo.
In una lettera pastorale del 1952, Mons. Sebastiano de Rezende, Vescovo di Beira nell'Africa Orientale, scriveva: "Non molto tempo fa noi domandavamo ai negri di vestirsi come i bianchi: oggi dobbiamo predicare alle bianche di vestirsi per lo meno quanto le negre!
Osservando gli spettacoli di nudismo delle nostre spiagge, dei balli e di molte riunioni in società, si ha l'impressione di trovarsi a un mercato di carne umana esposta per attrarre i compratori, come usavano fare gli antichi mercanti di schiavi".
Sembra proprio che il Demonio abbia ritrovato il suo dominio sull'umanità incatenandola con le lusinghe, le attrattive e le ribellioni del corpo.


NB/ Se uno volesse prolungare l'Omelia, potrebbe continuare così:
TRA I DUE ESTREMI

Quando siamo in grazia di Dio, la risurrezione della carne si effettua già qui in terra; ci conformiamo ad imitazione del corpo glorioso di Gesù risorto, e non abitiamo più nel corpo come in un cieco carcere, secondo l'espressione di Platone, ma ne facciamo un irraggiamento dell'anima, come il fuoco che contiene la luce e ne è la proiezione.
Per giungere a stabilire un duraturo equilibrio nella nostra vita spirituale, dobbiamo guardarci da due eccessi: l'angelismo e l'epicureismo.

Scriveva Paul Claudel: "Il nostro corpo fa parte di noi stessi: siamo nel corpo non già come un cavaliere sul suo cavallo o come un marinaio nella sua barca, ma come l'operaio nel suo lavoro e come la fiaccola nel suo lume.
D'altra parte, dobbiamo però evitare di metterlo nell'occasione di cadere in peccato. E per far questo bisogna allenare il corpo ad essere anch'esso un buon servitore di Dio. Allora potremo sentirci veramente beati,. lieti nel nostro corpo e innestati nel corpo Mistico di Gesù.
Senza ricorrere a nessuna forma di masochismo, ma nell'austerità che caratterizzava gli anacoreti del deserto, tutti i Santi misero le briglie alla loro carne. San Francesco d'Assisi, pur innamorato com'era della bellezza e della vita, chiamava "Frate Asino" il suo corpo e lo trattava come tale.

A Torino, nell'atrio della cappella presso la Piccola Casa della Divina Provvidenza, si possono vedere ancor oggi gli strumenti di mortificazione che servirono a San Giuseppe Benedetto Cottolengo per divenire "il padrone a casa sua", come diceva lui.
Guido Negri, costretto ad intervenire ad un ballo poiché era Ufficiale dell'Esercito, portava il cilicio sotto l'uniforme.
Le stesse infermità e malattie sono spesso da considerarsi come un regalo che Dio manda all'uomo perché custodisca bene il tesoro del suo corpo, santuario dello Spirito.
Attraverso la malattia e la sopportazione della carne piagata, Giobbe fu giustificato, e mille santi meritarono il premio progredendo in ogni virtù.
Ma se mancasse la sofferenza che giunge a purificare il corpo, non tralasciamo di provocare volontariamente la "crocifissione senza chiodi", come la definì il piccolo Pacelli.
Imitiamo San Paolo il quale diceva: "… Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù" (1 Cor. 9,26). E la salute fisica allora? Ha già risposto Pio XII: "Mi riposerò un'ora dopo la morte".

                                                                        D. Severino GALLO sdb

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