don Luciano Cantini " Segni scritti e segni di oggi"
II Domenica di Pasqua (Anno B) (12/04/2015)
Vangelo: Gv 20,19-31
Questi sono stati scritti
Dalla sua esperienza personale Giovanni ha raccolto e raccontato sette segni compiuti da Gesù: il primo nelle nozze di Cana, il secondo, di cui si tiene il conto, ancora a Cana quando guarì il figlio del funzionario di Cafarnao, poi il
risanamento dell'infermo lungo la piscina di Betzetà, la distribuzione dei pani e dei pesci, la camminata sulle acque del lago in tempesta, Il cieco nato che ottiene la vista a Gerusalemme, la resurrezione di Lazzaro a Betania. Fra tanti fatti di Gesù che la tradizione ha raccontati come miracoli questi sono diventati scrittura assumendo la caratteristica di segni.
I miracoli raccontati dai Sinottici hanno come prima intenzione la salvezza di coloro che sono morti, o ciechi, lebbrosi, posseduti, malati di ogni genere, sono il frutto della compassione del Signore come testimonianza del Regno ormai vicino; sarebbero dovuti rimanere circoscritti perché spesso viene chiesto di tacere, di non parlare.
L'idea, invece che Giovanni vuole trasmetterci è diversa, nei sette segni testimoniati, che hanno un valore universale, c'è quanto necessario per credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e avere la vita nel suo nome.
È fondamentale, nella vita cristiana, accogliere il significato profondo di quei segni perché non rimangano documento storico passato; il fatto che siano diventati scrittura non li cristallizza ma ci dice che contengono la capacità dello Spirito di Dio di raggiungere il centro dell'individuo, fino al cuore dell'uomo, tanto da renderlo capace di conoscere e di amare Dio. Così, nella quotidianità della vita di fede, non essendo capaci di fare miracoli, possiamo compiere segni diversi nella forma e nella qualità ma con lo stesso significato e con lo stesso scopo di avere la vita nel nome di Cristo Signore.
Fece molti altri segni
La parola segno non ci lascia guardare solo al visibile, a quello che appare ma rimanda oltre nella ricerca del significato.
Se il miracolo di Cana è il più inutile, se non deleterio perché rende brilli i convitati, come segno, invece, ci mostra qualcosa di nuovo che soppianta la ritualità d'Israele, l'idea del puro e dell'impuro che aveva tolto ogni gioia nella relazione con Dio, ci mostra nel vino buono l'ebrezza della Festa con Dio. Il secondo segno ci obbliga a guardare alla fede del funzionario del re che si mette in cammino contro ogni evidenza, fidandosi solo della parola di Gesù e non pretende segni. L'infermo guarito che porta la sua barella di sabato ci fa passare i limiti, le consuetudini, i gioghi delle leggi da superarsi con la libertà dell'amore. Anche nella distribuzione dei pani e dei pesci alla folla siamo costretti a riflettere sulle ceste di avanzi raccolti, che nessuno si era tirato dietro vuote, diventate mute testimoni della condivisione che il Signore ha innescato.
Sul lago, di notte, i discepoli arrancano nella tempesta, anche se soli, anche se le loro fatiche sembrano inutili combattono ma non hanno paura, si spaventano nel vedere Gesù che va verso di loro sull'acqua, quando però il Signore sale sulla barca questa arriva subito alla riva. La vista donata al cieco nato ci pone davanti coloro che dicono di vedere ma sono ciechi, a Betania la vita sembra soffocata dalla morte, ma dobbiamo liberarci dall'idea che separa la vita dalla vita eterna, il mondo e la storia dall'altro mondo.
I molti segni che Gesù ha compiuto non sono dimostrazioni di potenza o affermazione di divinità, piuttosto indicazioni per un cammino da percorrere perché l'uomo giunga a credere.
Giovanni non usa la parola fede [solo in 14,1 e in modo relazionale], usa invece il verbo credere perché un verbo indica un'azione, che fa parte della vita. Dietro la parola fede abbiamo nascosto l'idea di dottrina da catechismo, un bagaglio di concetti e di idee che possono scivolare nella ideologia. Per togliere di mezzo ogni ambiguità, la comunità di Giovanni toglie il sostantivo fede per usare il verbo credere, ci mette in movimento, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv 13,15).
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Giovanni ci ha raccontato come la Maddalena sia arrivata a credere quando, incapace di riconoscere il Signore è stata da lui riconosciuta e chiamata per nome; l'apostolo che Gesù amava e Simone si sono lasciati mettere in moto dagli eventi, corrono, provano a cercare e a vedere ma quello che cercano non trovano e quello che vorrebbero vedere non vedono, questo basta per affermare che il primo credette perché aveva visto mentre di Pietro non si dice nulla ma che ancora non avevano compreso le scritture; il gruppo dei discepoli hanno incontrato il Signore entrato a porte chiuse nel cenacolo, hanno contemplato le ferite della passione e della morte, hanno compreso l'immagine dell'amore totale ed hanno ricevuto lo Spirito Santo per essere portatori di misericordia. Poi c'è Tommaso che ha detto «Mio Signore e mio Dio!», prima però ha voluto mettere il dito nelle piaghe.
L'umanità non è tutta uguale, le persone sono diverse, così i percorsi per credere, eppure tutti hanno bisogno di vedere.
Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili (Ignace de la Poterie).
Anche per noi il vedere può essere una via d'accesso al credere.
Oggi sono i crocifissi del nostro tempo in cui Cristo manifesta la sua passione, in cui si rende presente in modo del tutto particolare che dobbiamo vedere per credere.
Oggi non possiamo non guardare ai cristiani sparsi per il mondo perseguitati, umiliati, massacrati. Sono un dono del Signore che proclama, anzi urla, la sua presenza immortale tra gli uomini perché ancora oggi si possa realizzare il passo della Scrittura che dice Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,37).
Possiamo esprimere costernazione o rabbia, dolore o ribellione, è necessario invece traguardare la resurrezione per vederne i segni, o meglio per operarne i segni. Segni di resurrezione che parlino al mondo; questo è il credere come il Signore che ha glorificato sulla terra il Padre, compiendo l'opera che mi hai dato da fare (Gv 17,4) e che ancora oggi ci dice «Pace a voi!».
Vangelo: Gv 20,19-31
Questi sono stati scritti
Dalla sua esperienza personale Giovanni ha raccolto e raccontato sette segni compiuti da Gesù: il primo nelle nozze di Cana, il secondo, di cui si tiene il conto, ancora a Cana quando guarì il figlio del funzionario di Cafarnao, poi il
risanamento dell'infermo lungo la piscina di Betzetà, la distribuzione dei pani e dei pesci, la camminata sulle acque del lago in tempesta, Il cieco nato che ottiene la vista a Gerusalemme, la resurrezione di Lazzaro a Betania. Fra tanti fatti di Gesù che la tradizione ha raccontati come miracoli questi sono diventati scrittura assumendo la caratteristica di segni.
I miracoli raccontati dai Sinottici hanno come prima intenzione la salvezza di coloro che sono morti, o ciechi, lebbrosi, posseduti, malati di ogni genere, sono il frutto della compassione del Signore come testimonianza del Regno ormai vicino; sarebbero dovuti rimanere circoscritti perché spesso viene chiesto di tacere, di non parlare.
L'idea, invece che Giovanni vuole trasmetterci è diversa, nei sette segni testimoniati, che hanno un valore universale, c'è quanto necessario per credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e avere la vita nel suo nome.
È fondamentale, nella vita cristiana, accogliere il significato profondo di quei segni perché non rimangano documento storico passato; il fatto che siano diventati scrittura non li cristallizza ma ci dice che contengono la capacità dello Spirito di Dio di raggiungere il centro dell'individuo, fino al cuore dell'uomo, tanto da renderlo capace di conoscere e di amare Dio. Così, nella quotidianità della vita di fede, non essendo capaci di fare miracoli, possiamo compiere segni diversi nella forma e nella qualità ma con lo stesso significato e con lo stesso scopo di avere la vita nel nome di Cristo Signore.
Fece molti altri segni
La parola segno non ci lascia guardare solo al visibile, a quello che appare ma rimanda oltre nella ricerca del significato.
Se il miracolo di Cana è il più inutile, se non deleterio perché rende brilli i convitati, come segno, invece, ci mostra qualcosa di nuovo che soppianta la ritualità d'Israele, l'idea del puro e dell'impuro che aveva tolto ogni gioia nella relazione con Dio, ci mostra nel vino buono l'ebrezza della Festa con Dio. Il secondo segno ci obbliga a guardare alla fede del funzionario del re che si mette in cammino contro ogni evidenza, fidandosi solo della parola di Gesù e non pretende segni. L'infermo guarito che porta la sua barella di sabato ci fa passare i limiti, le consuetudini, i gioghi delle leggi da superarsi con la libertà dell'amore. Anche nella distribuzione dei pani e dei pesci alla folla siamo costretti a riflettere sulle ceste di avanzi raccolti, che nessuno si era tirato dietro vuote, diventate mute testimoni della condivisione che il Signore ha innescato.
Sul lago, di notte, i discepoli arrancano nella tempesta, anche se soli, anche se le loro fatiche sembrano inutili combattono ma non hanno paura, si spaventano nel vedere Gesù che va verso di loro sull'acqua, quando però il Signore sale sulla barca questa arriva subito alla riva. La vista donata al cieco nato ci pone davanti coloro che dicono di vedere ma sono ciechi, a Betania la vita sembra soffocata dalla morte, ma dobbiamo liberarci dall'idea che separa la vita dalla vita eterna, il mondo e la storia dall'altro mondo.
I molti segni che Gesù ha compiuto non sono dimostrazioni di potenza o affermazione di divinità, piuttosto indicazioni per un cammino da percorrere perché l'uomo giunga a credere.
Giovanni non usa la parola fede [solo in 14,1 e in modo relazionale], usa invece il verbo credere perché un verbo indica un'azione, che fa parte della vita. Dietro la parola fede abbiamo nascosto l'idea di dottrina da catechismo, un bagaglio di concetti e di idee che possono scivolare nella ideologia. Per togliere di mezzo ogni ambiguità, la comunità di Giovanni toglie il sostantivo fede per usare il verbo credere, ci mette in movimento, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv 13,15).
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Giovanni ci ha raccontato come la Maddalena sia arrivata a credere quando, incapace di riconoscere il Signore è stata da lui riconosciuta e chiamata per nome; l'apostolo che Gesù amava e Simone si sono lasciati mettere in moto dagli eventi, corrono, provano a cercare e a vedere ma quello che cercano non trovano e quello che vorrebbero vedere non vedono, questo basta per affermare che il primo credette perché aveva visto mentre di Pietro non si dice nulla ma che ancora non avevano compreso le scritture; il gruppo dei discepoli hanno incontrato il Signore entrato a porte chiuse nel cenacolo, hanno contemplato le ferite della passione e della morte, hanno compreso l'immagine dell'amore totale ed hanno ricevuto lo Spirito Santo per essere portatori di misericordia. Poi c'è Tommaso che ha detto «Mio Signore e mio Dio!», prima però ha voluto mettere il dito nelle piaghe.
L'umanità non è tutta uguale, le persone sono diverse, così i percorsi per credere, eppure tutti hanno bisogno di vedere.
Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili (Ignace de la Poterie).
Anche per noi il vedere può essere una via d'accesso al credere.
Oggi sono i crocifissi del nostro tempo in cui Cristo manifesta la sua passione, in cui si rende presente in modo del tutto particolare che dobbiamo vedere per credere.
Oggi non possiamo non guardare ai cristiani sparsi per il mondo perseguitati, umiliati, massacrati. Sono un dono del Signore che proclama, anzi urla, la sua presenza immortale tra gli uomini perché ancora oggi si possa realizzare il passo della Scrittura che dice Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,37).
Possiamo esprimere costernazione o rabbia, dolore o ribellione, è necessario invece traguardare la resurrezione per vederne i segni, o meglio per operarne i segni. Segni di resurrezione che parlino al mondo; questo è il credere come il Signore che ha glorificato sulla terra il Padre, compiendo l'opera che mi hai dato da fare (Gv 17,4) e che ancora oggi ci dice «Pace a voi!».
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