Ermete TESSORE sdb "IL SONO IL BUON PASTORE..."4a Domenica di Pasqua

26 aprile 2015 | 4a Domenica di Pasqua - Tempo di Pasqua B | Omelia
Il Dio cristiano non ama l'anonimato. A Lui piace mettere la faccia. Si presenta in prima persona. La formula maggiormente usata è: "Io sono".
Già nell'Antico Testamento (Es 3,16) alle pressanti richieste di Mosè, davanti al roveto ardente, Jahweh si qualifica come "Io sono colui che sono!".
Anche a Gesù piace questo modo di definirsi. Nei vangeli Egli sostiene di essere luce, pane, vita, risurrezione, via,
verità… Nel brano evangelico odierno per ben due volte ribadisce di "essere" il buon pastore che guida le sue pecore (Gv 10,11.14). Poco prima (Gv 10,7) non esita ad affermare: "Io sono la porta delle pecore".
Come mai prima si presenta come porta e poi come buon pastore? La porta è un mezzo attraverso cui passare, il pastore invece è un fine da imitare e seguire. E' la stessa ambivalenza contenuta nell'affermazione di essere via, verità e vita.
La caratteristica della via è di essere strumentale al camminare, mentre verità e vita sono mete da cercare e vivere. In Gesù mezzi e fini si identificano. Questo ha una ricaduta rivoluzionaria su tutti quelli che si qualificano come cristiani.
Ad essi non si può applicare l'affermazione di Machiavelli che i fini giustificano i mezzi, in quanto in Cristo essi si identificano senza contrapporsi. Gesù non predica la giustizia, ma la vive in quanto è giustizia.
Il Messia non è un banditore di libertà, ma è libero perché è libertà. Il Nazareno, così lo chiama Pietro nell'odierno brano tratto dagli Atti, non parla in termini altamente poetici dell'amore, ma vive l'amore in quanto è amore.
Egli è pietra testata d'angolo, allo stesso tempo prima pietra e pietra portante: è contemporaneamente fondamenta e tetto dell'edificio della fede. Lui non predica, non difende, non blinda in formule stereotipate la fede: è la fede. Non abolisce neppure uno iota od un apice della legge per il semplice motivo che dopo la sua morte e risurrezione è Lui la legge. Di conseguenza l'essenza del nostro vivere cristiano deve essere radicato e sostenuto dalla certezza che, per dirla con Pietro: "in nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati".
Il cristiano sta in piedi davanti a Gesù. Se Egli sparisce dalla sua vita, viene meno la sua ragion d'essere. Avere fede non vuol dire credere in qualcuno, ma relazionarsi lealmente con una Persona che la Risurrezione certifica storicamente essere Dio.
Il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. E' anche questo, ma non costituisce il suo nucleo essenziale. E' Gesù di Nazareth, è la sua concreta esistenza, è la sua opera, è il suo destino, è la sua personalità storica a dare senso alla fede.
Essa non può limitarsi ad una asettica adesione interiore, ad una norma morale od ad una semplice scelta di natura etica. Richiede che il cristiano apertamente si pronunci per Lui sia a livello di adesione interna che a quello esterno di sequela di vita. Al riguardo Cristo è stato molto chiaro: "Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32-33).
Noi non possiamo limitarci a predicare od indicare la porta di accesso all'ovile del Signore, ma dobbiamo essere la porta; non possiamo limitarci ad annunciare a parole il fine del camminare nella fede, ma, con la nostra immedesimazione esistenziale nel mistero del Cristo storicamente risorto ed asceso al cielo, dobbiamo essere modelli realizzati, nella contingenza di questo mondo, di questo fine.
La liturgia della Parola di questa quarta domenica di Pasqua ci ricorda, in sintesi, che il cristianesimo è Cristo stesso. E' solo Lui il mezzo attraverso cui Dio perviene agli uomini ed il fine che gli uomini devono perseguire per relazionarsi con Dio.

Ermete TESSORE

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