Ermete TESSORE SDB "MIO SIGNORE E MIO DIO!"
12 aprile 2015 | 2a Domenica di Pasqua - T. di Pasqua B | Omelia
Il brano evangelico dell'odierna liturgia descrive, in modo sintetico e chiaro, lo stato d'animo dei discepoli di Gesù nei giorni immediatamente successivi a quelli della sua morte e risurrezione.
La piccola comunità è impaurita e vive completamente acciambellata su se stessa. La morte del Signore l'ha gettata tra le braccia dello sgomento e della profonda delusione; il suo risorgere l'ha messa di fronte alla sua inconsistenza e
contraddittorietà nella fede. Le porte sbarrate del Cenacolo contrastano in modo stridente con la tomba vuota e spalancata. La profonda gioia provata da Pietro, da Giovanni, da Maria Maddalena è subito svanita, soffocata dalla incapacità di credere veramente nella risurrezione.
La paura si è impossessata delle menti e dei cuori dei primi cristiani e li ha spinti a rintanarsi, a nascondersi, a sparire dalla circolazione. Troppo è il dolore, lacerante è la delusione provata, eccessivo è lo sconcerto vissuto.
La situazione della prima comunità di Gerusalemme è molto simile a quella di oggi delle nostre comunità. Come allora, gli attuali cristiani si ritrovano insieme per pregare o per soddisfare al culto, ma si arroccano su se stessi straniti ed impauriti di fronte ad una società che percepiscono nemica ed aggressiva nei loro confronti.
Anche oggi, Gesù è costretto ad irrompere nelle comunità con fare diretto ed immediato. Senza tanti preamboli, come a Tommaso, si rivolge direttamente ad ognuno di noi usando cinque imperativi: metti il tuo dito; guarda le mie mani; metti la tua mano; ponila nel mio costato; non essere incredulo, ma credente. Il cristianesimo non è solo obbedienza, ma assunzione personale di responsabilità al cospetto del Risorto.
La bellissima professione di fede: "Mio Signore e mio Dio" non è frutto di dicerie riportate, ma di una constatazione fisica diretta. Gesù non invita diplomaticamente ad osservare il suo corpo risorto, ordina in modo imperativo di esplorarlo, di verificare di persona per non lasciare spazio al minimo dubbio o perplessità .
La sua risurrezione non deve essere oggetto di elucubrazione, fantasticherie o dimostrazioni. Deve essere esperimentata, toccata, storicizzata e vissuta sulla propria pelle. Il Risorto non è venuto per invitare al perdono, ma per vivere il perdono; non si è incarnato per condannare o descrivere le ingiustizie, ma per eliminarle; non ha attraversato la nostra storia per bandire nuove crociate o per aizzare le folle alla ribellione, ma per liberarle attraverso il suo personale martirio.
Toccare Gesù, ai tempi di Tommaso fisicamente ed oggi per mezzo dell'Eucarestia, non ci può lasciare indifferenti. Nella prima comunità dei credenti, l'esperienza della risurrezione l'ha portata a costruire una convivenza, come ci ricordano gli Atti, fondata su una concreta comunione capace di eliminare ogni genere di bisogno e di dipendenza. La profonda pace e gioia che la caratterizza non è il frutto di una arcana magia, ma la logica conseguenza della responsabile decisione di vivere tutti l'amore di Dio, osservando i comandamenti, riuscendo così a vincere la cattiveria del mondo, come ci dice la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Giovanni.
La nostra situazione esistenziale, per i ricorrenti corsi e ricorsi storici, ha molte analogie con quella dei primi cristiani. Ingiustizia e disuguaglianze dilaganti, immoralità diffusa e subdola, poteri politici e religiosi aggressivi e corrotti, famiglie sgretolate dall'egoismo, moralismo verboso ed inutile, culto ampolloso e senz'anima, tradizionalismo polveroso e stanco. E' di queste cose che dobbiamo assumere la responsabilità, dopo aver fatto esperienza del Cristo risorto.
Di fronte alla tomba vuota, dobbiamo piantarla di farci scudo delle varie obbedienze che ci tarpano le ali e ci blindano in svariate paure. Dopo aver preso atto della realtà della Risurrezione, responsabilmente dobbiamo lasciarci guidare dalla sua luce per vincere il mondo, per dare vita a nuove realtà di esistenza in cui la fraterna solidarietà, l'amore di Dio ed il vivere i comandamenti ci permettano di realizzare, giorno dopo giorno, comunità credibili e veramente risorte capaci di realizzare relazioni caratterizzate dalla vera pace e dalla autentica giustizia.
Ermete TESSORE
Il brano evangelico dell'odierna liturgia descrive, in modo sintetico e chiaro, lo stato d'animo dei discepoli di Gesù nei giorni immediatamente successivi a quelli della sua morte e risurrezione.
La piccola comunità è impaurita e vive completamente acciambellata su se stessa. La morte del Signore l'ha gettata tra le braccia dello sgomento e della profonda delusione; il suo risorgere l'ha messa di fronte alla sua inconsistenza e
contraddittorietà nella fede. Le porte sbarrate del Cenacolo contrastano in modo stridente con la tomba vuota e spalancata. La profonda gioia provata da Pietro, da Giovanni, da Maria Maddalena è subito svanita, soffocata dalla incapacità di credere veramente nella risurrezione.
La paura si è impossessata delle menti e dei cuori dei primi cristiani e li ha spinti a rintanarsi, a nascondersi, a sparire dalla circolazione. Troppo è il dolore, lacerante è la delusione provata, eccessivo è lo sconcerto vissuto.
La situazione della prima comunità di Gerusalemme è molto simile a quella di oggi delle nostre comunità. Come allora, gli attuali cristiani si ritrovano insieme per pregare o per soddisfare al culto, ma si arroccano su se stessi straniti ed impauriti di fronte ad una società che percepiscono nemica ed aggressiva nei loro confronti.
Anche oggi, Gesù è costretto ad irrompere nelle comunità con fare diretto ed immediato. Senza tanti preamboli, come a Tommaso, si rivolge direttamente ad ognuno di noi usando cinque imperativi: metti il tuo dito; guarda le mie mani; metti la tua mano; ponila nel mio costato; non essere incredulo, ma credente. Il cristianesimo non è solo obbedienza, ma assunzione personale di responsabilità al cospetto del Risorto.
La bellissima professione di fede: "Mio Signore e mio Dio" non è frutto di dicerie riportate, ma di una constatazione fisica diretta. Gesù non invita diplomaticamente ad osservare il suo corpo risorto, ordina in modo imperativo di esplorarlo, di verificare di persona per non lasciare spazio al minimo dubbio o perplessità .
La sua risurrezione non deve essere oggetto di elucubrazione, fantasticherie o dimostrazioni. Deve essere esperimentata, toccata, storicizzata e vissuta sulla propria pelle. Il Risorto non è venuto per invitare al perdono, ma per vivere il perdono; non si è incarnato per condannare o descrivere le ingiustizie, ma per eliminarle; non ha attraversato la nostra storia per bandire nuove crociate o per aizzare le folle alla ribellione, ma per liberarle attraverso il suo personale martirio.
Toccare Gesù, ai tempi di Tommaso fisicamente ed oggi per mezzo dell'Eucarestia, non ci può lasciare indifferenti. Nella prima comunità dei credenti, l'esperienza della risurrezione l'ha portata a costruire una convivenza, come ci ricordano gli Atti, fondata su una concreta comunione capace di eliminare ogni genere di bisogno e di dipendenza. La profonda pace e gioia che la caratterizza non è il frutto di una arcana magia, ma la logica conseguenza della responsabile decisione di vivere tutti l'amore di Dio, osservando i comandamenti, riuscendo così a vincere la cattiveria del mondo, come ci dice la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Giovanni.
La nostra situazione esistenziale, per i ricorrenti corsi e ricorsi storici, ha molte analogie con quella dei primi cristiani. Ingiustizia e disuguaglianze dilaganti, immoralità diffusa e subdola, poteri politici e religiosi aggressivi e corrotti, famiglie sgretolate dall'egoismo, moralismo verboso ed inutile, culto ampolloso e senz'anima, tradizionalismo polveroso e stanco. E' di queste cose che dobbiamo assumere la responsabilità, dopo aver fatto esperienza del Cristo risorto.
Di fronte alla tomba vuota, dobbiamo piantarla di farci scudo delle varie obbedienze che ci tarpano le ali e ci blindano in svariate paure. Dopo aver preso atto della realtà della Risurrezione, responsabilmente dobbiamo lasciarci guidare dalla sua luce per vincere il mondo, per dare vita a nuove realtà di esistenza in cui la fraterna solidarietà, l'amore di Dio ed il vivere i comandamenti ci permettano di realizzare, giorno dopo giorno, comunità credibili e veramente risorte capaci di realizzare relazioni caratterizzate dalla vera pace e dalla autentica giustizia.
Ermete TESSORE
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