JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Gv Gv 20,1-9 Domenica: S. Pasqua - T. di Pasqua B

5 aprile 2015 |  |LECTIO DIVINA: Gv Gv 20,1-9
La versione giovannea di quello che era successo all'alba del giorno della Resurrezione si distanzia un po' dal racconto sinottico: Giovanni ha altri interessi e differenti personaggi. Dà più protagonismo a Maria Maddalena ed al discepolo amato da Gesù. La fede nel Risuscitato non è
privilegio di chi corre di più ma bensì di chi più ama: non fu lei che arrivò per primo ma chi si seppe preferito dal Risuscitato; non sono le capacità umane quelle che meglio ci situano davanti al mistero bensì il sapersi implicato in lui. Il mistero viene compreso non da chi arriva per primo bensì da chi crede prima. E, in primo luogo, crede chi si sa amato.
Davanti alla risurrezione di Gesù, non esistono situazioni previe di privilegio: poco valse a Pietro di entrare per primo nella tomba aperta se non aveva la fede nel Risuscitato. Quello che trovò non lo fece credente. Un sapere nuovo è necessario, il sapersi amato da Gesù, per crederlo vivo: senza tante prove, l'amato è presente e vivo all'Amante dove gli altri comprovano solo la sua sparizione: chi si sente amato sa che chi l'ama è vivo. All'origine della fede sta l'amore, non quello del credente bensì quello del Creduto, Gesù Resuscitato. Credere è difficile solo per chi non si sente amato; non è difficile credere morto chi non si vede, ma sfida l'evidenza chi dice che è vivo il suo Amante. Oggi, come ieri, il credente deve sapersi amato per poter continuare a credere.
1 Il primo giorno della settimana, Maria Magdalena andò al sepolcro all'alba, quando ancora era oscuro, e vide la pietra tolta dal sepolcro.
2 Corse dove stava Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava, e disse loro:
"Hanno portato via dal sepolcro il Signore e non sappiamo dove l'hanno messo."
3 Uscirono Pietro e l'altro discepolo e andarono verso il sepolcro. 4 I due correvano insieme, ma l'altro discepolo correva più di Pietro; si affrettò ed arrivò per primo al sepolcro;
5 e, affacciatosi, vide i teli posati là; ma non entrò. 6 Arrivò anche Simon Pietro dopo di lui ed entrò nel sepolcro: 7 vide i teli per terra ed il sudario con il quale gli avevano coperto la testa, non per terra con i teli, bensì arrotolato in un posto a parte.
8 Allora entrò anche l'altro discepolo, quello che era arrivato per primo al sepolcro; e vide e credette. 9 Infatti fino ad allora non avevano capito la Scrittura: che cioè egli doveva risuscitare dai morti.

1. LEGGERE:
Capire quello che dice il testo e come lo dice

Mentre i sinottici insistono nella proclamazione della resurrezione di Gesù (Mc 16,6; Mt 28,6-7; Lc 24,5-6.34) Giovanni la narra facendo la cronaca degli incontri personali del Risuscitato a Gerusalemme, il primo giorno della settimana (Gv 20,1.19). Gv 20 è diviso in due scene: all'alba, nel sepolcro (Gv 20,1-18), si constata la sparizione del cadavere (Gv 20,2.13.15); quando imbrunì, in una casa particolare (Gv 20,19-29), si impose la presenza del Risuscitato (Gv 20,18.25.29). Gesù risuscitato, nominato fino a quattordici volte, domina il racconto.
Il nostro passaggio raccoglie il primo episodio (Gv 20,1-9) della scena intorno alla tomba vuota (20,1-18). Ancora era buio ed al buio rimasero Maria e Pietro davanti il ritrovamento del sepolcro aperto e vuoto. Il racconto, benché verosimile nei dettagli, è, soprattutto, descrizione di un cammino di fede: vedere è passo previo e necessario per credere (Gv 20,8), ma l'avere visto soltanto, non porta alla fede (Gv 20,1.7): trovarsi con la tomba vuota e con gli inutili sudari non è sufficiente per credere vivo il crocifisso.
La tomba vuota, scoperta all'alba, porta l'oscurità ambientale al cuore stesso della protagonista. Maria, una delle donne che assistettero alla morte di Gesù (Gv 21,1; 19,25). Niente si dice dell'intenzione che porta Maria al sepolcro (Mc 16,1; Lc 24,1: le donne portano aromi per ungere il cadavere; Mt 28,1: andarono a vedere la tomba). La Maddalena (Gv 20,16.18), benché ancora prima spettatrice del trionfo di Gesù sulla morte, non è credente; immagina che il cadavere - 'logicamente' - è stato rubato e corre a dirlo, anche molto logico, a Pietro e all'altro discepolo. C'è in questa reazione di Maria un doppio motivo teologico: da un lato, la visione della tomba aperta non porta da sola alla fede nella resurrezione (Gv 20,10); dall'altra, il fatto che il primo che va al sepolcro lo trovi già aperto scarta, senza affermarlo esplicitamente, il rapimento intenzionato del corpo (cf. Mt 27,64; 28,11-15).
Dietro questa prima, infruttuosa, visita, si narra la fretta dei due discepoli che competono per arrivare per primi al sepolcro (Gv 20,3-4). Pietro, menzionato in primo luogo, entra per primo nel sepolcro (20,6) vede i teli ed i veli da soli (Gv 20,6-7). Il discepolo anonimo (Gv 19,25-26), primo nel vedere la tomba (Gv 20,4), è il primo a vedere i veli (Gv 20,5; 19,40) e, soprattutto, il primo ad arrivare alla fede (Gv 20,8). Coloro che entrarono nella tomba, costatarono l'assenza di Gesù; coloro che avevano vissuto con lui e, insieme, assistito alla sua passione (Gv 18,15-16), possono certificare solo la sparizione del cadavere. Qui, i discepoli e non delle donne (Lc 24,24), sono ancora testimoni di morte (Gv 20,5-6).
Ma uno di essi, quello che arrivò per primo al sepolcro e non entrò (Gv 20,8), il quale è distinto per l'amore di Gesù (Jn 20,2) vide e credette. Vide quello che Pietro ha visto, una tomba vuota ed alcuni sudari ben disposti; ma crede che l'Assente ha vinto la morte. Per l'evangelista, ed in contrasto con la tradizione sinottica, il discepolo che meglio crede è colui che si crede più amato: poiché l'amore penetra una peculiare e profonda forma di riconoscimento, solo il discepolo che si sa amato sarà capace di vedere senza prove o, meglio, di credere nella vita del suo Signore amato quando contempla solo il suo sudario. Per il discepolo amato andrà diretta anche la beatitudine che chiude il quarto vangelo, dato che egli incominciò a credere, senza avere bisogno di avere visto (Gv 20,8.29).
Un'annotazione redazionale diretta ai lettori conclude il racconto; esprime una convinzione cristiana molto antica: la Scrittura stessa non portò alla fede nella resurrezione, benché in lei stesse l'annuncio; l'intelligenza della Scrittura non precede, ma segue all'esperienza pasquale (Gv 20,9. Cf. Lc 24,25-27.44-45). Pietro e Maria tornarono a casa sapendo che Gesù non era nella tomba (Gv 20,10): non sanno dove il suo cadavere può essere, non sanno che è vivo; sono già, ma solamente, testimoni della sua sparizione. Per crederlo vivo, bisogna sapersi amati da Lui.

2. MEDITARE:
APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Il racconto evangelico ci ricorda gli inizi stessi della nostra fede cristiana: quello che è successo in quell'alba vicino alla tomba vuota di Gesù segna il principio dell'esperienza cristiana, è il suo centro irrinunciabile. Per estraneo che possa sembrarci, la resurrezione di Gesù si resse per la prima volta, e contro ogni evidenza, giusto a fianco del suo sepolcro vuoto. Lì accorse Maria e continuò a cercare il corpo di Gesù; lì si affrettò Pietro, e rimase sorpreso di quanto vide; lì arrivò e credette, l'altro discepolo, quello che non dubitò mai dell'amore che Gesù aveva per lui. In questi tre discepoli dobbiamo vederci specchiati noi stessi, se vogliamo davvero celebrare in forma seria la sua resurrezione ed arrivare, come essi, alla convinzione che Gesù vive realmente: nell'incredulità e nella sorpresa davanti all'accaduto, nel comportamento differenziato davanti al sepolcro vuoto e lo sconcerto dietro l'accertamento della sparizione del corpo di Gesù, rimane certa la nostra incapacità di credere, ancora oggi, che Gesù è resuscitato ed è vivo.
Maria andò per primo, all'alba del primo giorno della settimana, verso la tomba di Gesù. Come tutti quelli che avevano presenziato alla sua morte, era tanto sicura di trovarlo nella sua tomba che credette che gli avevano cambiato posto quando non lo vide dove, e come, sperava. Mattiniera, ritornò con la stessa tenebra nel suo cuore: il suo incontro con la tomba vuota non la condusse alla fede nella vita. Era tanto sicura della morte di Gesù che non poteva immaginare che fosse già risuscitato, come era predetto nelle Scritture. Maria rappresenta tutti quelli che amano profondamente Gesù, che tanto sentono la sua morte ma che non pre-sentono la sua resurrezione; che piangono la sua morte tanto quanto da non pensare di rallegrarsi per la sua nuova vita, che sono tanto preoccupati di onorare il suo cadavere che non possono riconoscerlo vivo. Fino a che non si sente chiamata col suo nome, conosciuta personalmente, da un uomo che confuse con l'ortolano, non saprà che il suo amato Signore, il suo compianto maestro, è risuscitato. Maria è figura di ogni discepolo che confonde la sua necessità di Gesù con la fede, la sua voglia di credere col fatto accaduto: l'amore che sentiva per Gesù morto non lo condusse alla convinzione che era vivo; per quanta strada abbia fatto fino ad arrivare alla sua tomba, non arrivò a crederlo risuscitato. L'affetto che possiamo sentire per Gesù, reale e sincero, pratico ed intraprendente, come quello di Maria, non è sufficiente per sapere che è resuscitato. A Maria mancò qualcosa, benché gli eccedesse l'amore e il servizio a Gesù.
Pietro non fu il primo ad arrivare alla tomba, ma fu il primo che entrò, che più si avvicinò al mistero, che meglio poté comprovare la veracità di quello che era successo; ma gli mancò qualcosa, perché il massimo fu di constatare che Gesù non era lì dove avrebbe dovuto essere: il suo corpo era sparito. Lo slancio e la fretta condussero alla tomba ma non alla fede. Avendo visto i sudari e i teli, non comprese le Scritture: non seppe che Gesù non aveva bisogno oramai di sudari che non poteva stare dove abitano i morti, perché viveva già, e per sempre. Tutto quanto sapeva su Gesù lo confermava nella sua incredulità: da lontano l'aveva visto morire; ed ora che volle vederlo da vicino, non vide più che una tomba vuota. La sua corsa e la sua prodezza non lo fece diventare credente. Mancò qualcosa a Pietro che aveva voglia di vedere; non facilita la fede arrivare per primi dove Dio non è.
L'altro discepolo che era arrivato prima alla tomba, arrivò per primo alla fede: a differenza di Pietro non osò entrare nel sepolcro; per credere gli bastò vedere quello che vedeva Pietro; a differenza di Maria, seppe resistere alla sorpresa di una tomba vuota senza fuggire. A differenza dei due, il discepolo che credette per primo era quello che si sapeva amato da Gesù. Chi si sa amato da Gesù, sa che Lui è vivo: la convinzione che l'amico vive è facile per colui che non ha dubbi del suo amore. Al discepolo credente gli mancavano molte conoscenze che ebbero Maria e Pietro, ma ebbe quello che conta realmente per credere: l'amore che Egli ha per noi e che deve portarci ad avere fede e crederlo vivo. Chi si sente amato, scopre la presenza del suo amico dove altri non vedono altro che vuoto: chi non dubita dell'amore che Cristo Gesù ha per lui, non ha ragione per crederlo ancora morto; siccome si sa amato, neanche davanti alla tomba aperta del suo amato Signore si piegherà davanti a quello che, agli occhi degli altri, è semplice evidenza: chi si sa amato da Dio scopre le orme della sua presenza dove tutti costatano la sua morte o la sua sparizione.
Credere nella risurrezione di Gesù, credere che c'è una vita assicurata dietro le nostre sicure morti, suppone scoprirsi amati da Dio, senza ragioni previe e senza meriti propri. Non dovrebbe risultarci troppo difficile credere che Gesù vive: basterebbe che lo lasciassimo parlare, riconoscerci discepoli amati da Gesù e trasformarci in credenti nella sua resurrezione. La fede cristiana, il sapere Cristo vivo, è molto più del sapere che Dio è buono o che, semplicemente, qualcosa deve esistere dopo la morte: è sentirsi cordialmente caro e desiderato da Dio, sapersi amato e protetto nel cuore di Dio; saperlo vivo, perché ci sentiamo amati da Lui. Credere in Cristo è, dunque, fondamentalmente un "sapere" di amicizia. E dovremmo riflettere e vedere se oggi le nostre difficoltà di fede non sorgono dalla nostra incapacità di saperci amati da Dio: siccome non crediamo che realmente Dio ci predilige, che si preoccupa per noi, che perde tempo per noi, non riusciamo a sentirlo vivo e realmente vicino a noi.
E per quel motivo, per non credere in Lui, per non crederci amati da Lui, perdiamo l'occasione di convertire ogni morte che troviamo durante la nostra vita in un incontro col Dio che ci ama. Chi crede in Gesù Risuscitato sa che più tardi o più presto l'amore onnipotente, l'amore onnipresente, di Dio deve vincere ogni morte, già sperimentata e quella che si teme ancora. La risurrezione di Gesù ci insegna che l'amore di Dio finisce sempre per prevalere: potrà ritardare forse, tre giorni nel caso di Gesù, ma finisce per vincere; la morte, ogni morte, mette in questione l'amore di Dio; ma Dio ha incominciato già a distruggere la sua sovranità liberando Gesù dalla morte.
Se Dio continua ad amarci, e non ci sono ragioni per dubitarne, tanto meno oggi che celebriamo la resurrezione di Gesù, la pace e la giustizia hanno futuro, la fraternità e la solidarietà sono possibili, la vita senza minacce né ostacoli ci è assicurata: tutte le tombe, perfino quelle che si chiudono oggi, possiamo dichiararle, come la morte che si realizza oggi, momentanee e, soprattutto, già vinte. Non sarà più un'illusione, se ci afferriamo al nostro essere di discepoli fedeli: se Dio ci ama, non esistono per noi frontiere che ci separano dal suo amore infinito. Il Dio che liberò Gesù dalla tomba non si fermerà fino a tirarci fuori dalle nostre. E se lo crediamo in realtà, se in realtà celebriamo oggi la resurrezione di Gesù, vivremo superando quelle morti ed affrontando ogni sepoltura senza lasciare che muoia la nostra speranza né seppellire la nostra fede in Dio.

                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

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