JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA: Lc 24,35-48 "Avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane"

19 aprile 2015 | 3a Domenica di Pasqua - T. di Pasqua B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Lc 24,35-48
La versione lucana dell'incontro di Gesù Risuscitato coi suoi discepoli ha due centri di gravità. La prima cerca di superare l'incredulità dei discepoli risaltando la veracità dell'evento; l'Apparizione non è di un fantasma, può mangiare ed essere palpato, essere visto e sentito. Il narratore torna ad insistere nell'incapacità dei testimoni di credere in quello che stanno vedendo e capire quanto
sentono: di non essere stati con Gesù, di non averlo seguito dandolo per morto; il Risuscitato dovette impegnarsi a fondo per dimostrare la realtà della sua vita. Il secondo centro di interesse del racconto vuole convincere il credente: quello che è successo è parte di un progetto divino; attua le promesse di Dio e porta salvezza a chiunque lo accoglie, come lo stesso Gesù ha dimostrato ai suoi primi discepoli. Credere, dunque, nella resurrezione di Gesù è affermare che esiste un programma divino che ci ingloba: Gesù vivo oggi, è oggi nostra speranza, rassicura il nostro domani ed il nostro futuro; il testimone di Gesù spera in quello che crede e crede in quello che spera. Sa che Cristo vive nella vita di chi sa che l'ha trovato perché Risuscitato. Chi vive oggi con lui, vivrà per sempre in sua compagnia. Dovrà far diventare realtà quella speranza per renderla credibile.
In quel tempo,
35 i due discepoli ritornati da Emmaus raccontavano quello che era accaduto per la strada e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. 36Stavano parlando di queste cose, quando si presenta Gesù in mezzo ad essi e dice loro:
"Pace a voi."
37 Pieni di paura per la sorpresa, credevano di vedere un fantasma. 38Egli disse loro:
"Perché vi allarmate?, perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani ed i miei piedi: sono proprio io. Toccatemi e rendetevi conto che un fantasma non ha carne ed ossa, come vedete che ho io."
40 Detto questo, mostrò loro le mani ed i piedi. 41E poiché per la gioia stentavano a credere, ed erano pieni di stupore, disse loro:
"Avete qualcosa da mangiare?" 42 Essi gli offrirono un pezzo di pesce arrostito. 43 Egli lo prese e lo mangiò davanti ad essi. 44 E disse loro:
"Questo è quello che vi dicevo mentre stavo con voi: che tutto quello che è scritto nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi riguardo a me doveva realizzarsi."
45 Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture. 46Ed aggiunse:
"Così era scritto: il Messia soffrirà, risusciterà tra i morti il terzo giorno, 47e nel suo nome si predicherà la conversione ed il perdono dei peccati a tutti i popoli, cominciando da Gerusalemme. 48Voi siete testimoni di questo."

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Luca chiude il suo vangelo narrando una lunga intervista di Gesù con due dei suoi i suoi discepoli che situa a Gerusalemme (Lc 24,36-49.52-53) e paraggi (Betania: Lc 24,50-51) al tramonto del primo giorno della settimana (Lc 24,1.29). Al calar del giorno, essendo riuniti i discepoli, si è presentato improvvisamente Gesù in mezzo ad essi e dà loro la pace (Lc 24,36; Jn 20,19). La sua presenza li sconvolge, scatenando sorpresa ed incredulità: non possono credere a quello che vedono e credono che sia un fantasma (Lc 24,37.39). A ben poco è servita l'apparizione a Pietro (Lc 24,34) e la testimonianza di quelli di Emmaus (Lc 24,35). Gesù che si meraviglia della loro reazione, deve impegnarsi a fondo per convincerli della sua identità: si lascia palpare, poiché il vederlo non è sufficiente (Lc 24,39) e finirà per mangiare quello che hanno (Lc 24,41) per condurli al riconoscimento (Lc 24,39) ed alla gioia (Lc 24,41).
Di nuovo, come già quelli di Emmaus (Lc 24,17.32-33), i discepoli passano del sorpresa iniziale (Lc 24,37, all'allegria Lc 24,41) una volta superati i dubbi (Lc 24,38). Il Risuscitato deve convincere i suoi testimoni, vincendo le loro resistenze (Mt 28,17; Lc 24,11; Jn 20,25-27): l'incredulità non nasce in primo luogo nel cuore dei nemici, ma l'alimentò l'incapacità dei testimoni. Oltre ad un'indubbia intenzione apologetica, il fatto risponde a verità. Il dubbio fu la prima reazione ma dopo si fecero suoi annunziatori. E dal dubbio non sarebbero usciti, se il Risuscitato non si fosse impegnato a fondo per dissiparla: dovrà lasciarsi toccare e mangiare insieme a loro. Con ciò Luca non vuole dire niente sulla realtà corporale del Risuscitato; poter essere toccato e mangiare non prova le nuove capacità del corpo risuscitato; appoggia, quello sì, l'obiettività dell'esperienza dei testimoni. Smisero di crederlo un fantasma perché convissero strettamente con lui, come l'avevano fatto prima della sua morte; nessuno, dunque, meglio di essi che non credevano a quello che vedevano, poterono essere testimoni degni di fede.
Guadagnati dal Risuscitato, può finalmente catechizzarli. Il discorso ha due parti, introdotte in forma identica (Lc 24,44a.46a); nella prima, Cristo scopre il senso profondo di quanto aveva detto loro già durante il suo ministero (Lc 24,44b-45), nella seconda, allude ai compiti futuri dei discepoli (Lc 24,46-49): quello che aveva detto mentre viveva con loro ed ora spiegato, ha come obiettivo la missione che viene loro affidata.
Come fece già prima (Lc 24,6-7.26-27) il Risuscitato ricorda ai suoi discepoli che quello che era successo era già stato predetto da lui (Lc 9,22; 17,25; 18,31-33) e che si compie ciò che era stato annunciato nella Scrittura. L'identificazione tra la sua vita, passata e presente, ed il progetto di Dio è perfetto. Ma non lo capisce chi vuole, bensì coloro ai quali glielo faciliti: è il cuore, non la scrittura, quello che bisogna aprire. L'esperienza pasquale è la luce da dove bisogna capire la predicazione di Gesù, stessa cosa che la Parola di Dio; a partire da lei, si apre il senso della Scrittura ed in lei si vede annunciato il destino di Cristo (Lc 24,46), in concreto, la necessità della sua morte, l'annuncio della sua resurrezione e la proclamazione della conversione ed il perdono a tutte le genti.
Luca responsabilizza perfino il Risuscitato dei contenuti del vangelo che annunzia agli evangelizzatori. La missione del compito di evangelizzatore è un ordine al quale non si potrà sottrarsi. Istruiti, ricevono ora la missione di predicare ad ogni creatura (Lc 24,47) la conversione (Atti 2,36-38), la promessa del Padre (Lc 24,49) ed il mandato di rimanere a Gerusalemme, da dove devono incominciare l'evangelizzazione cristiana (Atti 1,8) quando ricevono il potere che fa di loro i testimoni di tutte queste cose (Lc 24,48).

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Il vangelo insiste nel fatto accaduto quel primo giorno della settimana, nel quale Gesù Risuscitato si trovò coi suoi discepoli per liberarli dai loro dubbi e dalle loro paure, e convincerli che realmente era vivo. A noi può sembrarci provocante, inspiegabile perfino, senza giustificazione possibile, che i più vicini a Gesù tardassero tanto ad arrivare a credere che era risuscitato. Dimentichiamo che l'avevano visto morire e conoscevano il posto della sua tomba. Essendo stato testimoni oculari della sua morte, non erano molto preparati per accettare la realtà di una vita alla quale non potevano pensare, della quale non avevano esperienza alcuna e che nemmeno se l'aspettavano.
Non oggi siamo in migliori condizioni che i primi discepoli per arrivare alla convinzione che Cristo vive. Non l'avendo visto morire in croce, difficilmente possiamo immaginarcelo vivo tra noi; e questo è il nostro male. Viviamo confessando che Cristo è risuscitato, ma dovendo riconoscere che noi, dato che non l'abbiamo trovato mai, non siamo in fin dei conti tanto sicuri di ciò. Ci costa poco ripetere con le labbra l'affermazione della sua resurrezione, perché non l'abbiamo visto morire in croce; ma non riusciamo a sentirci accompagnati dal Risuscitato. E, come quei discepoli, viviamo non credendo in realtà quello che diciamo di credere: il nostro cuore non concede credito a quello che professano le nostre labbra. Non vacilla davanti a nulla, né davanti alla morte - quella dei suoi o la propria!- chi la sa vinta in Cristo Risuscitato. Da dove, dunque, procedono le nostre paure ed il nostro non sperare? Come spiegarci che non siamo sicuri che esiste una vita dopo la morte, se confessiamo che Cristo risuscitò dai morti?
Chissà se ci manca la prodezza di comunicarci gli uni gli altri la fede che viviamo, il coraggio per dirci la speranza della quale ci alimentiamo nell'avversità, la semplicità per sincerarci con quanti condividono il nostro amore a Cristo. Senza dubbio ci sorprenderebbe costatare che siamo tanti quelli che abbiamo messo la nostra migliore speranza in Cristo, tanti quelli che sentiamo che è vivo il nostro Signore. Ma è necessario che ce lo diciamo apertamente: la fede che non si esprime, se non è già morta, è fede condannata a morire. Ed è possibile che la nostra fede stia morendo, perché ci ostiniamo a viverla nell'intimità, per noi stessi. Colui che sa che Cristo è risuscitato, non può tacerlo: dovrà dirlo al mondo, incominciando, come i primi discepoli, dai più vicini.

L'episodio di Emmaus ci ricorda oggi che Gesù si rese presente a coloro i quali si trovavano insieme raccontandosi quanto avevano visto e sentito. Non credevano ancora, ma parlavano già di tutto quello che era successo. E mentre conversavano, il Risuscitato irruppe in mezzo ad essi; è vero che dovette vincere le loro paure ed i loro dubbi, ma già si stavano convincendo gli uni gli altri di averlo visto vivo. Possiamo perdere anche oggi l'opportunità di trovarci con Cristo, solo perché non ci troviamo con quelli che condividono con noi la fede e la speranza in Cristo Risuscitato. Può darsi che la nostra fede non sia ancora molto motivata, ma ciò non è ostacolo per smettere di condividerla.
Chi vive la propria fede al di fuori della comunità credente, non potrà assicurarsi contro la perdita di tale fede: credere nel Risuscitato è possibile unicamente in comune, facendosi forti gli uni dell'esperienza degli altri, dando contemporaneamente speranza agli altri dando il nostro tempo e le nostre attenzioni. La migliore difesa della fede comune è il suo vissuto in comune: condividendo quello che noi sappiamo già di Gesù con chi ancora non lo conosce tanto, testimoniando chi è per noi e come siamo arrivati alla convinzione che vive realmente, faremo possibile ad altri quella fede che abbiamo già e ci prepariamo meglio ad un nuovo incontro con lui che ci confermi nella certezza della sua risurrezione.
Oggi, più che mai, quando la nostra fede è più minacciata, quando i credenti, solo per essere tali, ci sentiamo meno compresi e non ci si prende sul serio perché continuiamo a credere in Cristo, allora ci è presentata una opportunità unica per ritrovare l'entusiasmo della fede e la fiducia in noi stessi: torniamo a dirci gli uni gli altri la nostra fede, confidiamoci mutuamente i nostri sforzi per rimanere fedeli, celebriamo la nostra speranza comune, ed il Signore, come in quel primo giorno della settimana, si lascerà vedere da noi; e liberandoci della nostra angoscia ci riempirà della sua pace. Chissà se non è tanto pesante l'essere credenti, solo perché vogliamo riuscirvi da soli, fidandosi delle nostre sole forze!
Bisogna pensarlo sul serio: Gesù si lasciò vedere e toccare da quelli che trovò riuniti, condividendo insieme la loro incertezza ma anche la convinzione che era vivo. Fece tutto il possibile per persuaderli convivendo con essi, mangiando alla loro tavola e spiegando loro quello che non capivano ancora. Di quanto non ci staremo privando noi, persistendo nel vivere in solitudine la nostra fede, senza l'appoggio di coloro che hanno creduto prima o credono più e meglio di noi!
Ci stiamo privando, certamente, della certezza di avere Gesù a nostra disposizione, non convivendo con chi osa condividere vita e fede con gli altri; e quello che è ancora più importante, stiamo perdendo l'occasione di sentire Gesù, mentre spiega tutte quelle cose che non capiamo ancora del tutto, mentre dissipa i nostri dubbi e vince le nostre paure. Spesso ci lamentiamo di non sentire Dio; ci sembra che ogni giorno Egli ci dice meno, e perfino incominciamo a dubitare che sia già disinteressato di noi; e ci allontaniamo da coloro che lo sentono ancora, da quanti ancora sono in comunicazione con Lui e lo ascoltano. Non è molto logico il nostro comportamento: non sentire vicino Dio non dovrebbe allontanarci da coloro che lo hanno vicino; non captare la sua voce non deve distanziarci da quanti sanno ascoltarlo. Dovremmo, piuttosto, usare le nostre difficoltà nel vivere la fede per cercare con maggiore interesse coloro che le hanno sapute superare, o stanno tentando, perché li affrontano insieme.
Vivere in comune la fede rende più facile la fedeltà, perché Gesù si mostra a chi lo aspetta in compagnia. Non c'è tempo da perdere: se ci pentiamo della debolezza della nostra vita di fede, se non siamo molto convinti che Cristo vive realmente e non riusciamo ad appoggiare su di lui le nostre speranze, cerchiamoci un posto, alcune persone, una comunità dove si parla più spesso e col cuore di lui: risorgerà la nostra fede e rivivrà la nostra speranza. Varrebbe la pena di tentare. Prima di perdere Dio, perdiamo un po' più del nostro tempo, alcune delle nostre occupazioni preferite, qualcosa della nostra vita, cercandolo vicino a chi condivide con noi l'anelito di trovarlo. Siamo ancora troppi quelli che siamo interessati a Cristo Risuscitato: Egli non smetterà di venire all'incontro di chi, insieme ed uniti, lo cerchiamo.

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