MACHETTA Domenico"In nessun altro c'è salvezza"| 4a Domenica di Pasqua

26 aprile 2015 | 4a Domenica di Pasqua Anno B | Appunti per la Lectio
1ª LETTURA: At 4,8-12
"In nessun altro c'è salvezza", dice Pietro nel discorso infuocato degli Atti al capitolo quarto, dopo la guarigione dello storpio. Pietro cita il Salmo 117/118 ricordando "la pietra scartata dai costruttori". Pietro e Giovanni erano stati arrestati per un "beneficio recato ad un uomo infer- mo"; in realtà ciò che turba le autorità è una via nuova che mette in crisi i benpensanti del
mondo. Se Pietro e Giovanni avessero dato allo storpio quello che lui si aspet- tava, cioè quattro soldi, non sarebbe successo niente, tut- to sarebbe andato avanti come prima e lo storpio sarebbe rimasto tale; ma la Chiesa (Pietro e Giovanni) non ha "né argento né oro" (lezione estremamente urgente) e quello che ha deve darlo: "Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina!".
Esci dall'Egitto, esci da Babilonia, alzati e cammina... C'è qualcosa di nuovo che turba gli Erodi e gli àrchontes, i potenti della terra, che sempre congiurano insieme con- tro il Signore e il suo Cristo; qualcosa di inaudito, che ci raggiunge se ci lasciamo "strappare" dal potere delle tene- bre, se facciamo esodo dalla mondanità, se ci lasciamo de- tronizzare. È il terminus ad quem del cammino dell'uomo: diventare figli di Dio. Con entusiasmo Giovanni esplode in questa affermazione (2ª lettura): "Vedete quale grande
amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!".

VANGELO: Gv 10,11-18
La domenica classica del buon Pastore ci presenta, nel- l'anno B, i versetti 11-18 del capitolo 10 di Giovanni. C'è subito un contrasto tra il pastore e il mercenario, quasi una definizione delle due figure: il buon pastore offre la vi- ta per le pecore; il mercenario invece, nel pericolo, fugge, perché "non gli importa delle pecore". La differenza sta nella cura: il pastore cura le pecore, il mercenario cura se stesso. Il mercenario non sta sulla breccia, ma si preoccu- pa di salvare se stesso.
La figura del pastore è amata dal mondo biblico, per cui diventa naturale pensare a Dio come al pastore ideale, che cura e difende le sue pecore. E allora abbiamo pagine stupende nell'AT su Dio-pastore, tra cui il Salmo 22, do- ve emerge il tema della "cura" e della "difesa": "...tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicu- rezza". Si senta la risonanza dell'"Io sono" del roveto ar- dente, il tema dell'Emmanuele, per cui quando Gesù dirà:
"Io sono il buon pastore", sentiremo chiara un'autopro- clamazione della sua divinità.
Gesù è il pastore buono, bello, perfetto (kalós), che "co- nosce" le "sue" pecore. Ogni parola va pesata con amore. Prima di fare l'omelia su questo testo, è necessario, più che mai, adorare e pregare su queste parole. Ricordiamo intan- to la portata biblica del verbo "conoscere", che indica sem- pre un rapporto vitale intimo. Il nostro Dio è il Dio dei rap- porti, del tu-per-tu: "Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre". Alla luce di questo testo, l'unica cosa essenziale del- la vita è questa "conoscenza", il resto è tempo sprecato. Il mondo, dice Giovanni, "non ha conosciuto lui" (2ª lettura).
Il prezzo di questa "conoscenza" è dare la vita. Il buon pastore conosce le sue pecore e per loro offre la vita: lette- ralmente, "depone" la vita (verbo títh¯emi). Con un supre- mo atto di libertà si consegna volontariamente alla morte, perché nessuno può toccare Gesù finché non giunge
"l'ora" stabilita: "Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di


MACHETTA Domenico

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