Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola,Messa in Coena Domini

Gio 1,1-3, 5.10;1Cor 11,20-34; Mt 26,17-75
Duomo di Milano, 2 aprile 2015
Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano
1. Mentre viene consegnato, consegna se stesso
«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito prese il pane…» (Epistola, 1Cor 11,23a). Così
afferma la Prima Lettera ai Corinti nel frammento più antico che la Chiesa possiede sull’Ultima Cena di Gesù. Questo passaggio biblico marca perciò la continuità cronologica tra l’istituzione dell’Eucaristia e l’inizio della Passione.

2. Estrema dedizione e suprema libertà
«Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo» (Vangelo, Mt 26,31) «Sarò per voi pietra di inciampo» annuncia Gesù ai dodici subito dopo la Cena. In effetti il succedersi concitato e drammatico degli eventi vede Lui, il Signore, subire l’azione ingiusta e violenta di altri: l’incapacità dei suoi a vegliare con lui, l’odioso bacio di Giuda,  la cattura con spade e bastoni, come fosse un ladro, e poi gli sputi e le percosse, lo scherno dei soldati e il rinnegamento di Pietro… Egli subisce tutto questo senza fare resistenza. Dunque per il Figlio di Dio Onnipotente, il Signore della vita che ha risuscitato Lazzaro, il Maestro che ha infiammato le folle, passione è subire? È sinonimo di passività, di scandalosa impotenza? No, perché Egli beve fino all’ultima goccia questo calice preparatogli, liberamente. Sponte, dice l’avverbio latino della formula eucaristica, per indicare una prontezza disponibile.

3. Forma eucaristica dell’esistenza e radice inestirpabile di unità
«Cristo per la salvezza del mondo si è consegnato, si è offerto alla passione» (Canone ambrosiano del Giovedì Santo). L’amore infinito di Dio per l’uomo, nel sacrificio eucaristico che rende presente il sacrificio della Passione Morte e Resurrezione di Gesù, trasforma ogni circostanza di segno negativo – ogni sofferenza, perfino ogni ferita inferta all’uomo dall’uomo per il peccato se viene confessato – in una circostanza di segno positivo, perché diventa luogo privilegiato per fare esperienza della Sua misericordia.
Alla tavola dell’Ultima Cena in uno dei convitati (Gesù) abitava il Dio vivente e in un altro (Giuda) il diavolo. Contro Gesù il diavolo non può far nulla. Ma l’amore fragile degli altri apostoli, di noi oggi, si affievolisce, se si raffredda può portare ancora il nome di amore ma, sotto l’azione di Satana si trasforma nel suo opposto: il piacere egoistico (cfr A. von Speyr).
Amici, immedesimiamoci con Paolo: l’amore di Cristo ci possiede (cfr 2Cor 5,15). Così noi, conquistati da tale amore, partecipando all’Eucaristia, siamo introdotti nella logica del dono come legge della vita. Così tutta la nostra esistenza acquista una “forma eucaristica”. Ed è posto il principio indistruttibile dell’unità tra noi e con tutti i nostri fratelli uomini. «Nella comunione eucaristica – ha scritto San Giovanni Paolo II – si realizza in modo sublime il dimorare l’uno nell’altro di Cristo e del discepolo» (Ecclesia de Eucharistia, 22).

4. Date loro voi stessi da mangiare
Ma noi a questo amore possiamo fare resistenza. San Paolo nel brano della Lettera ai Corinti che abbiamo sentito proclamare non usa mezzi termini contro coloro che non lo riconoscono e perciò si chiudono a questa logica: «… chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (Epistola, 1Cor 11,29b).
Parlando di “Chiesa in uscita”, un tema a lui molto caro, Papa Francesco ha detto: «Più della paura di sbagliare spero ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, […] mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”» (Messa conclusiva GMG Rio 2013). L’invito di Gesù che il Papa ci ricorda comprende certamente la condivisione del cibo, ma non si ferma a questo. Ad imitazione del loro Maestro e Signore i cristiani sono tesi a condividere con i fratelli tutta la vita.
Expo è ormai alle porte e la Chiesa intende in questa occasione testimoniare, con le parole e con le opere, questa integralità nell’affrontare i bisogni dell’uomo. Intende farlo come faceva Gesù che dilatava il bisogno in desiderio. Gli apostoli avevano bisogno di lavarsi i piedi. Gesù, che è figlio di Dio si fa carico di quel banale – per un giudeo – bisogno, ma lo trasforma in un segno del Suo amore che libera. Vuole che loro – pensiamo a Pietro –, abbiano parte con Lui. Cosa può compiere l’umano desiderio più del bell’amore?

5. Gesù, il volto della misericordia
«Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Lettura, Gio 3,10). I cittadini di Ninive prendono sul serio il richiamo che Giona fa loro a nome di Dio e si convertono. E la loro conversione, in un certo senso, “converte” Dio stesso, Gli fa cambiare posizione. Dio non è un essere statico, separato dalla storia, ma è con noi come presenza viva che ci precede nell’amore e cambia al mutare dei nostri cuori e delle circostanze che ci riguardano. Questa è la ragione della preghiera: lasciarsi guardare da Lui e parlare con Lui che sempre si prende cura di noi.
Fra pochi istanti i cantori, disponendosi intorno all’altare, animeranno la preghiera del nostro cuore con una antica antifona ambrosiana: «Non ti bacerò tradendo come Giuda, ma affidandomi completamente a te, come il ladro sulla croce, ti imploro: ricevimi Signore nel tuo Regno».
Amici, nei misteri di questo Triduo Santo, contempliamo il vertice di questa “conversione” di Dio che, nel Figlio Innocente, si consegna liberamente alla morte per liberarci dal peccato e dalla morte. Gesù sulla croce ci offre lo Spirito e si rivela come il nome, o meglio il volto della misericordia del Padre. Amen.

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