padre Ermes Ronchi"Quel tocco del Risorto che trasfigura"

III Domenica di Pasqua (Anno B) 
Vangelo: Lc 24,35-48
Non sono un fanta­sma!
Mi colpisce il la­mento di Gesù, una tristezza nelle sue parole, ma ancor più il suo desiderio di essere toccato, stretto, ab­bracciato come un amico che torna: Toccatemi. E pronun­cia, per sciogliere le paure e i dubbi, i verbi più semplici e più familiari: Guardate, toc­cate, mangiamo! Non a visio­ni d'angeli, non a una teofa­nia gloriosa, gli apostoli si ar­rendono ad una porzione di pesce arrostito, al più fami­liare dei segni, al più umano dei bisogni. Gesù vuole en­trare nella vita concreta dei
suoi, esserne riconosciuto co­me parte vitale. Perché anche il Vangelo non sia un fanta­sma, un fumoso ragionare, un rito settimanale, ma roccia su cui costruire, sorgente alla quale bere. La bella notizia: Gesù non è un fantasma, ha carne e sangue come noi. Questo piccolo segno del pe­sce, gli apostoli lo daranno come prova: noi abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Perché mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comu­nione ritrovata, che lega in­sieme e custodisce e accresce le vite, figlio delle nostre pau­re o delle nostre speranze.
Il Risorto non avanza richie­ste, non detta ordini. La sua prima offerta è «stare in mez­zo» ai suoi, riannodare la co­munione di vita. Viene e con­divide pane, sguardi, amici­zia, parola. Non chiede, rega­la. Non chiede di digiunare per lui, ma di mangiare con lui. Vuole partecipare alla mia vita e che io condivida la sua. Ma in un sentimento di sere­nità, di distensione.
Infatti la sua prima parola è: pace a voi! Pace, che è il rias­sunto dei doni di Dio. È la se­renità dello spirito che ci per­mette di capirci, di fare luce nei nostri rapporti, di vedere il sole più che le ombre, di di­stinguere tra un fantasma e il Signore. Solo il cuore in pace capisce. Infatti, il Vangelo an­nota: Aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Per­ché finora avevano capito so­lo ciò che faceva comodo, so­lo ciò che li confermava nel­le loro idee. C'è bisogno di pa­ce per cogliere il senso delle cose. Quando sentiamo il cuore in tumulto è bene fer­marci, fare silenzio, non par­lare.
Mi consola la fatica dei disce­poli a credere, il loro oscillare tra paura e gioia. È la garan­zia che la risurrezione di Ge­sù non è una loro invenzione, ma un evento che li ha spiaz­zati. Lo conoscevano bene, il Maestro, dopo tre anni di stra­de, di olivi, di pesci, di villag­gi, di occhi negli occhi, eppu­re non lo riconoscono. Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro. Per­ché la Risurrezione non è semplicemente ritornare alla vita di prima: è andare avan­ti, è trasformazione, è il tocco di Dio che entra nella carne e la trasfigura.

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