don Alberto Brignoli " Dio non è un hashtag"

Guardare i dibattiti politici in tv mi appassiona parecchio, soprattutto in questo periodo di campagna elettorale, dove - devo ammetterlo - più che appassionarmi mi diverto. Mi diverto ad ascoltare
proclami, slogan, promesse, frasi ad effetto, soprattutto perché so già di partenza che la maggior parte delle cose dette verranno puntualmente smentite nei mesi immediatamente successivi all'elezione dei candidati. Questo lo sanno anche i politici, che - essendo degli abili comunicatori - puntano molto sul modo di fare comunicazione, più che sull'essenza di ciò che dicono (ho saputo di un'alta carica dello stato che spende un milione di euro l'anno per il proprio ufficio stampa...). Sanno bene che ciò che colpisce è l'immagine, l'emozione suscitata, il messaggio immediato che l'immagine o la frase detta in maniera secca e concisa riesce a comunicare, perché la gente non ha tempo di ascoltare grandi discorsi e comizi, per cui si lascia attrarre da cose ad effetto e immediate. E così, i grandi comunicatori guardano più al contenitore, che al contenuto, più all'involucro che alla sostanza, più all'etichetta sulla bottiglia che al liquido che vi è contenuto.
Proprio così, l'etichetta: l'etichetta oggi è divenuta l'elemento discriminante, ciò che distingue, che caratterizza una persona da un'altra, diventandone addirittura la sostanza, l'essenza della sua personalità. Oggi, poi, l'etichetta ha anche una propria nomenclatura: c'è addirittura una nuova terminologia (rigorosamente in inglese, perché anche questo fa immagine) per definire "l'etichetta" di una persona o di un gruppo di persone: si tratta dell'hashtag. Non chiedetemi tecnicamente cosa sia, molti sanno meglio di me che dietro un cancelletto ed alcune parole chiave si nasconde un elemento comunicativo importante con il quale chi lo utilizza si identifica in maniera chiara ed evidente nel mondo della rete sociale, del social network.
Come dicevo all'inizio, molte trasmissioni politiche di questi giorni mi fanno sorridere per le cose che vi si dicono; e certamente, tra le cose più divertenti che ho ascoltato, c'è la frase di un politico che - presentando la sostanza del proprio programma di governo - diceva ai suoi ascoltatori: "Per confermare ulteriormente quanto finora detto - cioè per dar forza alla sostanza del mio programma - ho addirittura creato un hashtag", che poi puntualmente e doverosamente cita. "Addirittura un hashtag", ho pensato io, come se questo soggetto volesse comunicare di essere arrivato al nonplusultra della strategia politica e soprattutto della forza delle proprie idee. Un hashtag, un'etichetta come essenza della propria personalità e delle proprie idee...un po' poco, non credete? Eppure rispecchia perfettamente quanto dicevo prima: si punta più sul contenitore che sul contenuto, più sull'immagine che sulla realtà, più su ciò che si desidera comunicare che su ciò che realmente si è.
La cosa mi ha fatto, come dicevo, sorridere, ma mi ha pure fatto riflettere, nonché preoccupare: è sufficiente un hashtag per comunicare agli altri chi sono io, la forza delle mie idee, la sostanza di ciò che rappresento nella società e nel mondo? Della serie: una volta che ho un hashtag, sono davvero a posto, sono davvero vincente? Dal momento che si avvicinava la Solennità che oggi celebriamo, che a mio avviso è una delle più affascinanti perché è la celebrazione del mistero di Dio in quanto Dio, e considerato che il mistero di Dio ci riporta alla sua natura, o meglio alla sua essenza, a ciò che egli è, mi sono messo a giocherellare un po', a fare entrare in contatto il mistero di Dio (o quantomeno l'idea che io ho di lui) con questa geniale trovata della comunicazione che è l'hashtag, e ho iniziato a pensare quale fosse l'hashtag di Dio... Come si metterebbe in gioco, Dio, oggi, nel mondo della comunicazione globalizzata, immediata e basata sull'immagine e sulla parola ad effetto? Avrebbe una pagina Facebook? Come sarebbe il suo profilo Instagram? E come formulerebbe il suo hashtag, perché sia d'effetto per l'umanità?
Non voglio apparire come un disfattista, né come un anacronistico nemico della tecnologia e della modernità, ma sono convinto che Dio, oggi, pur rileggendo se stesso e il proprio messaggio al mondo (che noi amiamo chiamare annuncio) alla luce dei segni dei tempi, non sarebbe un gran fautore del metodo hashtag...perché Dio non ci tiene all'etichetta, Dio non è e non ha un'etichetta, e non opera nell'immediatezza. E la solennità della Santissima Trinità, riletta alla luce del contesto attuale, credo venga a ricordarci proprio questo: l'essenza di Dio non coincide con un'etichetta, non si identifica con una nomenclatura. Dio non è un'immagine, e nemmeno si cura di averla; Dio non è un'apparenza, e non ha nessuna intenzione di esserlo; Dio non guarda al contenitore, ma alla sostanza, ovvero al cuore dell'uomo.
È l'affanno per salvare l'uomo che costituisce l'essenza di Dio, e quando diciamo affanno diciamo una vera e propria lotta di Dio a favore dell'umanità, come ci dice la prima lettura: "Dio è andato a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie", ovvero con fatica, la stessa fatica dell'umanità che va affannosamente in cerca di Dio. Per questo Dio non sceglie la via facile di un hashtag per dirci chi è; per questo, Dio non può rinchiudere il suo messaggio di salvezza nei 140 caratteri di un cinguettio telefonico; per questo, Dio non si fa prossimo a noi chiedendoci l'amicizia dopo aver guardato l'immagine del nostro profilo.
Dio non è immagine, Dio è essenza. Dio si identifica non per ciò che mostra all'uomo, ma per ciò che fa per l'uomo. Dio non coincide con un'etichetta, ma con un'opera, con una storia e con una profezia: l'opera del Padre, che ha creato il mondo; la storia del Figlio, Dio fatto uomo qui sulla terra; la profezia dello Spirito che ci proietta oltre il buio della morte.
Certo, è un po' anacronistico, perché i suoi tempi non sono quelli di un tweet, ma quelli dell'eternità; di certo, però, la sua presenza nel mondo è più utile ed efficace di quella di un'app.

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