Ermete TESSORE"Nel nome del Padre, Figlio e Spirito Santo"
31 maggio 2015 | 9a Domenica: Ss. Trinità - Tempo di Pasqua B | Omelia
La liturgia della Parola della solennità della Trinità invita ognuno di noi a riflettere su che cosa significhi veramente credere e non limitarsi a vivere semplicemente la religione. Noi cristiani di oggi non possiamo ridurci ad avere fede nel Dio rigidamente monoteista dell'Antico Testamento.
Il nostro abbandonarci a Dio deve essere profondamente diverso da quello di Mosè. Questo perché il Dio che Gesù ci presenta, e testimonia, è
diverso da Jahveh, Non chiede ed esige sottomissione. Dà libertà.
Il servo Mosè prono davanti a Dio, che ascolta pieno di terrore la voce che proviene dal roveto in fiamme, non è il prototipo dell'autentico cristiano. Il Dio cristiano non toglie il pane all'uomo, ma si fa pane (Mt 26,26). Non chiede a noi di servirlo, ma si fa servo: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire" (Mt 20,28).
La nostra guida non può essere la Legge, ma lo Spirito che ci rende figli, eredi di Dio e coeredi di Cristo, come ci ricorda Paolo nella seconda lettura. Le ricadute di tutto questo sono devastanti. Se Dio non richiede più nulla, tutta la sovrastruttura religiosa di tipo veterotestamentaria, cade.
Questo è bene espresso negli Atti degli Apostoli (17,24-25): "Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti dalle mani dell'uomo, né dalla mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa".
Dopo la Pentecoste ogni credente deve essere strumento dell'irrompere delle tre persone divine nella storia. Esse non sono sopra di noi, ma con noi e non ci lasciano più: "Sono con voi fino alla fine del mondo" ci assicura Gesù nell'odierno brano evangelico. Con l'incarnazione e la venuta dello Spirito Santo, Dio abbandona definitivamente il piedistallo dove la religione tende a confinarlo. Venendo "ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14), Egli cessa di dominarci dall'alto, ma ci chiama a vivere nella piena libertà tipica dei figli, e sconosciuta ai servi, che si realizza in un amore capace di raggiungere tutti senza escludere nessuno: "andate in tutto il mondo, battezzate ogni creatura, insegnate ad osservare ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 20).
Egli non esige da noi continui sacrifici , ma è un Padre che solo chiede che venga accolto il suo amore per distribuirlo all'umanità intera. Non Gli interessano i riti: "Che m'importa dei vostri numerosi sacrifici?" (Is 1,11). "Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace" (13,16) ci ammonisce l'autore della lettera agli Ebrei.
Noi siamo dei credenti o semplicemente delle persone religiose? Alla luce della Parola si tratta di due modi di essere tra loro inconciliabili. Frutti dell'uomo di fede sono: "La sterile partorisce sette volte ed il povero viene posto tra i principi" (2Sam 2,5); "Il deserto diventa giardino" (Is 32,15); "Il popolo che cammina nelle tenebre vede una grande luce" (Is 9,1); "Coloro che sono nei sepolcri ne escono " (Gv 5,28)…
L'uomo religioso per pigrizia, paura, indecisione, rinuncia alla chiamata a vivere nella piena libertà e supplisce con le pratiche religiose. Egli preferisce la sicurezza della legge, dei precetti, dei codici e delle rubriche; come il sacerdote della parabola non ha il tempo per occuparsi delle miserie dell'uomo che incontra (Lc 10,30-31); si preoccupa tanto della vita eterna da dimenticarsi di quella terrena; più prete dei preti e più pio di Dio, pretende di saperne più di Gesù e finisce per essere come quel giovane, di cui parla il Vangelo, che osserva tutti i comandamenti con scrupolo rigoroso, ma ne rifiuta l'invito a seguirlo in piena libertà: deluso dall'invito di Gesù di buttare via tutto ciò che non è essenziale e di finirla con la stanza dei balocchi religiosi e di diventare finalmente uomo, preferisce rimanere nella bambagia dell'avere, della tradizione, del tranquillo dondolarsi tra le braccia di un fideismo che anestetizza, tranquillizza e non disturba. Forse che anche noi, incapaci di credere nell'amore che Gesù ci ha testimoniato, viviamo nell'ottica del timore del castigo eterno del Padre, completamente indifferenti al perdono che lo Spirito Santo continua a garantirci in ogni istante della nostra esistenza?
Ma se fosse così, con quale faccia ci accingiamo a vivere la solennità della Santa Trinità?
Ermete TESSORE
La liturgia della Parola della solennità della Trinità invita ognuno di noi a riflettere su che cosa significhi veramente credere e non limitarsi a vivere semplicemente la religione. Noi cristiani di oggi non possiamo ridurci ad avere fede nel Dio rigidamente monoteista dell'Antico Testamento.
Il nostro abbandonarci a Dio deve essere profondamente diverso da quello di Mosè. Questo perché il Dio che Gesù ci presenta, e testimonia, è
diverso da Jahveh, Non chiede ed esige sottomissione. Dà libertà.
Il servo Mosè prono davanti a Dio, che ascolta pieno di terrore la voce che proviene dal roveto in fiamme, non è il prototipo dell'autentico cristiano. Il Dio cristiano non toglie il pane all'uomo, ma si fa pane (Mt 26,26). Non chiede a noi di servirlo, ma si fa servo: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire" (Mt 20,28).
La nostra guida non può essere la Legge, ma lo Spirito che ci rende figli, eredi di Dio e coeredi di Cristo, come ci ricorda Paolo nella seconda lettura. Le ricadute di tutto questo sono devastanti. Se Dio non richiede più nulla, tutta la sovrastruttura religiosa di tipo veterotestamentaria, cade.
Questo è bene espresso negli Atti degli Apostoli (17,24-25): "Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti dalle mani dell'uomo, né dalla mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa".
Dopo la Pentecoste ogni credente deve essere strumento dell'irrompere delle tre persone divine nella storia. Esse non sono sopra di noi, ma con noi e non ci lasciano più: "Sono con voi fino alla fine del mondo" ci assicura Gesù nell'odierno brano evangelico. Con l'incarnazione e la venuta dello Spirito Santo, Dio abbandona definitivamente il piedistallo dove la religione tende a confinarlo. Venendo "ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14), Egli cessa di dominarci dall'alto, ma ci chiama a vivere nella piena libertà tipica dei figli, e sconosciuta ai servi, che si realizza in un amore capace di raggiungere tutti senza escludere nessuno: "andate in tutto il mondo, battezzate ogni creatura, insegnate ad osservare ciò che vi ho comandato" (Mt 28, 20).
Egli non esige da noi continui sacrifici , ma è un Padre che solo chiede che venga accolto il suo amore per distribuirlo all'umanità intera. Non Gli interessano i riti: "Che m'importa dei vostri numerosi sacrifici?" (Is 1,11). "Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace" (13,16) ci ammonisce l'autore della lettera agli Ebrei.
Noi siamo dei credenti o semplicemente delle persone religiose? Alla luce della Parola si tratta di due modi di essere tra loro inconciliabili. Frutti dell'uomo di fede sono: "La sterile partorisce sette volte ed il povero viene posto tra i principi" (2Sam 2,5); "Il deserto diventa giardino" (Is 32,15); "Il popolo che cammina nelle tenebre vede una grande luce" (Is 9,1); "Coloro che sono nei sepolcri ne escono " (Gv 5,28)…
L'uomo religioso per pigrizia, paura, indecisione, rinuncia alla chiamata a vivere nella piena libertà e supplisce con le pratiche religiose. Egli preferisce la sicurezza della legge, dei precetti, dei codici e delle rubriche; come il sacerdote della parabola non ha il tempo per occuparsi delle miserie dell'uomo che incontra (Lc 10,30-31); si preoccupa tanto della vita eterna da dimenticarsi di quella terrena; più prete dei preti e più pio di Dio, pretende di saperne più di Gesù e finisce per essere come quel giovane, di cui parla il Vangelo, che osserva tutti i comandamenti con scrupolo rigoroso, ma ne rifiuta l'invito a seguirlo in piena libertà: deluso dall'invito di Gesù di buttare via tutto ciò che non è essenziale e di finirla con la stanza dei balocchi religiosi e di diventare finalmente uomo, preferisce rimanere nella bambagia dell'avere, della tradizione, del tranquillo dondolarsi tra le braccia di un fideismo che anestetizza, tranquillizza e non disturba. Forse che anche noi, incapaci di credere nell'amore che Gesù ci ha testimoniato, viviamo nell'ottica del timore del castigo eterno del Padre, completamente indifferenti al perdono che lo Spirito Santo continua a garantirci in ogni istante della nostra esistenza?
Ma se fosse così, con quale faccia ci accingiamo a vivere la solennità della Santa Trinità?
Ermete TESSORE
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