JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA Ascensione Mc 16, 15-20

17 maggio 2015 | 7a Domenica: Ascensione - T. di Pasqua B | Lectio Divina
Questa finale del vangelo di Marco è un compendio con motivi di diversa provenienza. Il testo odierno insiste sulla responsabilità missionaria dei credenti: tale fu l'ordine ultimo, il testamento, di Gesù Risuscitato prima della sua ascensione. Ricordarlo oggi, come Parola di Dio, deve farci accorgere che non c'è un altro modo legittimo di celebrare la regalità di Gesù se non di evangelizzare il mondo: il seguace di Cristo cerca di cristianizzare il suo mondo ed il suo cuore; finché lo annunceranno al mondo, portandolo nel cuore, i discepoli
sentiranno il Signore al loro fianco e vedranno, con loro sorpresa, che sono capaci di ripetere gli identici prodigi. Per rendere presente il Signore che è asceso, basterà predicarlo. Per non sentirsi soli, confinati, in questo mondo, bisognerà percorrerlo fino ai confini col vangelo come unico tema. Il vangelo, se predicato, salva il cristiano dalla sua solitudine e gli dona poteri impensati: non vi è ragione per lamentarsi dell'apparente lontananza di Dio, siamo noi che abbiamo già abbandonato il compito di proclamarlo Signore.
In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro:
"Andate nel mondo intero e proclamate il Vangelo a tutta la creazione.
Colui che crede e si battezza si salverà; colui che si rifiuta di credere sarà condannato.
Quelli che credono, saranno accompagnati da questi segni: scacceranno i demoni nel mio nome, parleranno lingue nuove, prenderanno serpenti nelle loro mani e, se bevono un veleno mortale, non farà loro male. Imporranno le mani ai malati e questi guariranno."
Dopo avere parlato loro, il Signore Gesù salì al cielo e si sedette alla destra di Dio.
Essi andarono a predicare dappertutto il Vangelo, ed il Signore era con loro confermando la parola coi segni che li accompagnavano.

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Il fine canonico del vangelo di Marco (Mc 16,9-20) presenta una problematica unica nel NT. Sembra fuori dubbio che il testo originale finiva con Mc 16,8; è quanto testimoniano i migliori manoscritti del IV secolo. Ciò nonostante, Mc 16,9-20, fu considerato testo ispirato da tempo, e come tale confermato nel Concilio di Trento.
Nella sua origine, Mc 16,9-20 fu, probabilmente, una narrazione aggiunta al vangelo, alla fine del I secolo, scritta per mettere un finale più degno del primitivo, dove la paura delle donne taceva la testimonianza angelica della resurrezione di Gesù (Mc 16,8). Il testo, un sommario, riunisce tradizioni isolate sull'esperienza pasquale che erano già negli altri vangeli. Cerca, apparentemente, di armonizzare i diversi racconti pasquali, affinché trovassero posto nei racconti evangelici.
Il racconto presenta due parti: le apparizioni del Risuscitato (Mc 16,9-14) ed il suo ultimo discorso, un discorso di invio (Mc 16,15-20). Il tutto, tratta un unico episodio, la missione dei discepoli immersa nell'esperienza pasquale, qualcosa che riflette bene la convinzione cristiana fondamentale. Decisivo è, dunque, che la missione nasca dall'apparizione di Gesù: sono inviati quelli che poterono trovarsi col Risuscitato.
L'apparizione ha, dunque, come contenuto l'invio al mondo (cf. Lc 24,46-47; Mt 28,16-20). L'incontro non è finalizzato ai suoi protagonisti: il Risuscitato ritornerà a Dio (Mc 16,19); i suoi, al mondo creato (Mc 16,20). L'evangelizzazione deve raggiungere l'intera creazione. Invio e limiti sono imposti dal Risuscitato: ora il vangelo (Mc 1,1) appartiene al mondo, non solo alla Galilea (Mc 1,14). I testimoni si trasformano in apostoli del Risuscitato. La loro missione nel mondo è il 'primo' esercizio di sovranità universale realizzata dal Signore.
Che l'evangelizzazione non è passatempo, è manifesta dalla sua accettazione o dal rifiuto: salvezza o perdizione. Il Risuscitato sa che la missione non sarà un successo completo; il vangelo provoca fede o rifiuto. Benché la sentenza rifletta già la prassi cristiana, parlando di fede e battesimo, è significativo che faccia dipendere la salvezza dalla risposta che si da al vangelo. Alla fede segue il battesimo, al rifiuto la condanna: la conversione è un'opportunità che deve essere sfruttata quando è offerto il vangelo. L'evangelizzazione provoca una decisione personale. La missione fu vissuta da uomini che sapevano quello che si stavano giocando: l'offerta si fa a tutti, ma la salvezza dipenderà dalla reazione dell'uditore.
A quanti credono, e non esclusivamente a quanti predicano (cf. Mc 6,7-13) si accompagneranno segni evidenti della salvezza realizzata. Sono posteriori alla fede, le sue prove, non le sue condizioni: sono segni che caratterizzano l'esistenza del cristiano o, meglio, la sovranità di Cristo, sotto la quale si pone chi accetta il vangelo. I cinque segni enumerati furono tipici dell'esistenza cristiana nelle sue origini (Atti 2,11; 28,3-6; Lc 10,9). Non bisogna riflettere tanto sulla natura dei portenti quanto nell'effetto della fede, possibilità del credente (cf. Mt 17,20). La fede deve affrontare pericoli con la certezza di superarli.
Come atto finale, e coincidendo col racconto lucano (Lc 24,50; Atti 1,12) si narra l'ascensione del Risuscitato: dopo l'invio e le apparizioni il Signore Gesù sale al cielo. Chi è all'origine della missione ecclesiale si siede, sovrano, vicino a Dio, intronizzato come figlio (Sal 110,1). Gli inviati sono, dunque, del Signore Gesù, investito di ogni potere di Dio. All'uscita dal mondo del Signore Gesù, intervengono i suoi testimoni andando al mondo: la missione è l'occupazione ecclesiale finché il Cristo siede alla destra di Dio (cf. Mt 28,20). La comunità missionaria conta sull'efficacia sovrana del suo Signore che è visibile nei segni che realizza e nella fede che la parola produce. La missione è vista, dunque, dalla prospettiva del Risuscitato: egli è colui che la origina, l'accompagna e gli dà efficacia. Trovarsi col Risuscitato ha convertito i discepoli increduli in efficaci luogotenenti del Signore Gesù.

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Oggi il vangelo ci ha presentato gli ultimi ricordi che i discepoli conservarono di Gesù: la scena ci descrive il suo addio, l'abbandono del nostro mondo ed il suo ritorno a Dio. Come ogni addio, per trionfale che lo immaginiamo, - e l'addio di Gesù fu tutto un trionfo -, l'ascensione al cielo dovette essere per quelli che rimanevano in terra un'esperienza agrodolce. Il fatto è che, vedendolo salire al cielo, sapevano di perderlo definitivamente di vista. Il tempo di convivenza con lui era arrivato alla sua fine, senza che essi potessero fare niente per prolungarlo. Gesù conviveva ora con Dio, seduto alla sua destra, certo, ma oramai essi non potevano convivere col loro Signore né sedersi al suo fianco. Seppero che potevano contare sul suo aiuto costante e poderoso, perché già alla destra di Dio esercitando il suo potere; ma dovettero incominciare ad imparare a vivere senza averlo con essi, a portata della loro vista e del loro cuore.
La situazione dei discepoli di allora è oggi la nostra: anche noi che confessiamo che Cristo Gesù salì al cielo ed è seduto alla destra del Padre, viviamo tra la gioia di averlo come avvocato vicino a Dio e la paura che si mantenga lontano dal nostro mondo e dalle nostre preoccupazioni. Saperlo alla destra di Dio ci ostacola di averlo a portata di mano. L'essere sicuri di averlo in cielo, vicino a Dio, non ci risarcisce totalmente di una perdita che ci fa sentire un po' persi nel mondo di oggi. Continuiamo a sperimentare la stessa sensazione di essere orfani che incominciarono a sentire quegli uomini vedendo che Gesù era asceso al cielo.
Noi cristiani, benché non lo notiamo, viviamo la situazione di quei primi discepoli che non si erano ripresi ancora dalla sorpresa di aver visto Cristo Risuscitato e poi dovettero affrontare la sua sparizione fisica. I discepoli godettero poco della presenza del loro Signore: durò quaranta giorni la sua compagnia! Alla resurrezione dai morti seguì l'ascensione al cielo. Da due mila anni, Gesù è seduto alla destra di Dio ed i discepoli vivono sulla terra la sua assenza. Tale è il destino dei discepoli di Cristo nel mondo: vivere senza vedere Cristo attorno a loro, nel loro mondo, nel loro cuore. Come impararono bene quelli che lo videro allontanarsi, qualunque nuvola è capace di ottenebrare al discepolo la visione e l'esistenza di Gesù: o non è vero che qualunque ostacolo, per insignificante e passeggero che sia, può occultarci nostro Signore e separarci da lui? Oggi come ieri, qualunque nuvoletta è capace di togliercelo dalla vista e dal cuore; qualunque pena o difficoltà ci fa sentire orfani di Gesù, senza di lui e abbandonati alla nostra cattiva fortuna.
E tuttavia Cristo non ci lasciò completamente soli, dato che ci lasciò ben occupati; non ci ha abbandonati, poiché ci lasciò un compito importante, un desiderio da compiere, il suo testamento: le sue ultime parole racchiudono, in effetti, la sua ultima volontà: 'andate al mondo intero e proclamate il Vangelo'. Per aiutarci a ricordarlo nella sua assenza, per obbligarci a superare il nostro scoraggiamento, per occuparci mentre egli si preoccupa di noi presso il Padre, ci lasciò il mandato di predicarlo al mondo, che riempissimo con le nostre parole il vuoto che lasciò nel mondo con la sua ascensione. Ci ha imposto di averlo nei nostri pensieri e nelle nostre labbra, fino a che possiamo averlo, di nuovo e per sempre, tra le mani; dovendo essere assente, non vuole essere dimenticato; allontanandosi fisicamente, desidera che lo desideriamo; senza poter parlare direttamente con lui, dovremo parlare costantemente di lui. Che ci abbia lasciato, non significa che ci abbia abbandonati: è vicino a Dio intercedendo per noi, mentre, e nel caso che, ci dedichiamo ad annunciarlo.
E per quel motivo ci comanda di saperlo vicino a Dio e che lo ricordiamo al mondo. Non c'è tempo, dunque, per lamentarci: non si tratta che non dobbiamo sentire l'assenza di Dio o che non debba affliggerci la sua apparente lontananza dal nostro mondo; sicuramente dovrebbe pesarci un po' più vedere la nostra società, ed i nostri cuori, tanto distanti da lui. Ma dobbiamo pensare che questa situazione non è completamente nuova: in questa situazione siamo nati noi cristiani; la chiesa è sorta, precisamente, per ricordare al mondo che l'assenza di Cristo è solo momentanea che verrà di nuovo che sta vicino a Dio vegliando per chi lo ricorda, sentono la mancanza di lui e l'aspettano. Quanto più sentiamo la sua mancanza, - e non è necessario molto sforzo -, più desidereremo parlare di lui a quelli che lo credono assente: il mondo deve sapere che Cristo vive, che egli verrà, che sta vicino a Dio; e noi dobbiamo dirlo. Per questo Gesù ci lasciò e ci diede il mandato: se non rispettiamo la sua ultima volontà, se non proclamiamo il vangelo, il mondo crederà di avere perso Dio. Ed a noi, i credenti, ci sarà ogni giorno più difficile vivere in un mondo orfano di Cristo.
Orbene, affinché la nostra predicazione sia credibile, affinché riesca a convincere il mondo che Dio non l'ha abbandonato, è necessario che le nostre parole siano seguite dai fatti, che la nostra predicazione sia innanzitutto impegno personale nel mondo, che noi non l'abbandoniamo né fuggiamo da lui: a coloro che credono, li accompagneranno dei segni, promise Gesù. Ed il nostro mondo sta aspettando da noi quei segni, per non disperare di Dio; sta aspettando che la promessa di Gesù si realizzi e che parliamo di Dio, rendendolo visibile con la nostra forma di vivere.
Oggi non è significativa una vita che non viva facendo quello che dice di credere: credere che il male è stato vinto impone di affrontarlo, senza paura di soccombere sotto il suo peso e lottando per vincerlo alla radice; affermare che se Gesù è asceso da questo mondo è perché noi ci prendiamo cura di esso, sedendo Gesù vicino a Dio, ci da l'obbligo di badare a questo mondo affinché possa vedersi nel nostro sforzo la preoccupazione di Dio. Vivendo disinteressati del mondo, insensibili davanti al male che c'è, silenziosi davanti al silenzio di Dio che impera oggi, noi credenti non possiamo convincere i nostri contemporanei che Dio è interessato a loro, tanto quanto ad averci messo addetti a lottare durante la sua assenza e al suo posto contro quei mali.
Se così facciamo, se viviamo dando al mondo segni della bontà di Dio, noi credenti rappresenteremo degnamente il nostro Dio, faremo sì che la sua assenza non sia tanto pesante ed anticiperemo il giorno della sua venuta. E nel frattempo, come già seppero i primi cristiani, finché proclamiamo dappertutto li vangelo, sentiremo la presenza del Signore che agirà con noi e per mezzo nostro e che confermerà le nostre parole coi gesti che predisse. Si sente orfano di Gesù chi non lo predica come egli vuole: chiunque lo testimonia con la vita e la sua lotta giornaliera contro il male, si sente confortato dalla compagnia di Gesù e l'efficacia del suo potere. Il mondo non è stato abbandonato da Gesù Resuscitato: siamo noi che lo stiamo abbandonando, noi che, pur credendo che Gesù è salito al cielo, ci stiamo disinteressando delle cose di questo mondo. Cristo Gesù ha bisogno di noi per farsi presente oggi tra i nostri e nel nostro mondo. Gesù, nostro Signore, non ha lasciato il mondo da solo; ci ha lasciato in questo mondo affinché continuiamo a celebrarlo e servirlo come Signore; chi tra noi si dedica a ciò con tutta l'anima, saprà che conta di stare vicino a Dio, col migliore avvocato ed intercessore.
                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

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