MACHETTA Domenico SDB 31 maggio 2015 | 9a Domenica:Ss. Trinità Anno B | Appunti per la Lectio

1ª LETTURA: Dt 4,32-34.39-40
VANGELO: Mt 28,16-20
È la festa dello stupore, dello "stordimento", davanti al mistero di Dio-Comunità di amore, del Dio dei rapporti personali, del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, del"mio" Dio. Forse il senso della festa della Trinità sta proprio nel fatto che Dio è il "mio" Dio. Il tre volte santo, il tre volte
"separato" (qadosh), l'inaccessibile, non sta seduto sulle galassie ma ci "perseguita" con il suo amore, si rivela come il "Dio-con-noi". Il suo sogno è avere intimità nuziale (berith = alleanza-nozze) con il suo popolo e con ciascuna persona umana.
Ognuno di noi "personalmente" appartiene a un progetto d'amore che ha origine negli abissi della Trinità. Proviamo a valutare un'espressione che cantiamo o recitiamo sovente senza forse rifletterci con serietà: "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo..." (Ef 1,4). È il famoso "inno al progetto di Dio" della lettera agli Efesini che ha fatto "impazzire" Elisabetta della Trinità. È il sogno di Dio, è la chiamata di ogni uomo alla "santità" ("per essere santi e immacolati"), è lo scopo della creazione e dell'incarnazione, è il mistero dell'inabitazione.
"Sono abitata", dice Elisabetta, che chiamava con audacia la Trinità "i miei Tre". Sta scritto infatti: "...e noi ver remo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23).
Questo "inaudito" del Nuovo Testamento esplode come il tema di una sinfonia, e raggiunge vertici di stupore, come quando appare la parola più dolce della Bibbia, quell'Abbà, che fa parte delle ipsissima verba Christi che hanno stordito gli Apostoli, e che sono arrivate intatte fino a noi. Non solo Gesù, il Figlio, chiama Abbà suo Padre, ma anche noi e qui sta l'inaudito lo possiamo chiamare con questo termine confidenziale (2ª lettura), perché anche noi siamo "chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" (1 Gv 3,1). Divinae consortes naturae (partecipi della natura divina) ci definisce la seconda lettera di Pietro.
Questa realtà, che è il culmine del cammino dell'uomo ed è il destino dell'umanità, è già preannunciata con forza nell'Antico Testamento. Alla luce del mistero pasquale di Cristo, molte pagine dell'Antico Testamento entrano decisamente nell'atmosfera evangelica. Con saggezza viene messa come prima lettura questa splendida pagina del Deuteronomio che parla della "vicinanza" del nostro Dio, che vuole la nostra felicità.
Che l'incontro d'amore tra Dio e l'uomo sia la vera "Terra promessa", il terminus ad quem dell'Esodo, appare in tante pagine della Bibbia. Già nelle parole che Dio mette in bocca a Mosè davanti al faraone d'Egitto si scorge lo scopo della liberazione: "Lascia partire il mio popolo, perché possa servirmi nel deserto" (Es 7,16). E al capitolo 19, punta dell'Esodo, appare con chiarezza il disegno di amore, il sogno di Dio: l'alleanza nuziale.
La pagina evangelica è quella finale di Matteo. L'evangelista ci consegna l'ultima parola, ciò che gli sta più a cuore, il nocciolo di tutto il Vangelo: il nostro Dio si chiama "Emmanuele". Il Dio del roveto ardente ci ha consegnato definitivamente il suo nome. Per trovarlo, non dovremo andare chissà dove: lo troveremo nella nostra Galilea, sul monte della Chiesa. A proposito del mistero trinitario si possono scrivere fiumi di libri, possiamo tentare di avvicinarci al mistero discutendo, studiando, leggendo le Scritture... Chi è umile e ama in modo gratuito, senza accorgersi, ci è dentro in pieno.


MACHETTA Domenico

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