Umberto DE VANNA SDB "Io sono la vite, il Padre è il vignaiolo, voi siete i tralci"

5 maggio 2015 | 5a Domenica di Pasqua - Anno B | Omelia
Per cominciare
Ci troviamo nella chiesa dell'immediato dopo Pasqua. La nascente comunità cristiana cresce, si organizza e cammina con fiducia. I nuovi cristiani sentono di dover rimanere uniti al Risorto come i tralci alla vite, sostenuti dallo Spirito e dall'impegno degli apostoli.
La parola di Dio
Atti 9,26-31. Il neo convertito Paolo comincia a predicare a Damasco e a frequentare
Gerusalemme. I cristiani però non si fidano di lui, e Barnaba si fa suo garante. Gli ebrei di lingua greca, attaccati alle loro tradizioni, vogliono addirittura uccidere Paolo e i cristiani lo mandano a Tarso.
1 Giovanni 3,18-24. L'apostolo Giovanni presenta un prontuario di vita cristiana: amare con i fatti e non solo a parole; vivere riconciliati con Dio e con se stessi; essere consapevoli della protezione e della forza di Dio, avendo fede in Gesù e nella forza dello Spirito che ci è dato in dono.
Giovanni 15,1-8. Il brano è tratto dai discorsi di Gesù che precedono la Pasqua, ma che si riferiscono già al tempo che segue la risurrezione, quando Gesù garantirà la sua presenza in mezzo ai suoi.

Riflettere...
o "Io sono la vite, il Padre è il vignaiolo, voi siete i tralci", così dice Gesù a ebrei che avevano grande familiarità con questa pianta utilissima nella loro società. Molte volte nell'antico testamento, Iahvè ha usato la vigna come simbolo del suo rapporto con il popolo d'Israele. Soprattutto per indicare l'amore e la cura che egli aveva per loro: "In quel giorno la vigna sarà deliziosa: cantàtela! Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura notte e giorno" (Is 27, 2-3).
o Ma altre volte Iahvè ne parla per sottolineare la loro infedeltà. Per esempio:
Isaia: "Il mio diletto possedeva una vigna… l'aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate… Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la è mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata…" (5,1-6 passim).
Geremia: "Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?" (2, 21).
o Gesù, nel lungo saluto ai suoi apostoli la sera del giovedì santo, usa con loro lo stesso paragone. Dopo aver presentato domenica scorsa se stesso come pastore, adesso trova nella vigna un'icona ancor più forte per esprimere il rapporto profondo che egli vuole avere con gli apostoli e con ciascuno di noi. Quello della vigna esprime in modo inequivocabile il legame che il tracio ha con la vite. Staccato dalla vite, il tralcio non può portare frutto e non serve ad altro che a essere bruciato. Lo esprime bene il profeta Ezechiele, che afferma anche la scarsa qualità di questo legno: "Figlio dell'uomo, che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Si può forse ricavarne un piolo per attaccarvi qualcosa? Ecco, lo si getta nel fuoco a bruciare…" (Ez 15, 2-5). Invece ogni tralcio, se rimane attaccato alla vite, produce frutto e frutti squisiti.
o Così è per ogni cristiano. Se lascia passare la linfa e si nutre della vite produce frutti di vita nuova. Entrando sin da bambini nella chiesa con il battesimo siamo stati inseriti nella vite, che è Gesù, e siamo oggetto delle cure dell'agricoltore, che è il Padre.
o La linfa passa se si "rimane" in Gesù. Il verbo "rimanere" ritorna addirittura una decina di volte in questo capitolo di Giovanni. Rimanere in Gesù vuol dire fargli spazio nella nostra vita, dargli tempo, vivere per lui. Dice l'Imitazione di Cristo, auspicando che almeno qualcuno si dia con tutto il cuore a questo stile di vita: "Tu saresti molto più felice di quanto tu lo sei ora, quando per qualsiasi necessità obbedisci alla carne".
o Ma il verbo "rimanere" è sempre accompagnato da un altro verbo: "portare frutto". Chi infatti rimane in Gesù, diventa fecondo. Se sostenuta dalla vita, la sua preghiera viene ascoltata, come dice Gesù: "Chiedete quel che volete e vi sarà fatto". Pur nei nostri limiti, in noi scorre la stessa linfa che lega Gesù alla vite, e ci guarda con compiacenza.
o Il "portare frutto" è inteso soprattutto nei confronti degli altri. Infatti chi rimane in Gesù, si fa suo discepolo e apostolo. In questo modo non fa soltanto di se stesso una persona realizzata e felice, ma diventa un testimone che rende felici gli altri. È così che la vite non rimane sterile, ma produce frutti.
o La vite è una pianta che ha bisogno di molte cure, è delicata: bisogna potarla, mondarla, non tutti i rami portano frutto. Gesù ha mondato i suoi attraverso la sua passione e morte. Ora si sono purificati. Gesù chiede a loro di rimanere in lui e di portare frutto. Il Padre, l'agricoltore, brucia i tralci che non rimangono attaccati alla vite, perché non servono più a nulla, e "pota" il tralcio che rimane attaccato alla vite "perché porti più frutto". Questo fa pensare alla nostra fatica di vivere, e al cammino di ascesi a cui i cristiani sono chiamati. Siamo portati a vivere questi momenti come qualcosa di faticoso, di imprevisto e poco gradevole. In realtà passa per questi sentieri la linfa che ci collega alla vite, Gesù, che per primo è passato per la dura strada della croce.

Attualizzare

* Tutte e tre le letture di questa domenica presentano delle situazioni molto concrete e non è difficile trarne delle applicazioni alla nostra vita.
aCominciamo con il sottolineare l'importanza che Gesù ha nella vita di ogni cristiano. È lui il nostro salvatore, il nostro punto di riferimento per riuscire nella vita. Dice Gesù: "Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla".
* Tutti desiderano riuscire nella vita, affermarsi, condurre un'esistenza non banale. Molti però hanno l'orizzonte corto, si accontentano di progetti provvisori e fragili, leggeri, effimeri. È chi rimane unito a Gesù, chi si lascia condizionare da lui e si orienta secondo la sua parola, che getta semi di vita eterna, porta frutti che valgono per sempre.
* "Strumenti" privilegiati per rimanere uniti a Gesù sono sicuramente l'eucaristia, la parola di Dio e l'incontro con la comunità. Spesso al momento dell'ingresso ufficiale di un nuovo parroco, nella presentazione alla sua parrocchia, gli vengono consegnate la chiave del tabernacolo e una copia della Bibbia, mentre la comunità lo accoglieva festosamente. Sono tre elementi essenziali per la vita della chiesa locale.
* Ed è proprio la celebrazione eucaristica che rende presenti questi tre elementi: l'incontro con Gesù, con la sua parola, con la comunità. Riuniti nel suo nome, si vuole crescere nell'amore, ci si mette in ascolto della sua parola e ci si prepara a entrare in comunione intima con Gesù attraverso l'eucaristia.
* L'eucaristia vissuta ci insegna a vivere in comunione con lui, a farci capire che facciamo parte della stessa pianta, a fargli spazio, a giudicare come giudicherebbe lui, a fare le scelte che farebbe lui. Ma ci spinge anche ad amare i fratelli con i fatti, non solo a parole, come dice Giovanni, a riconciliarci con tutti e anche con noi stessi. Ricordando che Dio è più grande del nostro cuore e che perdona sempre, soprattutto quando chiediamo perdono per ricominciare, e non tanto per affermare di essere giusti.
* Anche Paolo, di cui si parla nella prima lettura, è stato affascinato da Gesù Risorto. Scrive Divo Barsotti riferendoci a lui: "Il Cristo vive con Paolo. L'esperienza spirituale di Paolo è di una grande ricchezza e profondità. Il suo rapporto col Cristo è un rapporto vivo, concreto. Egli vive una dipendenza continua dal Signore. La vita di Paolo, così piena di opere e di travagli, così ricca di rapporti umani, è ben poco in confronto al suo rapporto col Cristo. La realtà più vera nella vita di Paolo è la presenza di Cristo Gesù. Essere a Corinto o ad Atene è secondario; quello che conta per lui e determina ogni suo atto è la sua unione col Cristo. La sua vera vita non è in quello che fa, nei suoi viaggi continui, nelle tribolazioni e persecuzioni che soffre; la vita di Paolo ha il suo contenuto più vero nel suo rapporto vivo col Cristo; in questo rapporto possiede una stabilità, una unità mirabili. Gli avvenimenti esteriori possono manifestare qualcosa soltanto di quella vita profonda che Paolo vive nella sua comunione personale col Cristo. Questa è la vita vera di Paolo".
* Infine possiamo ricordare anche in questa circostanza la difficoltà che incontra spesso il neo convertito a essere accettato nella comunità (1ª lettura). Come l'apostolo Paolo, che non riesce a convincere la comunità cristiana di essere un uomo trasformato dall'incontro con Gesù, anche oggi chi è fresco di conversione e cerca un posto in comunità, con il suo entusiasmo e la sua radicalità viene spesso guardato con diffidenza. In realtà i convertiti portano sempre aria nuova, e in prospettiva apostolica possono suggerire strategie missionarie geniali.

Come un pugile suonato
Mons. Antonio Riboldi racconta che in uno dei suoi incontri con Giovanni Paolo II, si è sentito guardare da lui con quegli occhi sbarrati che sembravano rivolgersi a lui, ma anche a ogni uomo e donna, e gli disse: "L'uomo ha perso Dio e quindi è finito, come un tralcio staccato dalla vite, in un angolo come un pugile. Bisogna amarlo, fino a riportarlo al centro del ring, perché torni con gioia a lottare, la lotta della Vita per il Cielo".

"Io non capisco perché tu non ti stanchi di me
e non mi lasci al mio destino,
ma poi so che solo tu sei il mio destino,
solo in te mi posso rispecchiare,
solo in te io sono me stesso.
Solo in te posso riposare,
solo in te posso crescere.
Senza di te posso solo seccare".
(Ernesto Olivero)


 Umberto DE VANNA SDB

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