JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA"Non poté fare lì nessun miracolo"

5 luglio 2015 | 14a Domenica - T. Ordinario B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Mc 6,1-6
Nella presentazione dell'evangelista la visita di Gesù a Nazareth termina una prima tappa del suo ministero pubblico: lo stupore delle masse per il suo insegnamento ed autorità cede il passo all'incredulità delle loro convinzioni. Si intravede qui un fatto storico che Marco eleva a legge universale: la conoscenza di Gesù non conduce necessariamente al suo riconoscimento come Cristo e Figlio di Dio; la familiarità con la sua persona non porta sempre
alla fede; quelli che più sanno su Gesù non saranno testimoni dei suoi portenti; conoscerlo troppo li ha impossibilitati a sperare meraviglie da parte sua. La cosa peggiore sarebbe che quanto succedette ai suoi vicini stia succedendo ai suoi credenti. Immaginarsi un Gesù troppo normale, la stessa cosa concepire un Dio troppo divino, può farci perdere l'unico vero Dio, quello che si manifesta attraverso Gesù da Nazareth. Farsi un'idea di ciò che si può sperare di Dio è rifiutarsi di vivere sorpresi, ammirati, trasognati. Ed è, realmente, una pena.

In quel tempo, 1Gesù venne nel suo paese in compagnia dei suoi discepoli. 2Quando arrivò di sabato, incominciò ad insegnare nella sinagoga; la moltitudine che lo sentiva si domandava attonita:
"Da dove gli viene tutto questo? Che sapienza è mai questa? E i miracoli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, fratello di Giacomo e Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non vivono qui con noi"?
Ed era per loro motivo di scandalo.
6Gesù diceva loro:
"Un profeta non è disprezzato che nella sua terra, tra i suoi parenti e nella sua casa."
5Non poté fare lì nessun miracolo, curò solo alcuni malati imponendo loro le mani. 6E si meravigliava per la loro mancanza di fede. E percorreva i villaggi d'intorno insegnando.

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Dopo aver predicato in parabole e guarito senza preferenze di persona, Gesù ritorna alla sua terra, sempre accompagnato dai suoi discepoli. I suoi concittadini si meravigliano non per quello che hanno sentito di lui, bensì di ciò che stanno ascoltando durante la preghiera nella sinagoga. Risulta più che logica la loro incomprensione; precisamente perché sanno da dove viene, dove essi vivono, chi è la sua famiglia e con chi convive giornalmente -, non possono più che, sbalorditi, chiedersi dell'origine di tanta saggezza. Il narratore insiste che l'insegnamento di Gesù viene discusso ripetute volte dai suoi compaesani.
Se, scandalizzati, discutono è perché non possono negare l'evidenza: il loro compaesano sa molto! Solo Gesù spiega quanto succede; la sua affermazione trabocca di buonsenso, ma la conseguenza è deleteria. L'eccessiva familiarità ostacola la fede; un conoscente, per profeta che sia, non è un profeta ben accettato. E dove non c'è fede, non possono farsi miracoli.
E se Gesù permetterà qualche guarigione, sarà prova della sua compassione per alcuni e non per la fede di tutti. Guarisce non perché c'è fede tra i suoi compaesani bensì perché il guaritore è buono. Curiosamente, Gesù si allontana per questa mancanza di fede dai suoi compaesani; sperava, senza dubbio, un'altra accoglienza. E li lascia, perché se non credono in lui non lo meritano, anche se sono abituati a stare con lui. Il non conoscere porta a credere meglio.

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Oggi il vangelo ci ha ricordato un fatto della vita di Gesù al quale normalmente ci riferiamo molto: Gesù che aveva abbandonato la sua casa e la sua famiglia, il suo paese e le sue occupazioni, per predicare il regno di Dio, ritorna un giorno ai suoi. Non ritorna solo, è circondato da uomini che condividono con lui vita e la predicazione. Ritorna al suo paese, quello sì, come un uomo famoso; quanto faceva e diceva aveva causato scalpore in Galilea ed è sicuro che era arrivata, agli orecchi dei suoi concittadini, la fama dei prodigi che realizzava.
È più che naturale che i suoi compaesani che credevano di conoscerlo bene perché lo conoscevano dalla sua infanzia, rimanessero sorpresi per la saggezza che Gesù mostrava loro quando, nella celebrazione del sabato, si mise a spiegar loro la Scrittura; trasognati, non potevano spiegarsi come uno di essi sapesse tanto di Dio né riuscivano a credere che avrebbe realizzato prodigi: credere in lui risultava loro difficile, perché credevano di saper tutto su di lui; diffidarono, dunque, perché lo conoscevano bene: aveva lavorato tra di loro, la sua famiglia viveva ancora tra di loro. E non poterono credere a ciò che vedevano i loro occhi: mani che facevano miracoli ed una bocca che insegnava con saggezza. E siccome non potevano credere, Gesù non poté fare nessun miracolo davanti ad essi.
Tanta incredulità causò stranezza allo stesso Gesù e si consolò pensando che 'solo tra i suoi un profeta è sottovalutato'. A noi, tuttavia, può capitare che anche ciò non arrivi a sorprenderci. Ci sembra logico che chi meglio ci conosce meno ci creda; la convivenza e la vicinanza lasciano scoprire con maggiore facilità le mancanze e gli eccessi di qualunque persona. Compreso Gesù. Per quel motivo ci sentiamo inclinati a comprendere ed a scusare i suoi concittadini. Gesù non fece così ma si allontanò a causa della loro mancanza di fede. La meraviglia è che non comprendiamo bene perché non seppero stimare Gesù, per bene che lo conoscevano. La cosa peggiore del caso è che anche a noi ci capita di fare qualcosa di simile con Gesù come quello che succedette ai suoi compaesani.
Anche noi crediamo di sapere ogni cosa di Gesù ed anche noi non ci lasciamo sorprendere per niente di ciò che dice. E benché il suo insegnamento ci attira richiamando qualche volta l'attenzione per il suo radicalismo, continueremo a rispondere a noi stessi che niente di nuovo può dirci qualcuno che conosciamo a memoria. È vero che ci sorprendono quei miracoli che altri hanno ricevuto dalle sue mani; ma il fatto che non li ripeta con noi, gli toglie la credibilità; non possiamo credere che delle mani di lavoratore, di uomo normale, mani come quelle nostre, facciano quello che noi non possiamo. Solo perché crediamo di conoscerlo molto bene, non riusciamo a credere in lui. A noi, cristiani veterani, ci capita, dunque, quello che capitò ai vicini di Gesù: la nostra familiarità con Gesù, il nostro sapere tanto su di lui, sta togliendoci le ragioni per fidarci di lui. E come essi un giorno, paghiamo la nostra incredulità con l'assenza di portenti nella nostra esistenza cristiana.
Per quel motivo, precisamente, viviamo la nostra vita cristiana senza emozione, con routine, senza sorprese, perché crediamo che Dio ci ha detto già tutto quello che doveva dirci e ha fatto per noi tutto quello che ci aveva promesso; Dio non ci sorprende più, perché crediamo di sapere tutto su di Lui. E se ci dicono qualcosa di Lui che non conoscevamo ancora, rispondiamo, come i compaesani di Gesù, con apprensione e sfiducia; quello che non possiamo capire, non possiamo neanche crederlo; quanto non possiamo darci, non l'aspettiamo neanche da Lui. E benché capiamo l'importanza che Gesù ha per altri, quello che Dio dice ancora a loro, di quanto ha fatto per essi, ci interessiamo poco a ciò che significa per noi, perché sappiamo molto su di Lui e non dover cambiare la nostra idea su Dio.
Per darlo per scontato, non riusciamo a conoscerlo meglio. Per esserci abituati a Lui, non riusciamo ad avere una migliore esperienza. Ce lo crediamo familiare e non lo cerchiamo mai. E per non cercarlo, non ci sentiamo uniti a Lui. Ci stiamo privando di Dio, come i compaesani di Gesù, solo perché crediamo che Dio non può essere migliore con noi, né diverso da come lo crediamo. Pensiamo di essere tanto abituati a stare con Lui che non ci lasciamo né sorprendere né speriamo cose migliori da Dio. Un Dio che diamo per conoscente non riesce a sorprenderci; un Dio del quale si sa tutto non ci piace.
E la nostra vita cristiana si riempie di sfiducia: Dio ci defrauda, solo perché lo crediamo alla misura del nostro sapere. Le sue mani non fanno miracoli per noi, solo perché non gli permettiamo che tocchino il nostro cuore: perché non riusciamo ad immaginarci qualcosa di più grande di quello che abbiamo nella testa, migliore del nostro cuore, non gli diamo posto né nella nostra testa né nel nostro cuore. Rimpiccioliamo Dio, perché non osiamo imparare qualcosa di nuovo su di Lui tutti i giorni; ed un Dio piccolo non può entusiasmare. Un Dio conosciuto può essere maneggevole, ma risulta poco affascinante; non dà fastidio, ma neanche sorprese. In fondo, come nuovi compaesani di Gesù, non abbiamo sufficiente fiducia, perché ci eccede l'autosufficienza; né si merita fiducia, perché ci risulta troppo familiare.
La cosa triste del caso è che, anche come quei compaesani di Gesù, stiamo rischiando di non vedere i suoi prodigi. Impossibilitiamo Gesù ad operare meraviglie davanti a noi, - e nel nostro intimo che è la migliore cosa che potrebbe farci -, perché sentendolo parlare sorprende più per la sua saggezza che per la nostra necessità. Semmai, ci domandiamo com'è possibile che dica tali cose e non tanto perché li sta dicendo; a forza di interrogarci da dove gli viene tanto sapere, non notiamo che sa tutto su di noi e che conosce tutti i nostri mali. E siccome non gli crediamo, neanche egli ci fa vedere il suo potere di guarigione: un Dio potente è un Dio garante.
È una pena che Gesù continui oggi, come in quei giorni, a fare più miracoli tra gli estranei che tra i suoi conoscenti, convertendo più facilmente chi l'ignorava e non gli amici. I 'cristiani veterani', i credenti di sempre, sono tanto abituati al loro Dio che hanno perso il rispetto e la venerazione; siamo tanto abituati a quanto si è detto di Cristo che non ci sforziamo di sperimentarlo personalmente. Prendiamo come seria avvertenza quanto accadde coi suoi compaesani: credere di sapere molto su Gesù può essere un ostacolo per credere nella sua persona e per accettare i suoi insegnamenti; darlo per conoscente può privarci di conoscere i suoi miracoli e sperimentare il suo potere. Non per il fatto di essere cristiani siamo sempre meglio preparati ad essere credenti. Sarebbe una pena che, come i più vicini a Gesù un giorno, perdessimo la fede solo perché non la apprezziamo sufficientemente. Sarebbe una pena che ci lasci soli, solo perché lo conosciamo già bene.

                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

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