Luca Desserafino sdb "A TE ALZO I MIEI OCCHI"

5 luglio 2015 | 14a Domenica - Tempo Ordinario B | Omelia
Una costante del Vangelo di Marco è l'atteggiamento di incomprensione e di rifiuto nei confronti di Gesù da parte delle più diverse categorie di persone: dall'ostilità crescente e sempre più aperta della clase dirigente all'incomprensione dei parenti stessi, all'abbandono della folla che, dopo l'entusiasmo iniziale, prende le distanze da Lui, alla "durezza di cuore" dei discepoli.



Tutto questo dà un colore particolarmente drammatico alla vita e all'attività di Gesù. Quando Dio si impegna più intensamente in favore degli uomini, e in Gesù si coinvolge al di là di ogni misura e previsione, essi rispondono con una risposta il più delle volte fallimentare e deludente.

L'evangelista qui non intende semplicemente mostrare l'umanità vera di Gesù, ma nella sua reazione emotiva ci fa intravedere la reazione di Dio. Un Dio-Padre che non rimane e non è indifferente alla risposta degli uomini, un Padre che non è insensibile al fatto che si prenda sul serio il suo amore oppure no, lo si svii.

In questo contesto si colloca l'episodio narrato nel brano evangelico di oggi. Gesù arriva a Nazaret, il paese dove è cresciuto, dove ha trascorso la maggior parte del tempo della sua esistenza. Lo precede la fama di predicatore itinerante ricercato dalle folle e di operatore di prodigi. Di sabato, da buon ebreo, partecipa al culto nella sinagoga e "incominciò a insegnare". Subito si manifesta l'effetto dell'uditorio: "Molti rimanevano stupidi".

L'episodio si apre e poi si chiuderà all'insegna dello stupore. Lo "stupore", di solito, nei Vangeli, è il sentimento che provano quanti hanno assistito a un miracolo compiuto da Gesù e sfocia, quasi sempre, nella lode di Dio. Qui a Nazareth lo stupore parte bene. Di fronte alla sapienza del loro compaesano, che non aveva frequentato le scuole dei rabbini, si interrogano: "Che sapienza è mai questa che gli è stata datta?". Data da Dio, si intende. La loro domanda sembra, quindi, imboccare la direzione giusta. Ma, una volta sfiorata la verità, non proseguono verso di essa, infatti subito si chiedono: "Non è costui il carpentiere?".
Ecco qui la domanda fondamentale, che attraversa tutto il vangelo di Marco. L'intento dell'evangelista è, appunto, portarci a trovare la risposta vera all'interrogativo che riguarda la persona di Gesù: Chi è Gesù? Chi entra in qualche modo in contatto con Lui sente affiorare necessariamente questa domanda sulla sua identità. Spesso però il problema non è tenuto aperto in un atteggiamento di ricerca e di riflessione seria. Le ragioni: superficialità, paura di convertirsi? In ogni modo prevale, quasi sempre, la fretta di dare una risposta.

E ciò avviene nella direzione sbagliata; essi conoscono le sue umili origini, lo hanno visto crescere. Sanno tutto di Lui: è il carpentiere, che ha ereditato il mestiere dal padre Giuseppe. E' un bravo operaio, come altri del villaggio. Conoscono sua madre: "Non è il figlio di Maria?". Conoscono i suoi cugini. Insomma la sua è una famiglia insignificante. E così lo stupore, invece di diventare fede entusiasta, si tramuta in scetticismo incredulo: "Si scandalizzavano di lui".

La radice di tale incredulità è proprio l'incapacità di riconoscere la presenza e l'azione di Dio in ciò che è umile e quotidiano. Lo "scandalo", cioè l'ostacolo a credere, deriva dal fatto che Gesù non rispondeva alla loro immagine di Dio: un Dio che, se si manifesta, deve farlo in modo evidente e spettacolare.

"E non vi potè operare nessun prodigio". Gesù ha come le mani legate. L'incredulità lo blocca. I miracoli non sono gesti straordinari destinati a impressionare la gente e a forzare l'adesione nei confronti di Gesù. Non "producono" la fede. Il miracolo è sempre una risposta alla fede. Il miracolo si può "leggere" soltanto alla luce del credere ed è un appello al credere: un appello rivolto al cuore delle persone. Ecco perché Gesù non opera nessun prodigio, ma guarisce solo pochi malati, nella misura della loro fede. "E si meravigliava della loro incredulità". Gesù prova un disagio e un rincrescimento profondo, rimane, per così dire, "spiazzato".

Lo delude e lo amareggia la falsa religiosità di quanti pretendono che Dio si manifesti soltanto nella potenza e nel trionfo, mentre non accettano che intervenga nella povertà e nella semplicità. Dio con l'Incarnazione penetra nell'umanità fino al limite estremo, attraverso un "carpentiere", un uomo che soffre ingiustamente il rifiuto e muore di una morte ignominiosa.

Che grazia quel giorno per gli abitanti di Nazareth, quando nella loro sinagoga hanno ricevuto la visita di Gesù e hanno ascoltato la sua parola! Che occasione! Ma questa grazia e questa occasione si ripete anche per noi quando ci troviamo riuniti per celebrare l'Eucaristica, qui ed ora, sappiamo, Gesù è in mezzo a noi.

Ai nazaretani non è bastata la conoscenza di Gesù, la vicinanza fisica e la familiarità con Lui per riconoscere il suo mistero. Anche noi potremmo lasciarci giocare dalla falsa presunzione di avere familiarità con Gesù, di sapere tutto di Lui, ma saremo, così, anche noi incapaci di superare i nostri schemi e non essere attenti a cogliere la novità di Dio, che per amore si abbassa donandosi a noi, rivelando al tempo stesso il volto del Padre e nel Figlio la nostra vocazione di figli.

Anche oggi può accadere pure a noi di non saper riconoscere la presenza e l'appello di Dio attraverso le persone che ci vivono accanto, negli avvenimenti che costellano la nostra esistenza. E così ci può sfuggire l'occasione che Dio ci offre per convertirci al Vangelo.

Chi si comporta come gli abitanti di Nazareth, ossia chi non accetta l'autorità di Gesù sulla sua vita, impedisce al Signore di operare. Sta scritto che a Nazareth Gesù non poté operare miracoli; non è che non volle, "non poté".

I suoi concittadini volevano che operassse qualche miracolo, ma non avevano capito che non si trattava di fare prodigi o magie al servizio della propria fama. Il miracolo è la risposta di Dio a colui che tende la mano e chiede aiuto. Nessuno di loro tesse la mano. Tutti semmai avanzavano pretese. Non è questa la via per incontrare il Signore.

Dio non ascolta l'orgoglioso. Volge invece il suo sguardo sull'umile e sul povero, sul malato e sul bisognoso.
A Nazareth, infatti, Gesù poté guarire solo alcuni malati: appunto, quelli che invocavano aiuto mentre passava. Beati noi se, staccandoci dalla mentalità dei nazareni della sinagoga, ci mettiamo accanto a quei malati che stavano fuori e che chiedevano aiuto al giovane profeta che passava.

Luca Desserafino sdb

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