CIPRIANI SETTIMO"Si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore"

19 luglio 2015 | 16a Domenica - Tempo Ordinario B | Appunti per la Lectio
"Si commosse per loro, perché
erano come pecore senza pastore"
La Liturgia della presente Domenica sviluppa, in un certo senso, il tema della "missione", proposto dalle letture bibliche della settimana scorsa: infatti, le immagini del "pastore" e del "gregge", che ricorrono nella prima (Ger 23,1-6) e nella terza lettura (Mc 6,30-34) di questa Domenica, intendono certamente delinearci la "fisionomia" spirituale e gli atteggiamenti sia di coloro che sono "mandati", sia di coloro che "ricevono" gli inviati di Cristo.

"In quel tempo gli apostoli si riunirono attorno a Gesù..."
D'altra parte, il brano di Vangelo odierno si collega direttamente con la precedente scena della "missione", in quanto ce ne riferisce il risultato, che deve essere stato esaltante, a giudicare almeno dalla folla che assale gli apostoli da tutte le parti: tanto che Gesù propone loro di ritirarsi in un luogo appartato, per "riposarsi un po'" (vv. 30-32).
Dove sia da collocare questo "luogo solitario", menzionato da Marco, non è facile stabilirlo, data l'incertezza dei riferimenti geografici fornitici anche dagli altri evangelisti: forse nella riva occidentale del lago di Tiberiade, nei pressi di Cafarnao o di Tiberiade.
Questo tentativo di allontanamento dalla folla, che si ripeterà altre volte nella vita di Gesù, di fatto non riuscì, perché "molti li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose" (vv. 33-34).
Queste ultime parole sulla "commozione" di Gesù, per un verso chiudono il brano che ci interessa direttamente e, per un altro verso, aprono e illuminano di profonda simpatia umana la sezione che segue e che ci descrive la prima moltiplicazione dei pani (vv. 35-44): il "pastore" vero è colui che non soltanto avverte lo sbandamento del "gregge", ma gli va incontro cercando di "ammaestrarlo" su molte cose, di "nutrirlo" perfino con il pane del miracolo, esattamente come fa Gesù in questa occasione.

Cristo "pastore" ideale
È chiaro perciò che nell'intenzione di Marco tutto il presente quadro narrativo, che ha come protagonista Cristo che manda e gli apostoli che sono mandati e ora ritornano dalla loro prima esperienza missionaria, vuol fornire ai suoi lettori i tratti "caratteristici" del pastore "ideale" che è Cristo, sul quale poi devono modellarsi coloro ai quali egli affida il compito di rappresentarlo nella sua Chiesa.
Quali sono questi tratti "caratteristici"? Rimanendo nel breve spazio del presente brano evangelico, essi potrebbero ridursi a tre e potrebbero essere così delineati.
Il primo è che il pastore deve amare talmente il gregge, da sentirsi "commuovere" fin nelle proprie viscere dai bisogni delle proprie pecore. Più che una immagine di forza, perciò, quella del pastore è una immagine di amore, di donazione e di tenerezza. Era quanto Gesù diceva parlando proprio di sé: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde" (Gv 10,11-12).
È su questa linea che si muovono non poche pagine profetiche che ci descrivono Dio come pastore tenerissimo che si porta al seno il suo gregge: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri" (Is 4,11; cf Dt 32,11).
Anche il Salmo 22, che nella Liturgia odierna viene letto come salmo responsoriale, pur presentandoci Dio nell'immagine del pastore nerboruto, che con il suo "bastone" e il suo "vincastro" tiene lontano i lupi e i ladri, sembra preferirne l'aspetto di tenerezza e di premura verso il suo gregge: "Davanti a me tu prepari una mensa / sotto gli occhi dei miei nemici; / cospargi di olio il mio capo. / Il mio calice trabocca".
Come si vede, a questo punto il pastore si è cambiato in affettuoso "ospite", che non fa mancare nulla ai suoi invitati!

"Radunerò io stesso il resto delle mie pecore"
Rimanendo sempre nel contesto liturgico, è la lezione che si ricava anche dalla prima lettura in cui il profeta Geremia (23,1-6), dopo aver rimproverato i "pastori" indegni del suo tempo, re e capi spirituali del popolo, preannuncia che Dio stesso prenderà cura di Israele, facendolo ritornare dall'esilio babilonese e dandogli dei pastori secondo il suo cuore: "Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare" (23,3-4).
Esplorando poi il futuro, il profeta preannuncia per la fine dei tempi il re e pastore ideale, Cristo, che farà "fiorire" per tutti santità e giustizia. È quanto viene espresso con il doppio nome di "germoglio" e "Signore-nostra-giustizia", con cui verrà chiamato: "Ecco verranno giorni... nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra... Questo sarà il nome con cui lo chiameranno: "Signore-nostra-giustizia"" (23,5-6).

"Non avevano più neanche il tempo di mangiare"
Proprio perché ama il suo gregge fino a "commuoversi" per tutti i suoi bisogni, il pastore si mescola e quasi "si identifica" con esso. Questo è il secondo tratto "caratteristico".
È quanto vediamo mirabilmente descritto nel racconto evangelico, quando Marco ci dice che "era molta la folla che andava e veniva", tanto che gli apostoli e anche Gesù "non avevano più neanche il tempo di mangiare" (Mc 6,31).
E anche quando si ritirano per "riposarsi un po'", sono come sopraffatti dalla folla che li previene nei loro movimenti: "Molti però li videro partire... e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero" (v. 33). La successiva scena della moltiplicazione dei pani ci fa vedere gli apostoli completamente mescolati alla gente e al suo servizio: "Voi stessi date loro da mangiare... Presi i cinque pani e i due pesci (Gesù)... li diede ai discepoli perché li distribuissero..." (vv. 37.41).
In questo atteggiamento degli apostoli di fronte alla gente, che attende di essere sfamata, è delineato lo spirito del "servizio" pastorale nella Chiesa: un darsi e uno spendersi per gli altri, perché essi crescano, si irrobustiscano "nutrendosi" di tutti i doni di Dio.
Ma questo è possibile solo a condizione che il pastore si senta "servo", non padrone del suo gregge, proprio come Gesù si è sforzato ripetutamente di far capire ai suoi apostoli: "I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi...; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,25-28).

"Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'"
Ma accanto a questo, anche un terzo tratto "caratteristico" emerge con forza dal brano evangelico, per completare il quadro del pastore ideale: ed è il bisogno di "solitudine" e di ristoro, sia fisico che spirituale.
Non è facile stabilire in concreto che cosa abbia indotto Gesù a consigliare ai suoi apostoli un po' di ritiro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'" (6,30). Forse la stanchezza fisica, da cui li vedeva oppressi per tutta quella gente che andava e veniva e non lasciava loro "neanche il tempo di mangiare" (v. 31), come sembra suggerire il contesto? O forse il desiderio di trovarsi da solo con i Dodici, per valutare insieme a loro quella prima esperienza di evangelizzazione, come sembra anche più logico da tutto l'insieme della narrazione?
Nell'un caso o nell'altro è ammirabile questa delicatezza e questa sensibilità "pedagogica" di Gesù, che ce lo fa sentire ancora di più come il pastore per eccellenza. Se poi i due motivi, quello materiale e quello spirituale, si assommano fra di loro, come io ritengo, allora raggiungiamo il sublime. Cristo pastore ha cura perfino dell'efficienza e salute fisica dei suoi apostoli!
Questo invito alla "solitudine" per "riposarvi un po'" sembrerebbe in contraddizione con i due tratti caratteristici sopra ricordati: se il pastore deve "immergersi" nella folla per conoscerne i bisogni e le ansie, perché separarsene, sia pure per brevi intervalli?
Si è che, nella prospettiva biblica, il pastore è sempre il "portavoce" delle istanze di Dio presso il suo popolo: di qui la necessità di avere spazi di vita e di tempo da dedicare all'ascolto della "parola" di Dio e al dialogo con lui, per esserne il fedele interprete presso coloro che sono stati affidati alle sue cure. Non si può essere pastori per proporre un "proprio" messaggio o imporre un "proprio" servizio nella Chiesa, ma solo per proporre il messaggio e il servizio "di Cristo"!
Gesù, che è l'uomo che più di tutti si è mescolato con la folla ed ha vissuto con la folla, ne sa prendere anche le distanze, per non svuotarsi della carica che gli viene da Dio. Senza allontanarci troppo dal nostro episodio, che pur è altamente significativo, ricordiamo quello che ci descrive Marco subito dopo la prima moltiplicazione dei pani: "Ordinò poi ai discepoli di salire nella barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsaida, mentre egli avrebbe licenziato la folla. Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra" (6,45-47). Segue quindi la scena di Gesù che cammina sulle acque (6,48-52).
L'azione senza la "contemplazione", soprattutto per chi ha compiti di servizio pastorale nella Chiesa, sarà sempre una "pessima" azione!

"Gregge" e "pastori" nella Chiesa
Questa volta potrebbe sembrare che la predica sia rivolta ai predicatori, e qualcuno potrebbe anche non trovarla adatta per l'uso omiletico!
In realtà, se ho ben letto i testi biblici, il discorso è rivolto prevalentemente a coloro che esercitano un servizio pastorale nella Chiesa, di qualunque grado o livello esso sia; perciò i primi ad essere interpellati, questa volta, sono coloro stessi che annunciano il Vangelo. Però è anche vero che non si può parlare del pastore senza coinvolgere il gregge: i due termini sono dialettici. Nei doveri dei pastori sono implicitamente proposti e chiariti i doveri stessi del gregge dei fedeli. Quanto più il pastore sarà quello che deve essere, secondo l'insegnamento e l'esempio di Cristo, tanto più il gregge darà la sua risposta di amore e di fedeltà!
È per questo che rimeditare insieme i tratti caratteristici del pastore ideale che è Cristo e, dopo di lui, i suoi apostoli, farà crescere tutti i battezzati in quella comunione di fede e di amore che è la Chiesa, la quale è costituita dalla generosa "collaborazione" di tutti, qualunque sia il grado del nostro servizio.

"Cristo ha fatto dei due un popolo solo"
Se si vuole, si può forse leggere anche in questa chiave, cioè di collaborazione "pastorale" fra i vari membri della Chiesa, quello che san Paolo scriveva della "unificazione" che Cristo era venuto a fare di Giudei e pagani in un "solo corpo", rappacificandoli fra di loro "nel suo sangue", sparso sulla croce.
"Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia" (Ef 2,14-16).
Lo sfondo "ecclesiologico" in cui si muove l'apostolo, come abbiamo appena accennato, è molto più vasto: si riferisce alla compaginazione in un unico "popolo" di salvati di tutti gli uomini, operata da Cristo, mediante l'abrogazione della "legge" antica, che era di per se stessa discriminante in quanto esclusivo "privilegio" di Israele. Morendo per tutti sulla croce, egli "riunifica" in se stesso Giudei e pagani, e indica l'unica nuova "legge" di vita, cioè l'amore universale, che abbraccia perfino i nemici.
Le immagini, che adopera san Paolo per indicare il risultato della "riconciliazione" operata da Cristo con la sua morte di croce, sono sempre più incalzanti: dai due "popoli" in conflitto in realtà nasce "un popolo solo" (v. 14), "un solo uomo nuovo" (v. 15), "un solo corpo" (v. 16).
Tutto deve tendere dunque all'unità nella Chiesa. I pastori tanto più saranno "segno" di Cristo, quanto più si sforzeranno di crescere loro per primi nell'amore e di far crescere il loro gregge nell'amore: perché solo l'amore fonda la Chiesa. Al di fuori di questa via che dobbiamo tutti percorrere, sia pastori che gregge, dandoci reciprocamente la mano, non vi è avvenire per la Chiesa!
Lasciamoci dunque guidare da Cristo: "Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito" (v. 18).

                      Da CIPRIANI SETTIMO

Commenti

Post più popolari