don Alberto Brignoli " Eucaristia gratis! Per tutti!"

XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (26/07/2015)
Vangelo: Gv 6,1-15 
La lettura continuata del Vangelo di Marco che ci accompagna in questo anno liturgico B ci offre una tregua che durerà circa un mese, durante il quale leggeremo ciò che cronologicamente -
seguendo i capitoli del Vangelo di Marco - ci avrebbe giustamente atteso, ossia il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, conseguenza del sentimento di compassione di Gesù verso le folle che abbiamo ascoltato domenica scorsa; di fatto, però, lo facciamo attraverso la narrazione offertaci dal Vangelo di Giovanni, al capitolo 6, perché poi essa verrà completata dal bellissimo discorso sul Pane di Vita che ne consegue e che, appunto, ci accompagnerà a tappe nelle prossime domeniche del Tempo Ordinario.
Giovanni non è mai solamente narrativo, e proprio per questo non è mai scontato o banale: ogni particolare della sua opera è da leggere con profonda attenzione. In particolare, questo miracolo e il discorso-dibattito che ne consegue, sono ritenuti dagli studiosi la narrazione dell'istituzione dell'Eucaristia, che in Giovanni non viene narrata nel contesto dell'Ultima Cena in quanto è sostituita dalla lavanda dei piedi e dai grandi discorsi testamentari di Gesù. Si può dire che questo capitolo 6 è una grande catechesi sull'Eucaristia, vista soprattutto come condivisione con noi, da parte di Dio, del nostro pane quotidiano: il tutto, sotto la dimensione della gratuità e dell'universalità. In poche parole, l'Eucaristia è il mangiare di Dio con l'umanità, offerta gratuitamente a tutti, senza distinzioni.
È ciò che emerge sin dai primi versetti di questo capitolo, quelli che abbiamo letto oggi, che descrivono il fatto miracoloso della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Che il riferimento sia all'istituzione dell'Eucaristia è rimarcato dal fatto che ci troviamo in prossimità della Pasqua (la prima delle tre vissute da Gesù, stando al racconto di Giovanni); ma mentre la fede ebraica richiedeva al popolo eletto di accorrere al tempio per compiere i precetti della Legge e ottenere la salvezza, qui il nuovo popolo (la folla) accorre spontaneamente a Gesù, nuovo e vero Tempio, luogo vivente in cui si manifesta la nuova Legge, per cercare in lui salvezza. È evidente la differenza d'intenti tra la folla e Gesù: la folla cerca Gesù perché vedeva i segni che compiva sugli infermi, quindi per risolvere i suoi bisogni più immediati, mentre Gesù cerca la folla per entrare comunione con lei, e non c'è modo migliore del condividere il pane di ogni giorno, che diviene - lo diciamo ogni volta che ci accostiamo all'Eucaristia - comunione con Dio e tra di noi.
Tutto comincia da una libera iniziativa di Dio: la gente, infatti, non chiede cibo a Gesù. E neppure ci troviamo in una situazione come quella descritta da Marco o dai sinottici, nella quale i discepoli si fanno interpreti della fame delle folle che da giorni seguono, sfinite, Gesù. Qui è Gesù che osserva le folle e che, senza che nessuno avanzi alcun tipo di richiesta, coinvolge i discepoli in questo gesto di comunione con l'umanità: non solo, infatti, Gesù chiede a Filippo cosa i discepoli possano fare per dare da mangiare alla folla, ma addirittura Giovanni commenta specificando che la richiesta di Gesù era un'esplicita provocazione ai Dodici (lo faceva per metterli alla prova, poiché sapeva bene ciò che stava per fare). Tutto, dicevamo, parte da una libera iniziativa di Dio: ecco la gratuità del gesto, offerto senza che nessuno chieda nulla al Maestro. Non dimentichiamoci mai che l'Eucaristia è un gesto di gratuità di Dio nei confronti dell'umanità, e non - come spesso siamo portati a considerare - una conquista della nostra irreprensibilità di fronte ai comandamenti di Dio, quasi fosse un premio per il fatto che ci comportiamo bene, che siamo "in grazia di Dio": è proprio questa mentalità che ci induce a creare una "scala" di maggiore o minore dignità nell'accedere alla comunione eucaristica, spesso scegliendo di rinunciare a fare la comunione (o peggio ancora di negarla agli altri) perché "non si è a posto con la coscienza"...ma la comunione non è un premio dato a chi è "a posto" in coscienza di fronte a Dio e ai fratelli, altrimenti, se fosse davvero così, credo che saremmo davvero in pochi a potere accedere all'Eucaristia, a cominciare da noi che la celebriamo.
L'Eucaristia è un gesto di gratuità di Dio nei nostri confronti, e soprattutto, è universale, senza esclusioni. Non a caso Giovanni parla di "cinquemila persone": non si tratta certo di un evangelista che mette i numeri a caso, per cui ottiene la cifra moltiplicando i cinquanta giorni della Pentecoste (pienezza per la Chiesa) per il numero della totalità, il cento (pienezza per l'umanità). Nessuno è, per principio, escluso dall'Eucaristia, perché Gesù non ha mai escluso nessuno, e ha creato comunione a partire dalla nostra pochezza di cinque pani e due pesci, dalla debolezza della nostra condizione (come il ragazzo che li offre), dalla esclusione della facile soluzione di comprare tutto (ammesso di riuscirci) con i nostri duecento denari.
Ricordiamoci di questo brano, ogni tanto, noi che ci diciamo credenti in Cristo; soprattutto, ogni volta che - come Chiesa - creiamo gruppi di esclusi dall'Eucaristia, ritenendoli "non in piena comunione" con Dio, ergendoci noi a giudici e padroni di un Dio che ha sempre agito da servo, al punto da dare da mangiare ai cinquemila "facendoli sedere" (Giovanni usa il verbo "sdraiare", su un fianco, come mangiavano i nobili serviti dai loro schiavi...), al punto da fuggire sul monte, lui da solo (i Dodici purtroppo non comprendono ancora questa logica del servizio), per evitare che lo facciano re.
L'Eucaristia che celebriamo è questo: gratuità, universalità, condivisione della nostra e dell'altrui povertà, servizio. Se la Chiesa, la comunità dei credenti, non si confronta con queste caratteristiche che il Maestro le ha lasciato in maniera inequivocabile, difficilmente può dirsi custode del dono più grande che Gesù le ha lasciato, neppure qualora lo facesse con il buon intento di conservarlo santissimo e preziosissimo, come veramente è.

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