don Giorgio Scatto " La libertà dai poteri del discepolo missionario"

15° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Letture: Am 7,12-15; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
MONASTERO MARANGO CAORLE (VE)
1)La scorsa settimana ci siamo soffermati sulla seconda lettera di Paolo ai Corinzi: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Vorrei tenere questo punto di vista per commentare i brani proposti per la liturgia di questa settimana.

«Non profetizzare più,perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».
Amos, vissuto nell’VIII secolo a.C., è un mandriano e un coltivatore di piante di sicomòro. Un uomo che vive onestamente del proprio lavoro, come molti altri, anche oggi. Il Signore gli parla e gli dice di andare a fare il profeta al nord, in una regione che si è creata un suo re e un suo tempio. Questo è niente: è una regione che vive di una prosperità economica che è il frutto velenoso del disprezzo dei poveri e della umiliazione degli stranieri. Come anche oggi, in molte delle nostre regioni. Amos lascia tutto e va: la sua debolezza, la sua solitudine in una terra ostile, il vivere senza la sicurezza del lavoro delle sue mani, lo rende forte. Non è più abitato dai suoi progetti, ma dalla Parola di Dio, che è una parola incandescente e scomoda. Al nord rimane poco più di qualche settimana, perché viene espulso per ordine del sacerdote Amasia, un cortigiano del re. Ma ormai la Parola di Dio è stata gettata, come legna sul fuoco, e rimane viva, penetrante, capace di disturbare fino ad oggi i pensieri di quelli che seggono in alto e disprezzano i piccoli e i poveri. Il potere, anche quando si veste di religiosità, ha paura dei profeti, di quelli che non scendono a compromessi, che preferiscono l’esilio piuttosto che recitare la parte gradita ai signori di turno. Conosco, grazie a Dio, numerose persone fatte in questo modo. Ma conosco, purtroppo, anche coloro che cambiano casacca ad ogni cambio di regime, perché sperano in tal modo di rimanere abbarbicati ad una parvenza di potere, politico o ecclesiastico, sempre ambiguo e illusorio. Sì, anche nella Chiesa. Ci si dimentica in fretta che si è forti solo nella debolezza, e non quando rivestiamo goffe armature per finte battaglie.
A Nazareth Gesù, l’umile figlio del falegname, ha provato su di sé il duro giudizio dei suoi concittadini. Gli hanno riconosciuto una sapienza non usuale nemmeno presso i migliori dottori della Legge, ma rimangono scandalizzati dalla sua debolezza. Sappiamo come anche Gesù sia stato tentato, per accreditare la sua missione, di indossare la veste del potente, di avere molti mezzi a disposizione, di giocare a suo piacimento con le parole scritte nel libro sacro. Ma il profeta venuto da Nazareth ha compreso, nella luce dello Spirito, che solo la sua debolezza sarebbe diventata la sua forza; solo la sua radicale povertà, messa nelle mani del Padre, avrebbe permesso a Dio di esercitare tutta la sua potenza. Nella sua umiliazione fino alla morte di croce Gesù diventa un’icona di luce, che lascia trasparire l’amore infinito del Padre. La sua umanità non fa ombra, non è un ostacolo all’agire di Dio, ma è un prezioso veicolo di trasmissione della sua grazia.
Il rifiuto dei suoi concittadini non piega il profeta di Nazareth, il quale chiama nuovamente a sé i Dodici e incomincia a mandarli a due a due: vanno insieme, perché non si fanno concorrenza, non sono propagandisti frettolosi di un nuovo prodotto religioso,ma testimoni del Regno, discepoli di un Maestro che abbatte le barriere innalzate dall’orgoglio di ogni singolo individuo che pensa di salvarsi con le sue sole forze. Bisogna essere almeno in due, per aiutarsi a vicenda, per camminare nella carità, per dare una testimonianza unanime e concorde. E due non sono un esercito schierato a battaglia. Sono poca cosa. Esprimono più debolezza che potenza; più desiderio di essere accolti in una fraternità più dilatata che volontà di imporre nuove regole e nuove morali. Un inno pentecostale recitava come ritornello : «Non nella forza il potere, ma nello Spirito di Dio».
Questi uomini deboli un potere tuttavia lo ricevono: «Dava loro potere sugli spiriti impuri». Non è un potere sugli uomini, un potere di dominio, magari sancito dal diritto, ma un potere su ciò che ferisce, devasta, umilia l’uomo. Il vangelo chiama ‘spirito impuro’ quella forza che finisce per uccidere nell’uomo ogni desiderio di bene, ogni volontà di riscatto. Gesù non manda i suoi a dire parole, a fare prediche, ma ad annunciare una Parola che ha il potere di risuscitare i morti. Per questo è una Parola scomoda, talvolta anche in certi ambienti di Chiesa, e si preferisce far tacere, allontanare, mettere all’angolo i profeti piuttosto che lasciarsi afferrare dalla loro testimonianza e incamminarsi su vie di conversione. Don Mazzolari, don Milani, don Tonino Bello, ma anche mons.Romero, il card.Martini, per citare solo alcuni personaggi dell’istituzione, hanno tentato inutilmente di farli tacere uomini che nella Chiesa avevano potere.
Bisogna andare a mani nude, non prendendo per il viaggio «né pane, né sacca, né denaro nella cintura». Non si tratta di fare a gara per mostrare di essere più poveri di qualcun altro. Il vangelo sottolinea piuttosto che la missione porta in sé il bisogno di leggerezza, di libertà, di essenzialità. Non bisogna essere appesantiti sulla via della missione, perché si rischia di fermarsi prima ancora di iniziare il viaggio. Basta il solo abito del battesimo e il bastone del pellegrino.
«Entrare in una casa, rimanere, partire. Accogliere, ascoltare. Scuotere la polvere sotto i pied»i. Con poche pennellate Marco ci descrive il dinamismo della missione. Il discepolo è un missionario itinerante. Libero da pressioni e da condizionamenti. Libero di restare finché c’è bisogno e libero di andare se lo Spirito invia altrove. Mettendo nel conto prove, opposizioni, difficoltà. Frére Roger Schultz, il fondatore di Taizè, mi disse un giorno: «Farai molto bene nella tua chiesa di Venezia, ma dovrai anche molto soffrire». Ogni volta che prendo una legnata mi domando se non sia l’ultima. Non è mai l’ultima.
Il vangelo annunciato non pretende nulla in cambio, e non porta via niente, nemmeno la polvere da sotto i piedi. Mi piace interpretare così questo versetto, che ha, ovviamente anche altre letture, più serie e più fondate.
Allora, poche le cose necessarie alla missione:
la predicazione del Regno,
L’impegno per la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione e schiavitù,
la cura dei deboli e degli ammalati.
Tutto il resto sembra non appartenere alla logica del Vangelo.

Giorgio Scatto  

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