Don Giorgio Scatto"Nutrire la propria esistenza della presenza di Gesù: è lui il pane che ci manca"

18° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Leture: Es 16,2-4.12-15; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35 MONASTERO MARANGO CAORLE (VE)
1)Quando una cena o un pranzo sono offerti gratuitamente, c’è sempre molta folla seduta ai tavoli. Correre là dove qualcuno offre qualcosa è un impegno da poco, e non comporta normalmente la messa in discussione dei nostri stili di vita e delle nostre scelte fondamentali. Se
va male ci si annoia e se va bene si torna con la pancia piena e con la soddisfazione di aver trascorso un paio d’ore in compagnia.
Sembra che anche la folla di cui parla il vangelo di oggi si sia posta alla ricerca di Gesù per questi stessi motivi, non proprio esaltanti: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati».
Ho sempre ritenuto che non bisogna contrapporre il bisogno del pane ad altri bisogni, che si credono più ‘spirituali’. Corpo e anima, materia e spirito, tempo ed eternità, tutto ci appartiene e tutto ci viene offerto al fine di poter realizzare quella umanità ancora inedita che sta nell’in principio dei disegni di Dio. Quindi, va bene cercare le vie perché a nessuno manchi il pane sulla tavola. Spesso è necessaria la lotta perché questo sia possibile. Oggi ci sono interi Stati piegati dalla prepotenza di coloro che riempiono avidamente i loro granai e lasciano ai poveri solo le briciole. E’ una verità che sta drammaticamente sotto gli occhi di tutti. Tuttavia anche un mondo fondato prevalentemente sulla dittatura dei poteri economici, e di tutti gli altri idoli che gli si costruiscono intorno, non è destinato a durare sempre. Il cuore dell’uomo non cerca solo di soddisfare la sua fame di pane. Cerca altro. Ed è anche per questo che le folle, forse ancora in modo inconsapevole, vanno dietro a Gesù. Occorre risvegliare questo desiderio più profondo. «Datevi da fare non (solo) per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà». C’è un cibo che può nutrire la fame dell’uomo, che non perisce, che è destinato a durare per sempre. E’ un cibo che non possiamo procurarci con le nostre mani e che i potenti della terra non possono ghermire con i loro artigli. Verrà donato gratuitamente a chi ha veramente fame. Però Gesù dice che dobbiamo darci da fare per questo pane. Come dobbiamo intendere questa parola di Gesù? Quali altre opere dobbiamo aggiungere, in un tempo che non basta mai, nei nostri spazi esistenziali sempre più angusti e privi di orizzonte? Cosa fare ancora, che non abbiamo già fatto?

La risposta di Gesù è sorprendente: «Questa è l’opera: che crediate in colui che Dio ha mandato». L’opera più urgente e necessaria è credere. Credere significa nutrire l’esistenza della presenza di Gesù. E’ lui il pane che ci manca.
In un tempo di crisi la Chiesa è tentata di rispondere chiudendosi dentro le sue istituzioni e le sue paure. O mostrando orgogliosamente le sue opere per cercare di accreditarsi di fronte al mondo. Talvolta si fa della fede cristiana una contro-cultura e della Chiesa una contro-società. Si contrappongono le “opere del mondo” alle “opere buone della Chiesa”. Con questo atteggiamento è praticamente impossibile annunciare il Dio di Gesù Cristo come amico dell’uomo e comunicare la sua compassione di Padre di tutti, anche di coloro che possono sembrare ai nostri occhi «perduti».
José Antonio Pagola, studioso di scienze teologiche e bibliche, ma soprattutto prete impegnato nell’annuncio del vangelo e dotato di grande senso pastorale, in un suo recente libro invita la comunità cristiana a «tornare alla fonte e recuperare la freschezza originaria del Vangelo», a tornare a Gesù Cristo che «può rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo». La proposta di tornare semplicemente a Gesù sembra a molti troppo scontata, forse culturalmente poco attraente, certamente poco efficace. Continuano a porre la domanda sulle opere: «Ci vogliono segni imponenti per conquistare il campo del mondo, per attirare gli sguardi di chi è distratto, per contrastare una devastante secolarizzazione». E’ come se interrogassero Gesù: «Che opere sai fare per guadagnarti il nostro consenso? Tu hai costruito cattedrali, istituito università, edificato cittadelle ben fortificate in difesa della sana dottrina e della morale cristiana? Mosè ci ha dato la Legge, ci ha dato la manna nel deserto; e tu, cosa sai fare?». Gesù risponde pacatamente: «Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi sta dando il pane dal cielo, quello vero, quello che dà la vita al mondo».
Noi cerchiamo sovente un pane che non nutre e che non sazia la nostra fame di vita, di bellezza, di amore.
Forse ci siamo rassegnati a vivere solo del duro pane della nostra fatica quotidiana, del nostro magro orizzonte, di amori che finiscono troppo in fretta.
Gesù si propone alla nostra umanità come colui che può dare un senso e una direzione alla nostra vita.
E’ pane profumato di fresco, posto da Dio sulla nostra tavola per essere mangiato.
«Se negli anni in avvenire non si promuove nelle nostre parrocchie e comunità un clima di conversione umile e gioiosa a Gesù Cristo, è facile che vediamo come la fede vada estinguendosi a poco a poco tra noi e come il nostro cristianesimo plurisecolare vada diluendosi in forme religiose sempre più decadenti e settarie e sempre più lontane dal movimento di seguaci ispirato e voluto da Gesù». (J.A.Pagola, Tornare a Gesù, Bologna 2015, p.5.22).
Gesù di Nazareth, nella sua umile e povera persona, è pane di vita.
Chi crede in lui non soffrirà la fame.

Giorgio Scatto  

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