JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA " Cercare Dio"

02 agosto 2015 | 18a Domenica - Tempo Ordinario B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Gv 6,24-35
Dovettero rimanere sorpresi coloro i quali, dopo essere stati sfamati miracolosamente da Gesù, accorrevano di nuovo a lui: si misero alla sua ricerca finché non lo trovarono; e quando lo videro, ricevettero la più inaspettata delle accoglienze; Gesù rinfacciò loro quello che li interessava: non lo volevano per quello che egli aveva fatto bensì per il beneficio che essi
avevano ottenuto; in Gesù non cercavano segni per credere meglio bensì cibo per saziarsi di nuovo. Non smette di essere insolita, quasi ingiusta, la reazione di Gesù: critica quanti camminarono per cercarlo; prima che esprimessero le loro intenzioni, li condannò già per meschine. Il Gesù capace di fare miracoli è anche un Gesù sorprendente, e incredibilmente rigido. Ragione di più avevano coloro che lo cercavano: senza di lui temevano di tornare a sentire la fame e a non contare su nessuno che potesse soddisfarla tanto facilmente; se Gesù era scappato dalle loro vite, sapevano che perdevano l'opportunità di sperimentare nuovi miracoli; continuavano ad avere bisogno di lui, perché continuavano ad averne necessità.

In quel tempo, 24quando la gente vide che né Gesù né i suoi discepoli stavano lì, si imbarcarono ed andarono a Cafarnao alla ricerca di Gesù. 25Trovatolo all'altra riva del lago, gli domandarono:
"Maestro, quando sei venuto qui?"
26Gesù rispose loro:
Ve l'assicuro "voi mi cercate, non perché avete visto segni, bensì perché avete mangiato pane fino a saziarvi. 27Datevi da fare, non per il cibo che perisce, bensì per quello che dura per la vita eterna, quello che vi darà il Figlio dell'uomo; perché a questo l'ha mandato il Padre, Dio."
28Essi gli domandarono:
"E, quale opere dobbiamo fare per lavorare in ciò che Dio vuole?"
29Rispose Gesù:
"L'opera che Dio vuole è questa: che crediate in colui che egli ha inviato."
30Gli replicarono:
"E che segno fai tu, affinché crediamo in te? Quale è la tua opera? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Fece loro "mangiare pane del cielo.""
32Gesù replicò loro:
Vi assicuro "che non Moisè che vi diede il pane del cielo, ma è il Padre mio che vi dà il vero pane del cielo. 33Perché il pane di Dio è quello che scende dal cielo e dà la vita al mondo."
34Allora gli dissero:
"Signore, dacci sempre di questo pane."
35Gesù rispose loro:
"Io sono il pane di vita. Chi viene a me non soffrirà la fame, e chi crede in me non avrà mai sete."

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Il discorso sul pane di vita (Gv 6,22-59) è localizzato a Cafarnao (Gv 6,22.24). Gesù che ha appena saziato una moltitudine (Gv 6,1-15) e salvato i suoi discepoli da un mare in tempesta (Gv 6,16-21), torna a congregare intorno a sé la moltitudine e i discepoli.
La prima parte del discorso (Gv 6,25-34) si apre con la domanda della gente, alla quale Gesù non risponde direttamente (Gv 6,25). La folla è disorientata per la repentina presenza di Gesù in Cafarnao (Gv 6,22). La ricerca di Gesù è interessata, guidata dalla soddisfazione delle necessità. Gesù svela le ragioni non dichiarate: sono stati testimoni del miracolo, hanno approfittato di lui (Gv 6,26). Ma non hanno captato il suo elemento più profondo. Non vale la pena sforzarsi per cercare Gesù, se vogliono unicamente avere assicurato il pane materiale (Gv 6,27). Vale la pena sforzarsi solo per il pane che alimenta la vita eterna. Il Figlio può dare quel pane, per avere il dono di Dio, il suo sigillo (Es 28,11), il suo Spirito.
Quella rivelazione di Gesù si scontra con l'incomprensione: gli ebrei sono disposti a realizzare alcune opere, cioè precetti della legge; accettano di lavorare per qualcosa che non è solo l'alimento giornaliero e domandano quali sono quelle opere che piacciono a Dio. Non hanno capito quello che Gesù ha detto loro: il datore della vita eterna è il prediletto di Dio; il pane non è frutto del fare, bensì dono da ricevere. Gesù corregge la loro comprensione affermando che tutta l'opera di Dio sta nel credere nel suo inviato. Non si tenta di fare cose, bensì di accettare una persona come inviato di Dio; questa è l'opera che assicura il pane di vita (Gv 6,29).
Ma chi non crede, ha bisogno di prove. Non basta loro il segno della moltiplicazione (Gv 6,30). E si appoggiano su Mosè che diede loro la legge, vinse la loro incredulità con segni: la manna del deserto (Gv 6,31). La gente, saziata per un miracolo, chiede più segni; desidera vedere provata la legittimità di Gesù, nel modo come Mosè mostrò la sua. Dell'opera del popolo, saziare la sua fame, si passa all'opera di Dio, la fede nel suo inviato, è lei a centrare ora l'attenzione nell'opera del Figlio.
Gesù respinge quelle pretese, senza negarli, ma superandoli. E lo fa solennemente: il pane di Mosè non era vero, periva con l'uso, si corrompeva se non si impiegava (Es 16,15-21); non riuscì a soddisfare la fame del popolo (Nm 11,4). L'unico pane che garantisce la vita può darlo solo il Padre (Gv 6,32): viene dal cielo e dà la vita al mondo (Gv 6,33). Come la manna è dono di Dio, come la manna scende dal cielo, ma a differenza, dà la vita al mondo, non solo ad Israele.
L'incomprensione degli uditori si presenta ora come l'interpretazione erronea della natura del pane vero. Pensano che scenda da regioni superiori, che deve essere mangiato una ed un'altra volta, e che conserva semplicemente la vita naturale. Di questo pane hanno fame. L'incomprensione ebrea obbliga ad una maggiore rivelazione da parte di Gesù; si apre così un nuovo sviluppo nel discorso (6,35-51b); per la prima volta, si ricorre alla formula 'io sono' (Gv 6,41.48.51), analoga a quella che Dio nell'AT utilizza per alludere alla sua volontà salvifica (cf. Es 15,26; Sal 35,3). Nella sua persona concreta si soddisfano le necessità più vitali dell'uomo: io sono il pane di vita (6,35.48). Simile identificazione è il vero miracolo realizzato da Gesù; la moltiplicazione dei pani non fu altro che il segno; chi poté saziare la fame della moltitudine, la vita, l'esistenza senza fine

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

La moltitudine cerca Gesù, perché riuscì a calmare la sua fame. La fame conduce di nuovo a lui. Con inusuale durezza Gesù smaschera i veri motivi della ricerca: lo vogliono per quello che dà loro, non per quanto è; lo desiderano, perché desiderano pane; non soddisferanno totalmente la loro fame, mangiando un pane che perisce. La loro fatica meriterebbe un fine migliore e una maggiore ricompensa: la fede in lui otterrebbe loro di averlo a disposizione come alimento imperituro. Ma si perdono il di più, perché camminano dietro al di meno. Cercare Dio per quello che dà è alimentare di più le nostre necessità; il volerlo per chi veramente è, elimina la fatica di dover cercare più sostentamento. Dio non si lascia trovare, se lo si cerca solo per colmare le nostre fami; rispetterebbe poco sé stesso, se permettesse di trasformarsi in soddisfazione dei nostri appetiti, per spirituali o urgenti che siano.
Perché bene, a questa gente che, carica di buona volontà, si era imbarcata ed attraversato il lago dietro l'unico uomo che poteva calmare la loro fame, Gesù la riceve con un rimprovero: mi cercate, "perché avete mangiato pane fino a saziarvi." E benché fosse quello l'unico motivo, - che lo volessero solo perché volevano saziarsi di nuovo -, era stata già una buona ragione affinché Gesù facesse poco prima il miracolo: la gente non cercava in Gesù più di quanto c'era già in lui. E tuttavia, Gesù non la vide così in questa occasione. Che male può esserci nel fare l'impossibile perché non ci manchi il necessario nella vita? Che cosa c'è di sbagliato nell'afferrarci con tutte le forze a quello che può garantirci la vita? Se qualcuno ci assicura il pane, senza molto sforzo, e la soddisfazione delle nostre necessità più vitali, non sarebbe da ignorante perderlo di vista o di non ottenere la sua amicizia con tutti i mezzi a nostra disposizione? Chi di noi non lo farebbe?
Il caso è che qualcosa mancò a quella gente che si affannava per raggiungere di nuovo un alimento che perisce e che, secondo il rimprovero di Gesù, non si preoccupava per l'alimento che perdura. Diceva sant'Agostino, si cerca Gesù per quello che è; e faceva dire a Gesù: Mi cercate "per qualcosa che non è quello che io sono; cercatemi per me stesso", e quel qualcosa può anche mancarci. Perché, come quella moltitudine, possiamo spendere il nostro tempo, e le nostre vite, per ottenere alimenti che non fanno più che soddisfare le nostre fami e facendoli perdurare li alimentiamo sempre di più: Gesù non vuole che lo cerchiamo perché torni a soddisfarci per un momento, con un pane alla misura della nostra fame; Gesù vuole che accorriamo a Dio, quando non riusciamo ad assicurarci l'alimento da noi stessi; ci critica, se andiamo solo a Dio, quando non abbiamo potuto colmare la nostra fame e spegnere le nostre necessità.
A dire il vero, dobbiamo accettare che ci mettiamo in strada verso Dio quando c'è qualcosa di necessario, senza tener conto che, in fondo, Egli ci manca, solo Lui ci è necessario. Normalmente dimentichiamo che Dio non è buono per quello che può darci, ma ci dà quello che vuole perché ci vuole molto bene. Non ci accorgiamo, come la gente che cercava Gesù, che il nostro Dio è più grande delle nostre necessità; che le nostre necessità, per vitali che siano, non sono più che il segno della nostra necessità di Dio. Cercarlo, invece, per quanto può darci, sarebbe abbassarlo ad essere alla misura delle nostre necessità. E non è vero che normalmente accorriamo a lui, solo quando abbiamo bisogno di cose?
Gesù criticò la moltitudine che lo desiderava solo quando desiderava liberarsi delle sue necessità; non si disgustò perché avevano bisogno di qualcosa bensì perché non sentivano necessità di lui: la fame che temevano e la soddisfazione che ricordavano di aver ottenuto da Gesù, li conducevano a lui; in fondo, non volevano essere con Gesù di nuovo, cercavano di non essere un'altra volta affamati. Gesù avrebbe desiderato che i poveri avessero scoperto che la fame l'avevano avuta solo per un giorno e che quel giorno egli si ingegnò per calmare la loro necessità; si sentì contrariato perché l'interesse della gente per lui era meschino, tanto momentaneo e piccolo come la loro fame.
Ed in realtà, a quale motivo ci serve un Dio al quale accorriamo solo affinché calmi la nostra fame e colmi le nostre mancanze? Per necessario che sia, un Dio che utilizziamo solo quando dobbiamo soddisfare le nostre necessità, è un Dio inutile, tanto rachitico ed effimero come momentanea e piccola è la nostra necessità di Lui. Un Dio alla misura della nostra necessità può risultarci molto necessario in un dato momento, ma non sarà mai il Dio vero; un Dio che cerchiamo, quando abbiamo bisogno di qualcosa, è un Dio del quale possiamo prescindere qualche volta; un Dio che colma la nostra necessità, quando la soffriamo, non è più che il risultato della nostra povertà.
E Dio, come Gesù quel giorno, può difendersi da noi, della nostra ansia di vivere al suo margine, dandoci fami insoddisfatte e necessità da colmare. Chissà che stia sperando, come Gesù, che lo cerchiamo non per quanto può darci, bensì per quanto vuole essere per noi. Ridurlo a semplice calmante della nostra fame, può essere vantaggioso momentaneamente, ma significherebbe renderlo tanto volgare ed insignificante come siamo noi stessi. Chissà, stiamo perdendo Dio, solo perché di Lui vogliamo unicamente i suoi doni, il suo aiuto, i suoi beni: quando non lo cerchiamo perché è buono, ma bensì per i beni che ci mancano, quando lo cerchiamo di meno, solo perché ci opprime la nostra mancanza di risorse: non amiamo Dio, ma amiamo noi stessi. E la nostra ricerca di Dio, come quella della moltitudine quel giorno, non è più che un esercizio di amor proprio. Alla fine, se ci troviamo di nuovo con lui, Gesù più che un miracolo ci darà una sgridata. Perché, come quel giorno nel lago, a Gesù non piace essere desiderato per i beni che può darci, bensì perché lui è buono con noi.
È vero che oggi, a differenza della gente che cercò Gesù, la maggioranza di noi non sappiamo ciò che è autentica necessità; è vero che, sentire oggi fame, possiamo soddisfare facilmente le nostre necessità senza ricorrere a Dio, senza doverlo cercare; Dio non ci è necessario, perché o non soffriamo necessità alcuna o sappiamo già calmarla da noi stessi. Se non vogliamo perdere Dio per sempre, bisognerà tornare a scoprire le nostre fami, non già di pane perituro bensì di autentica vita: e per quanto lo nascondiamo, tutti viviamo alimentando necessità, viviamo di cose che desideriamo e di persone che vogliamo, di beni che non abbiamo e che cerchiamo ancora; Dio ci ha reso necessitosi, incapaci di soffocare la nostra sete e di colmare la nostra fame, perché volle che niente e nessuno potesse occupare il nostro cuore al suo posto. Dimenticandoci delle nostre fami o procurandoci il rimedio che le calmi, non troviamo tempo né motivi per metterci alla sua ricerca. Ed un Dio che non lo si è cercato mai, è un Dio il quale lo si è perso per sempre.
E pensare che l'avremmo a portata di mano: in Gesù eucaristia Dio si è trasformato in vero pane per la nostra fame ed alimento della nostra povertà. Perché volle essere per noi soddisfazione e riposo, ci fece insoddisfatti e preoccupati; per essere Egli la nostra ricchezza, noi siamo poveri e necessitosi, affinché abbiamo bisogno sempre di lui. Non deve farci molto felici, è vero, il nostro stato di dipendenza, ma deve consolarci che Dio ha preparato il pane per la nostra fame ed il vino per la nostra sete: Cristo Gesù è, nel progetto di Dio, l'alimento delle nostre vite, il pane del cielo. Ci siamo potuti sbagliare, come la gente che si mise alla sua ricerca, ed avere sperato da Dio solo la soddisfazione delle nostre necessità; ma possiamo arrivare a Lui e dirgli come quella moltitudine: Dacci, Signore, questo pane per sempre. Non permettere che riusciamo a saziarci da noi stessi, non lasciare che bastiamo del tutto a noi stessi, affinché comprendiamo che solo tu sei il nostro bene, il pane per la nostra fame ed il sostegno delle nostre vite.

                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

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