JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO DIVINA"Raccogliete i pezzi avanzati; che niente vada perduto"

26luglio 2015 | 17a Domenica - Tempo Ordinario B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Gv 6,1-15
E' più che logico che ci sentiamo un po' a disagio quando sentiamo, come oggi nel vangelo, che Gesù compì miracoli stupendi. E non perché, come molti dei nostri contemporanei, noi osiamo negare per principio la possibilità stessa del
prodigio nel nostro mondo: per molti, infatti, credere nei miracoli sarebbe cosa del passato, o privilegio di persone poco istruite. Il nostro disagio dinanzi ai miracoli non deriva tanto dalla nostra mancanza di fede, ma dalla nostra evidente cattiva coscienza: è che noi che continuiamo a credere in Gesù e accettiamo la Sua grande potenza, non abbiamo ottenuto di essere testimoni, ancora, di un vero miracolo. E ' curioso che coloro che danno per scontato che Gesù ha compiuto miracoli eccezionali, come quello appena ricordato nel Vangelo, non riescono a ricordare nulla di straordinario, qualcosa di meraviglioso che Dio ha compiuto. Dovremmo chiederci quale potrebbe essere il motivo: perché Gesù non continua ad essere per noi oggi l'operatore di prodigi che fu per i suoi discepoli in Galilea. Forse, se torniamo a rivedere insieme il racconto, potremo intuire alcune delle cause. Sicuramente se rifacciamo oggi ciò che allora hanno fatto i discepoli, saremo testimoni, come loro, dei miracoli di Gesù.
In quel tempo, 1Gesù passò all'altra parte del lago di Galilea (o di Tiberiade). 2Lo seguiva molta gente, perché avevano visto i segni che aveva compiuto con gli infermi.
3Gesù salì sulla montagna e là si sedette con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa dei giudei. Gesù alzati gli occhi, 5e al veder quella moltitudine, dice a Filippo:
"Dove compreremo il pane per questa gente?"
6Lo diceva per metterlo alla prova, poiché sapeva bene quello che stava per fare.
7Filippo gli rispose:
"Duecento denari di pane non bastano perché ciascuno ne mangi un pezzo."
8Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, gli dice:
9" C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e un po' di pesci; però, cos'è questo per tanta gente?"
10Gesù disse:
"Dite alla gente di sedersi".
C'era molta erba in quel posto. Si sedettero; solo gli uomini erano circa cinque mila. 11Gesù prese i pani, pronunciò la benedizione e lo diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12Quando si saziarono, disse ai suoi discepoli:
"Raccogliete i pezzi avanzati; che niente vada perduto".
13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, che avanzarono a quelli che avevano mangiato. 14La gente allora, al vedere il segno che aveva fatto, disse:
"Questo sì che è il Profeta che deve venire nel mondo."
15Gesù allora, sapendo che venivano a prenderlo per proclamarlo re, si ritirò di nuovo in montagna lui solo.

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Il racconto appartiene a un insieme più ampio (Gv 6,1-58), di grande importanza nel quarto vangelo; presenta la moltiplicazione dei pani (Gv 6,1-15) in chiave di segno, la cui vera portata Gesù spiegherà nel discorso che segue (Gv 6,26-58). Giovanni sottolinea l'iniziativa sovrana di Gesù, senza alludere alla sua compassione; non è il bisogno di pane della gente, bensì la mancanza di fede dei suoi discepoli, il vero motivo del miracolo; di fatto, prova loro, mentre la folla prova il miracolo. La gratuità del cibo non deve facilitare il suo spreco: i discepoli sono gli incaricati di distribuirlo e di conservare ciò che avanza; sono i testimoni immediati del miracolo e i suoi ministri; essere gratuito non sminuisce il dono di Dio. Rifiutando una dignità appoggiata solo sulla fame soddisfatta, Gesù corregge le aspettative del suo popolo: varrebbe poco un messia la cui missione finisse con la fine della fame di pane del suo popolo. Anche se il progetto reale di Gesù va oltre, egli inizia con il calmare le urgenze dei suoi. Bisogna imparare da Gesù ad essere sensibili ai bisogni degli altri, senza limitarsi alla loro soddisfazione.
Il racconto, posto al centro della cronaca del ministero pubblico di Gesù, va introdotto da una serie di osservazioni che gli danno verosomiglianza: spazio, tempo e protagonisti sono ben definiti (Gv 6,1-4). Quanto narra avvenne in prossimità della Pasqua, la festa dei giudei. La gente, assetata di segni, si affolla attorno a Gesù, che gode già di una fama di guaritore. Pasquale è il contesto dell'azione e della spiegazione di Gesù.
La narrazione del miracolo (6,5-15) segue da vicino la tradizione sinottica (Mc 6,34-44; Mt 14,14-21; Lc 9,11-17). Però in Gv l'iniziativa parte direttamente da Gesù che tenta Filippo (6,5), dopo aver alzato gli occhi e aver visto la folla che gli si avvicinava. Senza ulteriori motivi di questa contemplazione, e sapendo ciò che fa (6,6), pensa a dar loro da mangiare: una decisione insperata per i suoi discepoli.
Come nei sinottici, l'urgenza supera le possibilità: non dispongono di denaro sufficiente (Gv 6,7) ed hanno poche provviste (6, 9). Il ricordo di un bambino con pochi pani, e questi di orzo - pane di poveri (2 Re 7,1.16) - sottolinea la povertà di risorse disponibili. Il segno dovrà sorprendere prima i discepoli; sono essi i suoi migliori testimoni: conoscono la loro incapacità (Gv 6,7-9); e saranno i suoi ministri: dovranno sfamare la gente (Gv 6,10) e raccogliere il di più (Gv 6,13), anche se non lo hanno distribuito (Gv 6,11).
I gesti di Gesù sono quelli di chi presiede un pranzo ebraico: prende il pane, lo benedice, lo distribuiisce e si preoccupa di raccogliere quanto avanza, dopo aver servito quanto ne vollero (Gv 6,11-12). Il miracolo, di per sé, non è descritto, ma i risultati sono evidenti. I pani moltiplicati sono di orzo (Gv 6,9), come quando Eliseo aveva ordinato di ripartire venti pani tra cento persone (2 Re 4,42-44). La superiorità qui è evidente: maggiore è il numero dei commensali sazi, minore è il numero dei pani moltiplicati e grande la quantità raccolta.
Sottolineare la reazione del pubblico è un elemento costante nei racconti dei miracoli. Questa è l'unica volta in cui in Gv, Gesù è riconosciuto pubblicamente come taumaturgo. La gente, rendendosi conto che soltanto un profeta può dare un simile segno, lo acclama come colui che deve venire (Gv 6,14). Risulta verosimile, quindi, che la moltitudine avrebbe desiderato proclamare re Gesù. Gesù scopre l'intenzione politica e contrappone la concezione messianica che lo motiva: soddisfare la fame non è un lavoro di Gesù; avere visto segni non è avere fede (Gv 6,26). E si allontana dalla gente che pretende di allontanarlo dalla sua missione..., e dai suoi discepoli (6,15). Sale solo sul monte da dove era sceso per dar da mangiare alla gente.

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

I discepoli che avevano assistito alla moltiplicazione dei pani sul monte, avevano trascorso la vita vicino a Gesù, accompagnandolo mentre attraversava la Galilea, guarendo i malati e predicando il Regno. A loro, pertanto, non era sfuggito il miracolo poiché essi non avevano mai perso di vista Gesù; erano stati testimoni dell'evento prodigioso, perché sempre erano stati con colui che poteva farlo. Seguire ovunque Gesù, assisterlo mentre predica o guarisce, accompagnarlo quando cammina o riposa, è il modo di continuare ad assistere a miracoli stupendi, ieri come oggi.
Se, diversamente, lasciamo Gesù con una scusa qualsiasi, per una persona qualsiasi o per qualche preoccupazione, sarà impossibile che ci si riveli così stupendo e meraviglioso com'è nella realtà e come vuole essere davanti a noi e per gli altri. Senza mantenere un rapporto profondo e continuo con colui che può fare miracoli, non possiamo neppure sognare di assistervi: dobbiamo a Cristo la nostra vita perché egli ce la converta in una continua sorpresa, in una meravigliosa avventura. Non ci rendiamo conto di quanto ci priviamo quando ci allontaniamo da Gesù, anche se per poco tempo e quasi senza avvertirlo.
La verità e che non è facile convivere con Gesù. Potrebbe essere la nostra scusa, e la prima cosa che fa Gesù con coloro che sono accanto a lui è convincerli di quanto possono poco e del molto che loro manca. Quando, dal monte in cui si trovava seduto insieme ai suoi vide la moltitudine che accorreva, subito si rese conto che sarebbe stato necessario dar loro da mangiare. Chiedendo a Filippo come avrebbero potuto avere il pane necessario, li fece imbattere nella scarsità delle loro provvigioni e nella povertà delle loro risorse. I discepoli di Gesù sanno per esperienza, e ciò costituisce una tentazione per la loro fede e una causa permanente della loro delusione, che le urgenze della gente sono sempre maggiori delle loro possibilità personali. Né i duecento denari di Filippo, né i cinque pani e il po' di pesci di Andrea si sarebbero potuti considerare mezzi sufficienti per placare la fame della folla.
Ma la cosa più straordinaria, e così cominciano i miracoli di Gesù, è che egli non si lascia impressionare dalla scarsità di risorse dei suoi discepoli. Ancor più, si serve prima di essa, e dopo di loro per realizzare il prodigio. Poco, quindi, Gesù richiede dai suoi discepoli per convertirli in testimoni del suo prodigio! Li rende coscienti del poco che possono da soli. Però chiederà loro di mettersi totalmente con il poco che sono e possono, a loro disposizione: la gente si sazierà di pane, un pane scarso nelle mani dei discepoli poiché questi ebbero sufficiente fiducia e misero nelle loro mani non solo il pane che avevano, ma inoltre misero se stessi a loro completa disposizione. E mentre Gesù realizzava il miracolo, benedicendo Dio e il pane, i discepoli si preoccupavano di far sedere la gente: prima che il pane giungesse nelle loro mani, la folla ebbe un posto sul prato grazie ai discepoli; e grazie a loro, nulla fu perduto di quanto avanzò dalla moltiplicazione miracolosa. Non avere il sufficiente non costituì un ostacolo per convertirsi in "servi" del prodigio.
E' consolante costatare che senza l'aiuto dei discepoli, uomini senza risorse, Gesù a stento avrebbe potuto soddisfare la fame della folla. Ha avuto bisogno della loro povertà come della loro obbedienza: fece sì che si rendessero conto che con i loro pochi pani avrebbero potuto alimentare male la gente; ma volle che fossero essi che facessero giungere il pane moltiplicato alla folla e che raccogliessero quanto avanzato. Più che sulla loro pochezza a Gesù importò far leva sulla loro obbedienza: furono testimoni del miracolo e i suoi unici amministratori. Così poco Gesù ha chiesto ai suoi discepoli per fare i miracoli: gli è bastata la loro "povertà", per grande che sia, ma più grande è stata la loro obbedienza e disponibilità! Ebbene, se così poco esigente è il profeta di Dio che calma la fame delle moltitudini, dovremmo chiederci perché non conta di più su di noi, perché abbiamo smesso di credere nei suoi prodigi se continuiamo ad essere suoi discepoli. Dal momento che non gli importa della povertà dei nostri mezzi, niente ci scuserà della nostra incapacità per assistere ai miracoli, sempre che siamo disposti a metterci a sua disposizione.
Non dimentichiamo, però, che se Gesù si servì del poco che avevano i discepoli, non li fece beneficiari del miracolo; li mise a lavorare perché la gente avesse prima un posto sull'erba e dopo un pane e un pesce tra le mani: non moltiplicò il cibo soltanto per loro. I discepoli furono i servi di Gesù, prima quando gli misero tra le mani quanto possedevano, e servi della gente affamata, quando distribuirono il cibo appena moltiplicato. I discepoli di Gesù non si servirono del miracolo, si misero al servizio di Gesù perché la meravigliosa moltiplicazione dei pani e dei pesci giungesse a tutti coloro che soffrivano la fame. Gesù continua oggi ad aver bisogno e ciò può risultare penoso per i suoi discepoli di oggi, persone che presenziano ai miracoli che non sono per loro, che si dedicano a distribuire il pane che occorre e servono le persone che, sebbene soffrano di una necessità estrema, continuano a cercare Gesù e trovano in lui la risposta alla loro povertà. Per tornare a fare i miracoli oggi, Gesù ha bisogno di discepoli che mettano tutto quello che hanno, anche se poco, a sua disposizione e si mettano al suo servizio,
In ultimo, e ciò non è insignificante, bisogna sottolineare che uno dei grandi miracoli di Gesù, quello che oggi contempliamo, fu qualcosa di inutile per grande che potesse essere. Gesù si ridusse un giorno a dare da mangiare ad una moltitudine. Se non smetteremo di meravigliarci per il portento, tanto meno dovremmo dimenticare che la fame ritornò il giorno successivo ad impadronirsi della gente e allora non ebbero Gesù accanto. Con il suo miracolo Gesù volle qualcosa di più che semplicemente ci sorprende davanti a un grande potere; ha voluto farci sapere che sempre c'è qualcuno con la fame attorno a noi, e dobbiamo fare qualcosa per poco che possiamo o che abbiamo. Commossi dalla sua compassione non ci si richiede altro che mettere la nostra povertà di risorse nelle sue mani e preoccuparci dell'affamato mentre egli opera il miracolo.
Fin quando ci sarà fame, ci sarà necessità di mettere tutti i nostri sforzi e ricorrere alla nostra obbedienza perché Dio continui a fare il miracolo. Che oggi ci sia fame nel nostro mondo è un'ingiustizia e uno scandalo: qualcosa va storto in un mondo in cui si sciupa ciò che si ha e non si ha per accudire alle necessità vitali della gente; ma soprattutto qualcosa va male nel cuore dei cristiani, poiché in realtà, dove c'è più fame oggi ci sono meno discepoli di Gesù; oggi i Paesi cristiani godono di molto benessere e poca misericordia. Per questo motivo, e non perché non possano accadere, non sappiamo che cosa sono i miracoli.

                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

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