MONASTERO JANUA COELI "“Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò”

“Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò”. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare… (Mc 6,31)

“Che stanchezza!” è una parola che circola ormai abitualmente nei nostri contesti di vita. Stanchi sì, ma di cosa? Chi ci obbliga a correre? gli impegni… gli appuntamenti… tutti ci aspettano… è vero, ma poi? invece di tornare
paghi di aver vissuto dei momenti belli, degli incontri piacevoli, si torna stremati. Stremati sì, ma di cosa? Sarà impossibile fermarsi in disparte e riposare un po’?! Non sarà forse stanchezza di significato? Gesù propose ai suoi di andare in un luogo solitario a riposare un po’, ma non vi riuscì, perché all’altra sponda trovò pecore senza pastore e riposò con loro. E noi? Anche per noi potrebbe avvenire la stessa cosa. Ci proponiamo di fermarci, cerchiamo una mezz’ora tutta nostra, e poi qualcuno ce la porta via. Pecore senza pastore? Può darsi… ma noi invece di riposare in quel bisogno non previsto, strepitiamo in cerca del nostro riposo tolto!…

Il riposo di Dio mette le ali… fa muovere, scotta: s. Maria Maddalena correva per i corridoi del suo monastero a Firenze gridando: L’Amore non è amato, venite ad amare l’Amore!.. Quando si ha sete di Dio, come cervi si corre per deserti e per valli fino alla fonte. Non si pensa alla stanchezza, alla distanza, a nulla si pensa perché c’è una voce che chiama, il mormorio dell’Acqua: Venite in disparte e riposatevi un po’… Noi esseri umani figli della “sensibilità moderna”, individualisti, preoccupati, ansiosi, affamati di successo, agitati e apprensivi, chiusi nei bozzoli di piccole certezze duramente conquistate, siamo chiamati ad allenarci per salire più in alto, a sollevare lo sguardo: ci è chiesto di non sostare nell’andare, di accogliere, di non opporre resistenza, di ascoltare la voce del Signore e di non indurire il cuore… (cfr sal 94).

Vigili, vivaci, riflessivi, capaci di meraviglia e incanto, agili nel gioco del doppio movimento di attenzione: verso i propri bisogni e verso i bisogni degli altri entreremo nella quiete, nel riposo di Dio, nella menuchà, in quella terra dove il dono fluisce silenzioso e nascosto e non chiede ricompensa, dove la fatica ha il sapore di cesello alla propria umanità, dove non si teme di accostarsi alla carne del proprio cuore lì dove la carne ha iniziato a diventare pietra (cfr Ez 36,26). Nel mettere a tacere le voci assordanti che urlano tra le pareti interiori il cuore potrà tornare a narrare i tesori della castità come apertura alla vita, la rahamim di Dio ci toccherà e diventeremo anche noi viscere di misericordia capaci di generare

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