P. Ermanno Rossi O.P."Gesù non crea il pane e i pesci dal nulla; ma dalla modesta condivisione"

XVII Domenica Ordinaria – Anno B
(Gv 6,1-15)
Con questa domenica, la liturgia interrompe la lettura del Vangelo di Marco e inserisce un lungo tratto del Vangelo di Giovanni, precisamente il famoso capitolo 6 che contiene il racconto della moltiplicazione dei pani e il discorso eucaristico di Gesù nella sinagoga di
Cafarnao. Tutto ciò ha un motivo pratico: il Vangelo di Marco - essendo più breve degli altri - non basta a coprire tutto l'anno liturgico e viene, perciò, integrato col IV Vangelo, che non si legge in un anno particolare.
Il miracolo è un aiuto che Gesù offre a coloro che lo ascoltano, affinché possano credere in Lui; ma egli si preoccupa anche della loro fame. Gesù ama, infatti, sempre in maniera molto concreta.
Quest’episodio getta, contemporaneamente, un fascio di luce sulla sua figura.
Sotto le sue mani, pani e pesci si moltiplicano, i ciechi vedono, i morti risuscitano. Eppure, egli adopera questo potere solo per gli altri; per sé - quando ha fame -, si accontenta di poche spighe, che sgrana nel palmo delle mani.
Dopo il miracolo, la folla - presa dall’entusiasmo - decide di prenderlo per farlo re; ma egli si nasconde.
La sua via è un'altra: non il meraviglioso, non il regno - eppure sarebbe stato un re formidabile! -: la sua strada è la croce.
Gesù è salito alla gloria attraverso la croce. Solo così c’è stato veramente utile. A sua volta, Egli ha radicato anche noi in ciò che l’esistenza ci presenta ogni giorno. Dobbiamo convincerci: sulla terra il dolore e la morte sono una realtà che dobbiamo guardare in faccia.
Nell’episodio della moltiplicazione dei pani c’è un altro elemento di rilievo. Gesù non crea il pane e i pesci dal nulla; ma dalla modesta condivisione di ciò che un bambino gli offre, la sua merenda: cinque pani e due pesci. Alla base c’è la generosità del bambino.
Questo è un simbolo per noi. I problemi non si risolvono chiudendosi nel proprio egoismo, rintanandosi nel privato.
Nelle necessità occorre la comunione dei beni: “Date e vi sarà dato: una misura abbondante, ben scossa vi sarà versata in grembo”.
I grossi problemi sociali potranno essere risolti solo con la messa in comune di ciò che a noi è superfluo.
Tutti i problemi - se affrontati nella fraternità e nella comunione -, potranno essere risolti o, almeno, notevolmente alleviati.
Una stretta misura di giustizia lascia il ricco nella sua ricchezza e il povero nella sua povertà! Occorre, invece, una misura più ampia, quell’evangelica: tratta il tuo prossimo come vorresti essere trattato tu. È questo l'inizio della vera rivoluzione sociale cristiana.
«Se oggi non viene moltiplicato il pane per tanti uomini che muoiono di fame, non è perché Dio è venuto meno all'umanità, ma perché l'uomo non è fedele all'uomo, perché l'uomo non è fedele a se stesso” (P. Talec).
Fortunatamente, oggi siamo più aperti al dovere di solidarietà; ma le fasce dei bisogni sono ancora troppo vaste e la misura della nostra solidarietà non basta. Se non seguiremo questi insegnamenti evangelici, non cresceremo nemmeno noi, e la miseria degli altri ci coinvolgerà; si abbatterà su di noi come un funesto boomerang.
Ma non è solo la paura di questi mali - che, pure, sono reali e conosciuti - che deve farci decidere. Il motivo è che coloro che soffrono sono nostri fratelli, e noi non possiamo rimanere inerti. Se fossimo al loro posto che cosa desidereremmo da chi sta meglio di noi?
Ricordiamoci che la chiesa è una famiglia, un popolo, un corpo. Solo vivendo all’unisono con gli altri – cioè condividendo dolori e gioie - la vita si svilupperà in noi e attorno a noi.

 Sono un Padre Domenicano della Provincia Romana e, attualmente, risiedo presso il Convento di San Domenico a Perugia.


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