CIPRIANI SETTIMO SDB"Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato"

2 agosto 2015 | 18a Domenica - Tempo Ordinario B | Appunti per Lectio
"Questa è l'opera di Dio:
credere in colui che egli ha mandato"
Come già nella Domenica precedente, anche qui abbiamo un episodio dell'Antico Testamento che viene ripreso e commentato nel brano evangelico: il miracolo della manna, a cui una tradizione collaterale ha aggiunto anche l'episodio delle quaglie (Es 16,2-4.20-24), che però non ha avuto il successo di risonanza del primo. Le Apocalissi giudaiche infatti, che esprimono la speranza
messianica all'epoca del Nuovo Testamento, contengono frequenti allusioni a questa attesa del "rinnovato" dono della manna. Anche l'Apocalisse di san Giovanni si rifà a questa attesa: "Al vincitore darò la manna nascosta" (2,17).

"Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi"
Nel racconto dell'Esodo è interessante notare che la manna è bensì un "dono" di Dio, concesso però non tanto alla fede degli Israeliti quanto alla loro diffidenza e al loro spirito di ribellione: "In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: "Fossimo morti per mano del Signore nel paese d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà!..."" (Es 16,2-3).
Più che un gesto di benevolenza da parte di Dio, perciò, è un gesto di rimprovero, che doveva star sempre lì a ricordare agli Ebrei la loro infedeltà all'amore del Signore: anche se è vero che gli stessi rimproveri, specialmente quelli che vengono dal Signore, sono (o almeno possono essere!) espressione di amore.
C'è, inoltre, da osservare che l'iniziativa del miracolo non parte da Mosè, ma da Dio direttamente: "Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no... (così) saprete che io sono il Signore vostro Dio" (vv. 4.12).
È quanto Mosè stesso farà notare agli Israeliti allorché, sorpresi di questo strano cibo, "si dissero l'un l'altro: "Man hu: che cos'è?", perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: "È il pane che il Signore vi ha dato in cibo"" (v. 15).
Mosè dunque non è che l'intermediario del miracolo; anzi, lui stesso è fra i destinatari del dono del Signore.
Tutto questo è da tenere presente per comprendere non solo la superiorità del miracolo compiuto da Cristo, ma anche la sua contrapposizione a Mosè stesso quando dirà: "...non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo... Io sono il pane della vita" (Gv 6,32.35). Gesù, pertanto, si identifica con il "pane" che egli promette di dare ancora alla folla e di cui erano stati "segno" quei cinque pani e quei due pesci, che egli aveva moltiplicato per tutte quelle persone.

Il discorso "eucaristico" di Gesù
Ma veniamo al testo evangelico, che contiene le prime battute dialogate del grande discorso "eucaristico", che Gesù tenne nella sinagoga di Cafarnao (Gv 6,59).
Secondo lo stile o, meglio, secondo la trama del Vangelo di Giovanni, ci imbattiamo subito in quello strano e quasi fatale fatto di "incomprensione" fra Gesù e la folla, a cui abbiamo fatto riferimento in un precedente commento: ci sono come due piani che si sovrappongono sempre e non si raggiungono mai, pur attraverso un dialogo intenso che si muove continuamente. La gente non riesce a sollevarsi all'altezza di Gesù; prende sempre in senso riduttivo e materiale quello che egli fa e quello che egli dice. C'è come un muro di separazione fra i due!
Il problema è che Gesù sta sempre al di là dei suoi stessi "segni": se non scatta la molla della fede, egli rimarrà sempre inafferrabile per i suoi interlocutori, quelli di ieri come quelli di oggi. È per questo che il tema della "fede" è fondamentale in tutto il discorso eucaristico, come vedremo subito: anzi, secondo alcuni studiosi, solo i versetti 51-58 sarebbero propriamente eucaristici e sarebbero stati inseriti qui posteriormente.
A noi, in questo momento, non interessano né tale questione, né altre questioni di carattere strutturale e di composizione letteraria: prendiamo il discorso così come è nella sua redazione finale, cercando di cogliere il significato di fondo del brano nella sua stesura definitiva, che possiede una sua meravigliosa dinamica interna di pensiero: solo la "fede" ci fa accedere al mistero di Cristo, di cui espressione più sfidante e significativa è l'Eucaristia, in quanto "segno" della sua "presenza" continua in mezzo a noi, soprattutto come "cibo" della nostra vita cristiana.

"Voi mi cercate non perché avete visto dei segni"
I versi iniziali ricollegano direttamente il brano con il precedente racconto della moltiplicazione dei pani. Non avendo più trovato Gesù, che si era ritirato "tutto solo" sulla montagna, per sfuggire all'entusiasmo fanatizzante della folla che voleva proclamarlo "re" (Gv 6,15), e quindi aveva raggiunto i suoi apostoli camminando sulle acque (6,16-21), la gente "salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: "Rabbì, quando sei venuto qua?"" (vv. 24-26).
C'era da rimanere commossi per questa volontà di "ricerca" di Gesù da parte della folla: ci si poteva intravedere un sentimento di gratitudine e di ammirazione nello stesso tempo. In realtà, era solo curiosità e ricerca dell'utile e del sensazionale! È quanto Gesù rinfaccia loro senza mezzi termini: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà..." (vv. 26-27).
Gesù li rimprovera dunque di non aver saputo "vedere" nella moltiplicazione dei pani il "segno" di una realtà più grande che, ovviamente, almeno allo stato attuale dei fatti, non è l'Eucaristia: come potevano allora pensare a una cosa del genere? La realtà "più grande" del pane che avevano mangiato era Cristo medesimo: come non percepire che lui valeva più del pane, che egli aveva moltiplicato in loro favore?
La loro colpa era precisamente questa: essersi fermati al "dono", invece che al "donatore", sul quale "il Padre Dio, ha messo il suo sigillo" (v. 27), cioè la potenza di compiere i "segni" della sua benevolenza e del suo amore. Per questo egli li invita a "procurarsi" (letteralmente: "impegnarsi per fare") "non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà" (v. 27). Pur essendovi un riferimento all'Eucaristia, espresso da quel futuro ("vi darà": alcuni codici hanno però il presente), il rimando immediato è ancora e solo a Gesù come oggetto primordiale della fede: è lui, nella sua persona concreta, il "cibo" vero che sazia tutti i desideri dell'uomo, anche quelli che vanno al di là della nostra stessa vita che si consuma giorno per giorno.

"Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?"
Gli interlocutori di Gesù hanno compreso che egli chiedeva loro qualcosa "di più" per avere altro pane, forse anche migliore. Perciò si dichiarano disponibili a "fare" quello che dipende da loro: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (v. 28).
In realtà Gesù chiedeva a loro qualcosa di più, non però nell'ordine delle "opere" che provengono dall'uomo, quasi che questi possa accreditarsi davanti a Dio, come dimostrano di credere i Giudei in linea con la loro tradizione religiosa. Il "di più" che egli chiedeva loro era di affidarsi esclusivamente a Dio, che indicava Gesù come colui nel quale egli aveva "messo il suo sigillo" (v. 27). È quanto Gesù specifica nella sua risposta: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato" (v. 29).
Non fare dunque le "opere", ma accettare soltanto "l'opera di Dio" in noi che ci indica Cristo come il suo "inviato", colui nel quale egli offre la salvezza agli uomini: come davanti al "cibo" non occorre altro che mangiarlo, così davanti a Cristo non c'è da fare altro che "accettarlo" come "l'inviato" del Padre. Però questa è "opera" talmente alta, che solo Dio può compierla in noi: ed egli la compie in chiunque è disponibile alle sue iniziative e docile alle sue indicazioni. Con le parole sopra citate perciò Gesù invita i Giudei a "credere" in lui: questo è l'unico modo di procurarsi "non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna" (v. 27).
A questo punto sembra che i suoi interlocutori abbiano afferrato il rimprovero e anche l'invito di Gesù a "credere"; però chiedono un "segno" ulteriore per potersi affidare a lui: "Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi?..." (vv. 30-31).
Queste parole dànno l'impressione che la gente ignori il miracolo già avvenuto della moltiplicazione dei pani, e perciò alcuni studiosi ritengono che non siano al loro posto. A nostro giudizio, però, esse esprimono un'ulteriore "riserva" mentale di quella gente, che non è disposta a seguire Cristo oltre quello che essa può vedere e costatare: pane per pane, il miracolo della manna sembra più grande di quello operato da Cristo! Basti pensare alla durata di quel prodigio e al numero immenso di persone sfamate nel deserto, al tempo di Mosè.

"Il pane di Dio è colui che discende dal cielo"
È a questo punto che Gesù si pone al di sopra di Mosè, dichiarando che non è stato lui a compiere il miracolo della manna, come abbiamo già ricordato: "In verità, in verità: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo" (vv. 32-33).
La superiorità di Gesù su Mosè, però, non sta soltanto nel fatto che quest'ultimo non è il vero autore del miracolo, ma anche e soprattutto perché la manna non era il pane "vero": essa era soltanto un "simbolo", una "figura" di quello che Dio avrebbe fatto, concedendoci Cristo quale "cibo" vero. In questo senso anche il miracolo della moltiplicazione dei pani era soltanto un "segno", un "simbolo" esso pure: rimandava a Gesù quale unico e vero "pane di Dio... che discende dal cielo e dà la vita al mondo" (v. 33). Il "pane" perciò è una persona concreta, è Cristo che si dona agli uomini.
L'ultima richiesta della folla: "Signore, dacci sempre questo pane" (v. 34), dimostra ancora la incapacità dei Giudei a muoversi sul piano della fede: preferiscono il pane materiale, che Cristo è pur capace di dare, a quello "spirituale", che non è altri che lui stesso nella totalità del suo essere e del suo agire, ivi inclusa la potenza di fare i miracoli.
Questa "identificazione" di Gesù con il "pane vero", che già fin dal presente il Padre offre agli uomini senza attendere l'istituzione dell'Eucaristia e che era già nell'aria durante tutto il dibattito con i suoi ascoltatori, viene proclamata solennemente nella dichiarazione finale con cui si chiude l'odierno brano evangelico: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (v. 35).
È chiaro perciò che solo la fede può dare accesso al mistero di Cristo che, proprio in quanto Figlio di Dio fatto uomo, è "pane di vita" per gli uomini: l'Eucaristia darà evidenza plastica a questo concetto. Prioritaria su tutto, però, è la capacità di accettarlo già come "dono di vita" in se stesso.

"Rivestire l'uomo nuovo"
Chi è capace di questo è già "l'uomo nuovo", di cui ci parla san Paolo nella seconda lettura: "Voi non così avete imparato a conoscere Cristo, se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, per la quale dovete deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ef 4,20-24).
Scegliere Cristo significa rompere la propria solidarietà con il "vecchio uomo" di peccato, con il peccato del mondo per essere disponibili ad un continuo "rinnovamento" nello Spirito. Altrove san Paolo parla del cristiano come "nuova creatura" (2 Cor 5,17). È lo stesso concetto che viene espresso con formula leggermente diversa: non si può aderire a Cristo per la fede e non cambiare la struttura stessa del nostro essere e del nostro vivere!
Proprio perché lui è "pane che dà la vita" a chiunque gli si affida (v. 33), il cristiano si rinnova continuamente.

                       CIPRIANI SETTIMO

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