don Alberto Brignoli " Gesù, segno salvifico di contraddizione"

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (23/08/2015)
Vangelo: Gv 6,60-69
C'era da aspettarselo: il discorso sul Pane di Vita fatto da Gesù segna un momento di crisi, un momento decisivo all'interno della sua vicenda storica. Del resto, seguirlo e accettare che lui sia veramente il Figlio di Dio, il Messia atteso, non è facile. Non è facile per noi dopo duemila anni di cristianesimo, figuriamoci quanto non lo fu per i suoi interlocutori che ascoltavano certi suoi discorsi dal vivo. È come se all'interno della Chiesa sorgesse qualche uomo
carismatico (come ce ne sono stati, di fatto) che iniziasse a proporre cammini sempre più esigenti e che vanno controcorrente rispetto alla fede nella quale siamo stati educati: diverrebbe quantomeno un segno di contraddizione. E a questo epiteto, Gesù ci era abituato sin dai suoi primi mesi di vita, dal momento che Simeone al tempio lo presenta a sua madre proprio in questi termini: "Segno di contraddizione".
Qual è la contraddizione che Gesù crea nel Vangelo che abbiamo ascoltato durante questo mese, e che provoca l'abbandono da parte di molti dei suoi discepoli? Ricreiamo per un istante l'ambiente formatosi intorno a Gesù a Cafarnao. Tutto nasce dal miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, a conseguenza del quale le folle che cercavano in lui un guaritore trovano pure uno che risolve i problemi legati alla mancanza di cibo: la persona ideale per divenire il Messia leader politico da tutti atteso. Gesù rifiuta ovviamente questo tentativo di strumentalizzazione e fugge in solitudine: recuperato dai discepoli, si sposta nella sinagoga, dove può finalmente svolgere la sua funzione di maestro. Già qui, le folle sembrano essere scomparse: ovviamente, a loro interessava un leader che risolvesse i loro bisogni primari, una volta ottenuti i quali possono benissimo abbandonare il Maestro, che peraltro non ha molta voglia di diventare re...
Rimangono quindi i Giudei e i discepoli, con i quali inizia il dibattito che abbiamo ascoltato le scorse domeniche riguardo al Pane di Vita; e qui, si concretizza la rottura con i Giudei (le autorità religiose), ai quali non va proprio giù che questo sedicente rabbino di Galilea si autoproclami come il Dio dell'Esodo ("Io sono"), o quantomeno si senta più grande di Mosè e del suo Dio nel quale la tradizione dei loro padri aveva posto ogni speranza e ogni fiducia. Anche i Giudei scompaiono: e dai cinquemila dell'inizio del capitolo si passa al gruppetto più ristretto dei discepoli, con i quali le cose funzionano fino a un certo punto, fino a quando, cioè, egli afferma che seguirlo significa "mangiare la sua carne e bere il suo sangue" per avere la vita eterna. Siamo nella situazione descritta dal brano di vangelo di oggi: i suoi discepoli non possono accettare una parola così dura e talmente provocatoria da scandalizzare chiunque la ascolti. Ma Gesù non scende a compromessi: la linea è quella, o si sta con lui o contro di lui, o si accetta fino alle estreme conseguenze che lui è inviato dal Padre oppure si fa a meno di seguirlo, o si crede o non si crede. Punto. Anzi, rincara la dose dicendo di sapere già che tra i suoi uditori c'è chi non crede, e quindi è meglio che sia coerente e che se ne vada per la sua strada. Ed è ciò che avviene. Da cinquemila sono rimasti in tredici: lui e i suoi Dodici, i più fedeli, ai quali si rivolge senza fare sconti. Neppure con loro cerca di salvare il salvabile, anzi, sapendo bene che tra di loro ce n'è uno che lo avrebbe tradito, tanto vale anticipare i tempi e gettare la discriminante: "Volete andarvene anche voi?".
Credo che questo sia il punto più basso del rapporto tra Gesù e i suoi, che con ogni probabilità riflette la situazione storica della comunità del Vangelo di Giovanni, una comunità di fine secolo (che quindi difficilmente ha conosciuto di persona il Maestro) sulla quale si stanno riversando le prime, violente persecuzioni: e in situazioni come queste, si vede chiaramente chi crede e chi non crede. Occorre esporsi di persona, occorre una scelta di libertà: occorre, in definitiva, una risposta personale di fronte a Gesù. Che arriva con Simon Pietro, il quale rimane il solo interlocutore a prendere la parola e a dire la sua di fronte al Maestro: cinquemila sono stati quelli saziati da Gesù, uno solo quello che fa la propria professione di fede... (e poi noi ci lamentiamo che nelle nostre parrocchie la vita di fede numericamente viene meno...come vedete, niente di nuovo sotto il sole!).
Questa professione di fede di Pietro, tra l'altro, è molto particolare. Certamente, è una delle più belle e delle più famose affermazioni attribuite al Principe degli Apostoli, perché esprime affidamento al Maestro non solo nei momenti felici ma anche e soprattutto nei momenti di crisi, come quello che i Dodici stanno vivendo con Gesù, e come quelli che anche noi viviamo nel corso della nostra vita di fede. Eppure, c'è un'interpretazione di alcuni studiosi che mi pare suggestiva. Il capo degli Apostoli, lo sappiamo bene, veniva chiamato con il nome di Simone e con il soprannome di Pietro. E nei Vangeli, i due nomi non sono usati in maniera equipollente: il Signore si rivolge sempre a lui chiamandolo per nome, Simone, mentre sono gli evangelisti a chiamarlo Pietro, e ciò avviene quando egli fa "la pietra", ovvero quando assume atteggiamenti di durezza di cuore che lo portano ad essere in dissenso, in contraddizione con il Maestro, fino a giungere al rinnegamento.
Ma la professione di fede di oggi viene fatta da...Simon Pietro, ovvero, ironicamente, da entrambi: dal Simone fedele capo del gruppo dei Dodici, e dal Pietro contradditorio e incostante discepolo spesso avversario del Cristo. Così come - sempre a detta degli studiosi - è tipica dell'avversario di Cristo la professione di fede che esce oggi dalla sua bocca: chiama Gesù il Santo di Dio, che è la stessa definizione che danno di lui gli indemoniati quando lo incontrano, una definizione che nel linguaggio biblico indica il Messia difensore della tradizione inviato a rispettare e far rispettare la Legge di Mosè. Proprio ciò che Gesù liberatore rifiuta di essere... Quella che voleva essere una professione di fede diviene un'altra volta un'affermazione contraddittoria.
Sembra proprio che di fronte al Dio di Gesù Cristo non siamo capaci di credere come lui vuole, né di seguirlo secondo le sue vie. Chi ci salva da questa sventurata situazione, che riflette ciò che quotidianamente viviamo, ogni volta che vorremmo seguire Gesù e ci accorgiamo di essere distanti anni luce da lui? La chiave di tutto sta nelle primissime parole dell'affermazione di Simon Pietro, parole che aprono interrogativi irrisolti, ma che, in fondo, esprimono totale abbandono in colui che, solo, può darci salvezza: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna".

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