FIGLIE DELLA CHIESA LECTIO DIVINA "La Festa della Trasfigurazione: origine e storia"

 La Parola
Lectio
La Festa della Trasfigurazione: origine e storia
06/08/2015  
            La Chiesa orientale celebra la festa della Trasfigurazione, fissata il 6 agosto, come una tra le festività maggiori del Signore, nel ciclo delle dodici feste, il Dodecaorton, con un giorno di vigilia che la precede e l’ottava che le succede. È evidente, dunque che per i nostri fratelli orientali si tratta di una festa solenne.
            La motivazione per cui è stata scelta la data del 6 agosto è probabilmente riferita alla dedicazione di una delle chiese sul Monte Tabor, ma anche perché si tratta del giorno dal grande mezzogiorno, l’apogeo della luce estiva. In
questo giorno si benedicono i frutti della stagione: spesso si tratta dell’uva.

            Pur essendo di origine palestinese, la festa della Trasfigurazione si è estesa anche alla Chiesa Armena e a quella Siriaca; solo più tardi sarà parte delle feste della Chiesa occidentale. Essa fu adottata nel suo calendario nell'anno 1457, ad opera di papa Callisto III, in ricordo della vittoria riportata sui Turchi presso Belgrado.

            In questo giorno festeggiano la Trasfigurazione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo oltre che i cattolici e gli ortodossi, anche i fratelli anglicani e luterani.

            La Chiesa occidentale celebra l’episodio leggendo l‘episodio della Trasfigurazione nel vangelo della II Domenica di Quaresima, al fine di seguire di più l’aspetto cronologico della vita di Gesù.
La Trasfigurazione nella liturgia della Parola

            L'episodio della Trasfigurazione ci è pervenuto attraverso i racconti evangelici dei Sinottici (Mt 17,1-9; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36) ma anche attraverso un’allusione contenuta nella Seconda lettera di san Pietro apostolo (1,16-18) proposta dal formulario liturgico come lettura a scelta rispetto alla proposta della lettura dal libro del profeta Daniele (7,9-10.13-14), se la festa si celebra in settimana.

            Il profeta Daniele, nella prima lettura, ci prepara alla comprensione della Trasfigurazione di Gesù tramite la forma letteraria biblica della visione apocalittica, che, grazie alla conoscenza del racconto evangelico, possiamo comprendere come profezia cristologica.

Nella sua visione notturna, Daniele ci parla di una veste «candida come la neve» (Dn 7,9) e di capelli «candidi come la lana» (Dn 7.9), entrambe caratteristiche di un vegliardo che sta seduto sul suo trono infuocato, intorno al quale c’è la corte celeste al suo servizio. A questi è presentato un personaggio arrivato con le nubi del cielo, «simile ad un figlio d’uomo» (Dn 7,13), al quale sono dati un potere eterno, la gloria e un suo regno che resterà per sempre; tutti i popoli lo serviranno.

            Questa profezia è in chiave cristologica, perché noi leggiamo l’espressione “figlio d’uomo” in riferimento a Gesù, vero Dio e vero uomo, figlio dell’uomo e Figlio di Dio. Gesù Cristo stesso ha usato per sé l'appellativo “figlio dell'uomo” per aiutare i suoi ascoltatori a riflettere sulla sua persona sia come figura apocalittica del Re e Giudice celeste sia come colui che deve soffrire, morire e risuscitare, che, alla destra del Padre, si manifesterà nella gloria della sua divinità ricevendo il potere su tutti e su tutto.

            È interessante ricordare che durante il processo davanti a Pilato, Gesù si dichiara il figlio dell'uomo che arriva sulle nubi del cielo, e per questo viene accusato di bestemmia, cosa che lo porterà alla morte ignominiosa di croce.

            Circa il Nuovo Testamento, sia la lettura dell'apostolo Pietro che il racconto evangelico di Marco, ci parlano dell’episodio della Trasfigurazione del Signore, l’uno come rievocazione e ricordo del primo apostolo utile per sostenere il cammino della Chiesa, l’altro come evento storico vissuto e testimoniato dai tre discepoli.

            Nella lettera apostolica di Pietro possiamo ascoltare da un testimone più che oculare, la sua esperienza di fede, che diventa per noi speranza per ciò che ci attende nella vita eterna, quando saremo simili a Lui, così come Egli è, tutto splendente di luce.

            Nel vangelo di Marco (9,2-10) che leggiamo nell’anno B, siamo nel contesto che precede la passione di Gesù, il quale, prima di salire per l'ultima volta dalla Galilea a Gerusalemme, riunisce i suoi discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, per condurli in disparte su un monte alto: il Tabor. Qui, Gesù fu trasfigurato davanti a loro (è interessante notare l’uso del passivo teologico): il suo volto e le sue vesti divennero splendenti e bianche, tanto che nessun lavandaio potrebbe fare altrettanto.

            In questo prodigioso evento, apparvero Mosè ed Elia, impegnati a conversare con Gesù. Di fronte a tutto questo, senza parole, Pietro si rivolse a Gesù per esprimere la sua meraviglia e anche il suo spavento per quello che lui e gli altri due discepoli avevano visto e a cui stavano partecipando: «Rabbì, è bello per noi essere qui: facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia».

            Giunse una nube, simbolo della presenza divina (come quella che accompagna gli ebrei: cfr. Es 24,16) che li avvolse con la sua ombra, dalla quale uscì una voce: «Questi è il Figlio mio l’amato: ascoltatelo!», ripetendo quanto Dio Padre aveva già rivelato in occasione del battesimo di Gesù nel Giordano, prima teofania della Trinità. “Figlio amato” è uno dei più importanti titoli cristologici, ispirato a Is 42,1 in cui il termine «amato» indica il Servo di Yhwh, mentre l'invito: «ascoltatelo», richiama Dt 18,25, in cui Mosè annuncia la venuta del profeta della fine dei tempi al quale il popolo deve dare ascolto.

            I discepoli prescelti, già testimoni dei miracoli, delle guarigioni e soprattutto della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37), sono gli «intimi» di Gesù, prescelti per vivere questa rivelazione, ma non capiscono ciò che avviene. È proprio per questo che Gesù vive questo momento di trasfigurazione: come risposta all'incomprensione dei discepoli, dinanzi al cammino della croce che lo porterà poi alla gloriosa resurrezione.

            Questa voce e l’ombra della nube hanno gettato i discepoli in un grande timore, tanto da prostrarli faccia a terra. Ma quando i discepoli si guardarono intorno, non videro altri che Gesù solo. Questa presenza, è l’unica essenziale, è la cosa più importante da constatare al termine di una grande esperienza. Mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro di non comunicare a nessuno l’esperienza teofanica vissuta, se non dopo che il Figlio dell'uomo sarà risorto dai morti, cosa della quale non compresero il significato.

            Il testo biblico di Marco inizia con l’espressione temporale “dopo sei giorni” precisazione che la liturgia della Parola odierna non mantiene per non creare collegamenti con ciò che precede questo episodio e dunque per non disperdere l’attenzione sull’hodie liturgico.

            In questo contesto di spiegazione, è bene ricordare che “sei giorni” sono l'intervallo di tempo tra la confessione di Pietro, che nella città di Cesarea di Filippo aveva proclamato Gesù come Figlio di Dio, e la proclamazione di Gesù come Figlio amato di Dio avvenuta sul monte della trasfigurazione da parte del Padre. Si tratta dunque di una conferma che ha reso più salda la fede dei tre discepoli, per una testimonianza da trasmettere attraverso la tradizione apostolica in tutto il mondo. Proprio per questo Dio rivela sul monte la gloria del suo Figlio, come fa sulle rive del Giordano all’inizio del ministero pubblico di Gesù. Questa è una caratteristica propria del modo di agire di Dio: si fa vicino all’uomo e lo incontra sul monte per risollevare il coraggio che di lì a poco sarà messo a dura prova attraverso la passione e la morte di Gesù alla quale i suoi discepoli assisteranno con grande timore e delusione.

            Gesù prende l'iniziativa di condurre con sé Pietro, Giacomo e Giovanni sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli (Mc 9,2). Sono gli stessi discepoli che assisteranno ai miracoli più significativi ed infine alla sua agonia.

            L’alto monte ricorda la teofania del Sinai in cui Mosè ha goduto della gloria di Dio, la stessa che ora sul Tabor, si riflette nel volto e nelle vesti bianchissime di Gesù, mentre la nube rappresenta la presenza di Dio e la sua trascendenza. Mosè ed Elia vengono rappresentati nelle icone che ritraggono la Trasfigurazione in una convergenza fisica, di sguardo verso la persona di Gesù, come a sottolineare il compimento dell’antica alleanza in quella inaugurata da Gesù.

            La luce è la forma di comunione più perfetta perché permette la conoscenza reciproca. Si comprende come la trasfigurazione, con il tema della luce, sia stata scelta ben presto quale lettura base per la catechesi liturgica in preparazione al battesimo (cfr II domenica di Quaresima). Mosè al roveto ardente, Elia rapito sul carro di fuoco; Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor; gli Apostoli con Maria nel cenacolo a Pentecoste, Paolo sulla via di Damasco.

            La Trasfigurazione dunque è una teofania, una manifestazione sia della vita divina del Cristo che quella della Trinità. In questo senso, l'episodio della vita di Gesù è considerato come il battesimo di Gesù nel Giordano. La voce del Padre dichiara Gesù, come il figlio amato; il Figlio è splendente di luce, simbolo della sua discendenza divina; lo Spirito avvolge nell’ombra della nube i discepoli facendosi portatore della voce che testimonia l’identità di Gesù.

            Gesù fu trasfigurato agli occhi dei suoi discepoli, quindi anche gli occhi dei discepoli furono trasfigurati, nel senso di una trasformazione della loro capacità di vedere, di contemplare, per essere in grado di incontrare in Cristo la Gloria di Dio per opera dello Spirito Santo. Questi discepoli sono quelli che hanno partecipato a dei momenti particolari della vita di Gesù: le guarigioni, la predicazione e poi la passione. È proprio per rafforzare la fede di questi, in vista dello scandalo della croce, che Gesù li ha scelti: perché di fronte all’umiliazione della morte e al suo essere sfigurato dal dolore sulla croce, essi possano poi ricordare di aver contemplato la natura divina di Gesù anche solo per un attimo, al fine di credere oltre la morte che sembra cancellare la vita.

            I tre prediletti, infatti, dopo l'ultima cena, saranno condotti da Gesù su un altro monte, quello degli Ulivi, testimoni della sua angoscia (Mc 14,33) prenderanno sonno di fronte ad un Cristo non più trasfigurato, ma sfigurato dal sudore di sangue.

            La Trasfigurazione è un sostegno per la fede al fine di sostenere la debolezza dei suoi apostoli, un aiuto graduale davanti al mistero di Cristo fino alla Pasqua. Si tratta di uno sprazzo della luce del Regno di Dio che è Cristo stesso, luce della Pasqua e della Pentecoste, dell’Eschaton, il tempo della Trasfigurazione del mondo.

            Se Mosè ed Elia rappresentano l’antica alleanza, coloro i quali sono stati scelti per incontrare Dio in favore del popolo, Pietro, e i due fratelli Giacomo e Giovanni, rappresentano la nuova alleanza, coloro che porteranno il messaggio dell’amore di Dio per mezzo di Gesù Cristo.

            La trasfigurazione, possiamo vederla come una finestra aperta sulla divinità di Gesù, la partecipazione alla sua essenza intratrinitaria, o almeno la manifestazione esperibile per noi di ciò che Egli è in seno alla Trinità. Questa è la vita che vive il Figlio da sempre, prima che il mondo fosse, vita racchiusa nel corpo di carne che Gesù ha preso da Maria, occulta durante la sua vita terrena.  È dunque un’anticipazione di ciò che saremo quando verremo glorificati nella resurrezione, ciò che saremo quando Cristo trasformerà il nostro corpo mortale e lo renderà simile al suo corpo glorioso, per partecipare della bellezza di Dio.

            Nel nostro cammino di tutti i giorni siamo trasfigurati gradualmente dall’azione dello Spirito che ci cristifica, anche attraverso i sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, la presenza trasfigurata di Gesù Cristo nel pane e nel vino che diventano suo Corpo e suo Sangue per la remissione dei peccati e per la nostra salvezza. Gesù trasfigurato è già ciò che il credente è chiamato a diventare.

            La vita cristiana è un processo storico di reale trasformazione in Cristo, parafrasando il prefazio proprio di questa festa, il quale ha rivelato la sua gloria sia per preparare i suoi discepoli a sostenere “lo scandalo della croce” che per anticipare il destino splendido della Chiesa.

            La trasfigurazione è una lezione di fede anche per noi, ed è pure una lezione di speranza, nel momento in cui incombe l'annuncio della passione e della morte quando la tristezza e la sofferenza entrano nella nostra esistenza.
02/08/2015

Questi è il Figlio mio, l'amato. (Mc 9, 2-10)


            Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un'immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16, 28).

            L'evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17, 1-3). Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo.

            Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall'alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo si a nostra guida e battistrada. Con lui saremo circondati di quella luce che solo l'occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata. Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni. Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, è bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).

            Realmente, o Pietro, è davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi è di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce? Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «E' bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l'anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle edilizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri. (Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita, vescovo (Nn. 6-10; Mélanges d'archéologie et d'histoire, 67 [1955] 241-244))



Tu, che hai santificato con la tua luce l'universo,

hai compiuto la Trasfigurazione sopra un monte elevato

e hai mostrato, ai tuoi discepoli, o Buono, la tua potenza,

poiché redimi il mondo dall'antica disobbedienza.

Noi quindi acclamiamo: «Misericordioso Signore,

salva, te ne preghiamo, le nostre anime!»,

Tu, che sul monte Tabor ti sei trasfigurato

nella gloria, Cristo Dio, e hai mostrato

ai tuoi discepoli la gloria della tua divinità,

illumina anche noi con la luce della tua conoscenza

e guidaci nella via dei tuoi comandamenti,

tu, che solo sei Buono e Amico degli uomini.

Venite, saliamo al monte del Signore,

e nella casa del nostro Dio e Signore,

e contempleremo la gloria della Trasfigurazione,

gloria del Figlio unigenito del Padre.

Dalla luce assorbiamo abbondante luce

e, sollevati dallo Spirito Santissimo,

inneggiamo per i secoli alla Trinità consustanziale.

O Cristo, Mosè, che vide Dio nella nube,

ed Elia, che guidò al cielo un carro di fuoco

senza esserne minimamente consunto,

resero testimonianza a te, quale Autore

e adempimento della Legge e dei Profeti,

allorché ti videro nella nube

mentre si compiva la Trasfigurazione.

Con essi, rendici degni della tua illuminazione, Signore, affinché ti cantiamo nei secoli.

(Autore anonimo - Stichirà Idiomela della Processione)



            «Tu ti sei trasfigurato sul monte e, nella misura in cui ne erano capaci, i tuoi discepoli hanno con-templato la tua Gloria, Cristo Dio, affinché, quando ti avrebbero visto crocifisso, comprendessero che la tua Passione era volontaria e annunziassero al mondo che tu sei veramente l'irradiazione del Padre». (Liturgia Bizantina / Compendio del Catechismo Chiesa Cattolica, 110

            14. Il fondamento evangelico della vita consacrata va cercato nel rapporto speciale che Gesù, nella sua esistenza terrena, stabilì con alcuni dei suoi discepoli, invitandoli non solo ad accogliere il Regno di Dio nella propria vita, ma a porre la propria esistenza a servizio di questa causa, lasciando tutto e imitando da vicino la sua forma di vita.

Molte sono, nel Vangelo, le parole e i gesti di Cristo che illuminano il senso di questa speciale vocazione. Per coglierne, tuttavia, in una visione d'insieme i tratti essenziali, di singolare aiuto si rivela fissare lo sguardo sul volto raggiante di Cristo nel mistero della Trasfigurazione. A questa «icona» si riferisce tutta un'antica tradizione spirituale, quando collega la vita contemplativa all'orazione di Gesù «sul monte». Ad essa possono inoltre ricondursi, in qualche modo, le stesse dimensioni «attive» della vita consacrata, giacché la Trasfigurazione non è solo rivelazione della gloria di Cristo, ma anche preparazione ad affrontarne la croce. Essa implica un «ascendere al monte» e un «discendere dal monte»: i discepoli che hanno goduto dell'intimità del Maestro, avvolti per un momento dallo splendore della vita trinitaria e della comunione dei santi, quasi rapiti nell'orizzonte dell'eterno, sono subito riportati alla realtà quotidiana, dove non vedono che «Gesù solo» nell'umiltà della natura umana, e sono invitati a tornare a valle, per vivere con lui la fatica del disegno di Dio e imboccare con coraggio la via della croce.

            15. L'episodio della Trasfigurazione segna un momento decisivo nel ministero di Gesù. È evento di rivelazione che consolida la fede nel cuore dei discepoli, li prepara al dramma della Croce ed anticipa la gloria della risurrezione. Questo mistero è continuamente rivissuto dalla Chiesa, popolo in cammino verso l'incontro escatologico col suo Signore. Come i tre apostoli prescelti, la Chiesa contempla il volto trasfigurato di Cristo, per confermarsi nella fede e non rischiare lo smarrimento davanti al suo volto sfigurato sulla Croce. Nell'uno e nell'altro caso, essa è la Sposa davanti allo Sposo, partecipe del suo mistero, avvolta dalla sua luce.

Da questa luce sono raggiunti tutti i suoi figli, tutti ugualmente chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l'Apostolo: «Per me il vivere è Cristo!» (Fil 1, 21). Ma un'esperienza singolare della luce che promana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vita consacrata. La professione dei consigli evangelici, infatti, li pone quale segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo. Non possono perciò non trovare in essi particolare risonanza le parole estatiche di Pietro: «Signore, è bello per noi stare qui!» (Mt 17, 4). Queste parole dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana. Esse, tuttavia, esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata: “Come è bello restare con Te, dedicarci a Te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza su di Te!”. In effetti, chi ha ricevuto la grazia di questa speciale comunione di amore con Cristo, si sente come rapito dal suo fulgore: Egli è il «più bello tra i figli dell'uomo» (Sal 45 [44], 3), l'Incomparabile.

            16. Ai tre discepoli estasiati giunge l'appello del Padre a mettersi in ascolto di Cristo, a porre in Lui ogni fiducia, a farne il centro della vita. Nella parola che viene dall'alto acquista nuova profondità l'invito col quale Gesù stesso, all'inizio della vita pubblica, li aveva chiamati alla sua sequela, strappandoli alla loro vita ordinaria e accogliendoli nella sua intimità. È proprio da questa speciale grazia di intimità che scaturisce, nella vita consacrata, la possibilità e l'esigenza del dono totale di sé nella professione dei consigli evangelici. Questi, prima e più che una rinuncia, sono una specifica accoglienza del mistero di Cristo, vissuta all'interno della Chiesa.

            17. La contemplazione della gloria del Signore Gesù nell'icona della Trasfigurazione rivela alle persone consacrate innanzitutto il Padre, creatore e datore di ogni bene, che attrae a sé (cfr Gv 6, 44) una sua creatura con uno speciale amore e in vista di una speciale missione. «Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!» (Mt 17, 5). Assecondando quest'appello accompagnato da un'interiore attrazione, la persona chiamata si affida all'amore di Dio che la vuole al suo esclusivo servizio, e si consacra totalmente a Lui e al suo disegno di salvezza (cfr 1 Cor 7, 32-34). Qui sta il senso della vocazione alla vita consacrata: un'iniziativa tutta del Padre (cfr Gv 15, 16), che richiede da coloro che ha scelti la risposta di una dedizione totale ed esclusiva. L'esperienza di questo amore gratuito di Dio è a tal punto intima e forte che la persona avverte di dover rispondere con la dedizione incondizionata della sua vita, consacrando tutto, presente e futuro, nelle sue mani. Proprio per questo, seguendo san Tommaso, si può comprendere l'identità della persona consacrata a partire dalla totalità della sua offerta, paragonabile ad un autentico olocausto.

            19. «Una nube luminosa li avvolse con la sua ombra» (Mt 17, 5). Una significativa interpretazione spirituale della Trasfigurazione vede in questa nube l'immagine dello Spirito Santo. Come l'intera esistenza cristiana, anche la chiamata alla vita consacrata è in intima relazione con l'opera dello Spirito Santo. È Lui che, lungo i millenni, attrae sempre nuove persone a percepire il fascino di una scelta tanto impegnativa. Sotto la sua azione esse rivivono, in qualche modo, l'esperienza del profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre» (20, 7). È lo Spirito che suscita il desiderio di una risposta piena; è Lui che guida la crescita di tale desiderio, portando a maturazione la risposta positiva e sostenendone poi la fedele esecuzione; è Lui che forma e plasma l'animo dei chiamati, configurandoli a Cristo casto, povero e obbediente e spingendoli a far propria la sua missione. Lasciandosi guidare dallo Spirito in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno, persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto. Con penetrante intuizione, i Padri della Chiesa hanno qualificato questo cammino spirituale come filocalia, ossia amore per la bellezza divina, che è irradiazione della divina bontà. La persona che dalla potenza dello Spirito Santo è condotta progressivamente alla piena configurazione a Cristo, riflette in sé un raggio della luce inaccessibile e nel suo peregrinare terreno cammina fino alla Fonte inesauribile della luce. In tal modo la vita consacrata diventa un'espressione particolarmente profonda della Chiesa Sposa, la quale, condotta dallo Spirito a riprodurre in sé i lineamenti dello Sposo, Gli compare davanti «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5, 27). Lo stesso Spirito poi, lungi dal sottrarre alla storia degli uomini le persone che il Padre ha chiamato, le pone a servizio dei fratelli secondo le modalità proprie del loro stato di vita, e le orienta a svolgere particolari compiti, in rapporto alle necessità della Chiesa e del mondo, attraverso i carismi propri dei vari Istituti. Da qui il sorgere di molteplici forme di vita consacrata, attraverso le quali la Chiesa è «anche abbellita con la varietà dei doni dei suoi figli, [...] come una sposa adornata per il suo sposo (cfr Ap 21, 2)»e viene arricchita di ogni mezzo per svolgere la sua missione nel mondo.

Dal Tabor al Calvario

            23. L'evento sfolgorante della Trasfigurazione prepara quello tragico, ma non meno glorioso, del Calvario. Pietro, Giacomo e Giovanni contemplano il Signore Gesù insieme a Mosè ed Elia, con i quali — secondo l'evangelista Luca — Gesù parla «della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (9, 31). Gli occhi degli apostoli dunque sono fissi su Gesù che pensa alla Croce (cfr Lc 9, 43-45). Lì il suo amore verginale per il Padre e per tutti gli uomini raggiungerà la sua massima espressione; la sua povertà arriverà allo spogliamento di tutto; la sua obbedienza fino al dono della vita. I discepoli e le discepole sono invitati a contemplare Gesù esaltato sulla Croce, dalla quale «il Verbo uscito dal silenzio»,nel suo silenzio e nella sua solitudine, afferma profeticamente l'assoluta trascendenza di Dio su tutti i beni creati, vince nella sua carne il nostro peccato e attira a sé ogni uomo e ogni donna, donando a ciascuno la nuova vita della risurrezione (cfr Gv 12, 32; 19, 34.37). Nella contemplazione di Cristo crocifisso trovano ispirazione tutte le vocazioni; da essa traggono origine, con il dono fondamentale dello Spirito, tutti i doni e in particolare il dono della vita consacrata. Dopo Maria, Madre di Gesù, questo dono riceve Giovanni, il discepolo che Gesù amava, il testimone che insieme a Maria si trovava ai piedi della Croce (cfr Gv 19, 26-27). La sua decisione di consacrazione totale è frutto dell'amore divino che lo avvolge, lo sostiene, gli riempie il cuore. Giovanni, accanto a Maria, è tra i primi della lunga schiera di uomini e donne, che dagli inizi della Chiesa fino alla fine, toccati dall'amore di Dio, si sentono chiamati a seguire l'Agnello immolato e vivente, dovunque Egli vada (cfr Ap 14, 1-5).

«È bello per noi restare qui»: la vita consacrata nel mistero della Chiesa

            29. Nella scena della Trasfigurazione, Pietro parla a nome degli altri apostoli: «È bello per noi restare qui» (Mt 17, 4). L'esperienza della gloria di Cristo, che pur gli inebria la mente e il cuore, non lo isola, ma al contrario lo lega più profondamente al «noi» dei discepoli. Questa dimensione del «noi» ci porta a considerare il posto che la vita consacrata occupa nel mistero della Chiesa. La riflessione teologica sulla natura della vita consacrata ha approfondito in questi anni le nuove prospettive emerse dalla dottrina del Concilio Vaticano II. Alla sua luce s'è preso atto che la professione dei consigli evangelici appartiene indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa. Questo significa che la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura. Ciò appare con evidenza dal fatto che la professione dei consigli evangelici è intimamente connessa col mistero di Cristo, avendo il compito di rendere in qualche modo presente la forma di vita che Egli prescelse, additandola come valore assoluto ed escatologico. Gesù stesso, chiamando alcune persone ad abbandonare tutto per seguirlo, ha inaugurato questo genere di vita che, sotto l'azione dello Spirito, si svilupperà gradualmente lungo i secoli nelle varie forme della vita consacrata. La concezione di una Chiesa composta unicamente da ministri sacri e da laici non corrisponde, pertanto, alle intenzioni del suo divino Fondatore quali ci risultano dai Vangeli e dagli altri scritti neotestamentari.



Esistenza «trasfigurata»: la chiamata alla santità

            35. «All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore» (Mt 17, 6). Nell'episodio della Trasfigurazione i sinottici, pur con diverse sfumature, mettono in evidenza il senso di timore che prende i discepoli. Il fascino del volto trasfigurato di Cristo non impedisce che essi si sentano sgomenti di fronte alla Maestà divina che li sovrasta. Sempre, quando l'uomo avverte la gloria di Dio, tocca con mano anche la sua piccolezza e ne trae un senso di spavento. Questo timore è salutare. Ricorda all'uomo la divina perfezione, e al tempo stesso lo incalza con un appello pressante alla «santità». Tutti i figli della Chiesa, chiamati dal Padre ad «ascoltare» Cristo, non possono non avvertire una profonda esigenza di conversione e di santità. Ma, come è stato sottolineato al Sinodo, questa esigenza chiama in causa in primo luogo la vita consacrata. In effetti, la vocazione delle persone consacrate a cercare innanzitutto il Regno di Dio è, prima di ogni altra cosa, una chiamata alla conversione piena, nella rinuncia a se stessi per vivere totalmente del Signore, affinché Dio sia tutto in tutti. Chiamati a contemplare e testimoniare il volto trasfigurato di Cristo, i consacrati sono anche chiamati a un'esistenza «trasfigurata». Significativo, a questo proposito, è quanto è stato espresso nella Relazione finale della II Assemblea Straordinaria del Sinodo: «I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità. Gli Istituti di vita consacrata, mediante la professione dei consigli evangelici, devono essere consapevoli della loro speciale missione nella Chiesa odierna e noi dobbiamo incoraggiarli nella loro missione». A queste valutazioni hanno fatto eco i Padri di questa IX Assemblea sinodale, i quali hanno affermato: «La vita consacrata è stata, lungo la storia della Chiesa, una presenza viva dell'azione dello Spirito, come spazio privilegiato di amore assoluto a Dio e al prossimo, testimone del progetto divino di fare di tutta l'umanità, all'interno della civiltà dell'amore, la grande famiglia dei figli di Dio». La Chiesa ha sempre visto nella professione dei consigli evangelici una via privilegiata verso la santità. Le stesse espressioni con cui la qualifica — scuola del servizio del Signore, scuola di amore e di santità, via o stato di perfezione — indicano sia l'efficacia e la ricchezza dei mezzi propri di questa forma di vita evangelica, sia il particolare impegno di coloro che la abbracciano. Non a caso sono tanti i consacrati che lungo i secoli hanno lasciato testimonianze eloquenti di santità e compiuto imprese di evangelizzazione e di servizio particolarmente generose ed ardue. (Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata  di Giovanni Paolo II)

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