FIGLIE DELLA CHIESA LECTIO DIVINA "Assunzione della Beata Vergine Maria"

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili (Lc 1,39-56)
Assunzione della Beata Vergine Maria
Assunzione della Beata Vergine Maria
La Parola
Lectio
Il contesto:
Ci siamo appena accostati al brano evangelico e
già ci sentiamo trasportati …, sì la nostra scena si apre con un viaggio, siamo in cammino, dietro a una pellegrina.

La protagonista di questo inizio d’atto e di tutta la scena è lei, la giovane adolescente di Nazareth, di nome Maria; ha appena ricevuto una meravigliosa notizia, avrà un bambino! E così, esultante, fresca nella sua gioia, si muove, parte.

Ma, come? In quelle condizioni intraprende un viaggio che, non facciamo fatica a immaginarlo, non doveva essere pieno di comforts: strade impolverate, scomodi giumenti da cavalcare o forse lunghi chilometri da percorrere a piedi, giorni e giorni di viaggio, una strada in salita se, come ci ricorda il testo, Ain-Karim è in una zona montuosa (molto probabilmente è una località a pochi chilometri da Gerusalemme, quindi sul monte Sion).

Decisamente una giovane donna coraggiosa questa Maria, anche perché le condizioni della sua gravidanza sono tutte particolari: è fidanzata, ma non ancora convivente con il suo promesso sposo, ma soprattutto … non è lui il padre di questo bimbo.

Che mistero c’è nella vita di Maria? Quale impensabile strada sta tracciando nella sua esistenza il Signore? Che Lui sia Onnipotente non ci stupisce, “nulla è impossibile a Dio”, ma forse quello che ci lascia esterrefatti è la fiducia che questa semplice creatura sembra accordarGli con tanta naturalezza, lasciandosi trarre fuori dall’anonimato di una vita normale, nell’ultimo paese della Palestina, da cui chissà cosa poteva venire di buono: non era questa l’opinione comune tra i Giudei? Ma Maria crede, si fida, corre verso l’altra profezia che l’angelo le ha annunciato: anche l’anziana Elisabetta, sua parente, avrà un figlio dopo anni di attesa, sterile e ormai non più in età adatta. Ma questi sono i nostri schemi; Maria ha intuito una cosa: Colui che le ha chiesto di coinvolgersi in questa avventura è Qualcuno che ha tutt’altri pensieri, e tutt’altre vie. Si fida e va…



v.39

Abbiamo già accennato da dove Maria parte e dove si dirige: la tradizione ha da sempre identificato la città di Zaccaria e di Elisabetta con Ain-Karim, una località a circa 6 chilometri a ovest di Gerusalemme. Si sottolinea una certa “fretta” di Maria nel mettersi in viaggio per raggiungere la destinazione, è l’ansia della giovinezza che la fa correre sui monti come messaggero di liete notizie (cfr Is 52,2). Da Nazareth, in Galilea, Maria scende a sud in Giudea passando per la Samarìa, un cammino di circa quattro giorni, probabilmente unendosi a qualche carovana, come era consuetudine a quei tempi.

Il verbo greco con cui inizia il versetto è molto interessante; “anastasa”, infatti è uno dei verbi usati per indicare la “resurrezione” di un morto (cfr Mt22,23-28 e paralleli; Lc2,34 e 14,14; Gv5,29 e 11,24, per rimanere solo nei testi evangelici).

Il nostro è un libero accostamento tra i due significati di “alzarsi” e “risorgere”: la fanciulla ha appena ricevuto l’annuncio, è piena di gioia, sollievo, speranza. Sono ancora solo parole quelle che ha udito, non ha ancora visto nulla, ma Chi ha parlato è Dio, la Sua Parola è fedele. Maria, dunque, si fida e si solleva, si alza. Questo verbo contrasta per significato e dà nuova risoluzione a Lc1,79, il cantico di Zaccaria dove questi, profetando, parla del sole che ha visitato Israele, per illuminare quelli che stanno “seduti” (kaqhmenois) nell’ombra di morte. Maria, vergine figlia di Sion, era anch’ella una donna del suo popolo che aspettava la redenzione.



v.40

Elisabetta discendeva dalla casa di Aronne ed era moglie del sacerdote Zaccaria, della classe di Abìa (cfr Lc1,5). La sua parentela con Maria fa supporre agli studiosi che anche quest’ultima avesse una discendenza sacerdotale. Del resto, chi più di lei poteva dar lode degnamente al Signore, al pari di un sacerdote! lei stessa offrirà l’unico sacrificio gradito a Dio, quel Figlio la cui carne era anche la sua carne.



v.41

Quando Elisabetta sente la voce di Maria accade qualcosa in lei, percepisce uno stimolo a livello fisico; Giovanni, ormai feto di 6 mesi, si muove, “scalcia” diremmo oggi, “saltellò” dice il testo greco (eskirthsen). Questo termine è lo stesso che Luca usa per indicare la gioia, la beatitudine dei perseguitati per il nome di Cristo, perché grande è la loro ricompensa nei cieli. (cfr Lc6,26).

Ancora nel grembo materno Giovanni già anticipa la sua danza, preludio di un grande gaudio, perché sarà lui il primo martire per amore di Cristo.

Giovanni saltella ed Elisabetta gioisce; è lo spirito di questa donna già avanti negli anni, che viene raggiunto da una sensazione che la fa gridare in un’espressione liberante e profetica: è lo Spirito Santo che la riempie e le svela la verità che la fa trasalire di gioia.



vv.42-43

I due versetti si possono collegare perché hanno lo stesso carattere. La gioia interiore si fa lode espressa: Maria è benedetta più di ogni donna ma il motivo di questa benedizione è il Cristo che porta in grembo, infatti, ogni attributo di Maria ha sempre il suo fondamento nel suo Figlio.

Elisabetta illuminata dallo Spirito Santo compie qui il primo atto di culto mariano: riconosce in quella donna la Madre del Messia. L’evangelista mette sulle labbra dell’anziana parente la venerazione per Maria che da subito ha contraddistinto le comunità protocristiane.



v.44

La voce di Maria, la Cristofora, portatrice del Cristo, fa saltellare di gioia Giovanni; lui stesso, dirà ai suoi discepoli indicando chi dovranno seguire da quel momento in poi, che l’amico dello sposo che lo attende si rallegra all’udirne la voce (Gv3,29).



v.45

La beatitudine di Maria sta nel suo atto di fede. Maria dà fiducia a Dio, gli dà “carta bianca”; il suo atteggiamento ci ricorda quello del grande patriarca Abramo, nostro padre nella fede: anch’egli credette al Signore che glielo accreditò come giustizia (Gen15,6). La sottomissione al volere divino insieme alla rettitudine rendono l’uomo giusto agli occhi di Dio.



v.46

Inizia da questo versetto il Cantico di Maria, il cosiddetto Magnificat, uno dei testi più noti del Nuovo Testamento. La critica lo ritiene un testo anteriore al Vangelo di Luca, forse di origine semitica o giudeocristiana, o forse derivato dalla cerchia del Battista, al punto che qualcuno avanza l’ipotesi che sia stato proclamato da Elisabetta, la quale, al pari della figura di Anna (vedi 1Sam2,1-10), canta la sua lode al Signore per averla tratta dalla sterilità e averla benedetta con una gravidanza.

Ma la maggioranza degli studiosi sono più favorevoli ad attribuire proprio a Maria quest’inno di ringraziamento. È questo cantico che giustifica la scelta di tale brano evangelico nella festa dell’Assunzione della Beata Vergine: è la lode perenne che da quel momento ella eleva nell’eternità alla Trinità Santa che l’ha esaltata accanto a sé. A lei uniamo le nostre voci e i nostri cuori nella medesima lode con tutta la Chiesa che ogni sera nei Vespri ci fa pregare con queste parole.



v.47

È lo spirito di Maria adesso a elevare il suo canto di gioia. La sua è l’esultanza dei beati perché poveri (cfr Mt5,12), della folla dei redenti dell’Apocalisse che canta all’Agnello (cfrAp19,7), di colei che è stata unta da Dio con olio di esultanza a preferenza dei suoi eguali (cfr Sal 44,8); in tutti questi casi, infatti, il verbo che indica lo stato d’animo è lo stesso: agalliasqai.

La lode di Maria, in particolare, sembra nascere dalla memoria; sta facendo memoria con Elisabetta di ciò che il Signore ha fatto in lei e per lei. I verbi “esultò” e quelli che indicano l’azione divina sono tutti al passato, ma l’atto di “magnificare” di Maria è al presente; chi conosce la lingua greca sa il valore di continuità che il presente assume in questo idioma. Fare memoria delle misericordie di Dio nella nostra vita ci fa entrare nella lode perenne e continua.



v.48

Cosa ha visto Dio in Maria? La “tapeinwsin” è la bassezza, la miseria, l’umiliazione, la condizione di debolezza e di disagio che la creatura umana vive. L’ha vista in lei, la più umile, dove questo termine ci richiama l’humus, la terra dalla quale siamo stati tratti.

Dio pure si ricorda che noi siamo polvere (Sal 103,14) e questo lo muove a compassione. Dirà a Mosè in Es3,7-8: “Ho osservato la miseria del mio popolo […] sono sceso per liberarlo. E ha visto in Maria anche la sua disponibilità: la sua schiava, doulhs, così si pone di fronte al Signore suo Dio. Non è difficile immaginare Maria che pregando il Salmo 123,2 fa sue quelle parole: “come gli occhi della schiava alla mano della sua padrona così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi”.



v.49

In questo versetto si spiega il perché Maria sarà detta “beata” da tutte le generazioni: in lei, l’Onnipotente e il Santo ha compiuto opere grandi.



v.50

La “eleos” si può tradurre con misericordia, ma anche con pietà o compassione, due termini che rimandano maggiormente a un coinvolgimento di Colui che prova tale sentimento. Dio patisce con la sua creatura; il mio intimo freme di compassione (Os11,8). Sono soprattutto i foboumenois a beneficiarne: quelli che lo temono. Anche qui il termine va epurato da un’accezione più negativa che altro.

Il “temente di Dio” è chi riconosce obiettivamente che c’è Uno più grande di Lui, che lo sovrasta, che va aldilà di ogni sua possibilità e comprensione.



v.51

Il versetto 51 è lo spartiacque che, secondo la critica, divide in due il cantico di Maria: finora Dio è stato lodato per l’azione individuale che ha compiuto nella vita di una sola persona; da questo punto in poi, Egli sarà considerato quale Salvatore dei foboumenois e dei tapeinoi, in contrasto con quanti sono superbi nella loro autosufficienza e convinti di essere potenti perché ricchi (v 52).



v.53

Con il suo intervento Dio prende posizione: sì, il Dio della Bibbia è un Dio di parte, sta dalla parte dei poveri, degli affamati, dei deboli, dei derelitti, di coloro che non hanno nessuno, se non Lui.

Questa fiducia sarà abbondantemente ricompensata: una buona misura, pigiata, scossa e traboccante sarà versata in grembo (cfr Lc7,38) a quanti seguiranno la sua parola con tutto il cuore.

Il parallelo con il già menzionato cantico di Anna in 1Sam2,1-10 è particolarmente evidente in questi versetti. È un primo accenno, implicito se vogliamo, al discorso delle beatitudini che Gesù farà come maestro.



v.54

Al di là del contesto storico in cui queste parole vengono pronunciate, alla luce dell’universalità del messaggio evangelico, possiamo affermare che a quell’“Israele” si può dare una connotazione escatologica, nella quale possono rientrare tutti coloro che sono amici di Dio, soffrono per Lui, per seguirLo, si sentono parte di quel “resto” dal quale Egli trarrà il suo nuovo popolo.



v.55

Ritorna ancora il tema della fedeltà di Dio: il Signore è sempre fedele alla sua promessa. Il patto stretto una volta con Abramo non è mai stato dimenticato né revocato, anzi, Egli lo ha più volte rinnovato, rinsaldato, reso sempre più stretto, fino a compromettersi con l’umanità assumendone la natura in un vero corpo: è il mistero dell’Incarnazione nel quale Maria è stata coinvolta in modo privilegiato.



v.56

La permanenza di Maria presso Elisabetta dura fino alla realizzazione della profezia, i tre mesi, infatti, coincidono con il compimento della sua gravidanza e il parto di Giovanni; nei versetti seguenti l’Evangelista non fa esplicito riferimento alla presenza della Vergine, ma è lecito supporlo.

Dopo aver certamente assistito anche materialmente la parente con la sua vicinanza, Maria ritorna a casa sua, alla vita nuova che l’attende: sarà moglie e madre, e attenderà con grande discrezione soprattutto a quest’ultimo ruolo.

Ha consegnato la sua vita a Dio dandoGli la sua disponibilità, ha cantato la benevolenza dell’Altissimo per averla scelta. Da ora in poi la voce di Maria andrà dissolvendosi sempre di più; la Scrittura ci riporta ben poche altre parole pronunciate dalla sua bocca: in Lc2,48, osa rimproverare il dodicenne Gesù che si è allontanato senza permesso.

Giustamente si sente responsabile come madre della sua incolumità, ma le viene ricordato che è stata chiamata a dispossessarsi di tutto, anche dei suoi diritti di genitrice di fronte a Dio (cfr Lc2,49).

In Gv2,5, mostra ancora di poter parlare per suo figlio: nonostante lui si dica contrario, gli “strappa” il suo primo miracolo per una coppia di sposi in difficoltà. Ma quelle sono le ultime parole che Maria pronuncia nel Testo Sacro; gli altri episodi in cui è segnalata la sua presenza non riportano nessuna sua espressione. Cresciuta anch’ella alla scuola del Figlio di Dio, impara l’obbedienza e il silenzio, fino a pronunciare il suo ultimo, tacito “fiat!” sotto la croce, (cfr Gv19,25s) dove la troviamo dolorosa e adorante il mistero dell’infinito amore di quel Dio che la scelse per madre.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili (Lc 1,39-56)

 Appendice

O tempio vivente della Santissima divinità del Figlio unico. Madre di Dio, io lo ripeto con azioni di grazie, veramente la tua assunzione non ti ha per nulla allontanata dai cristiani. Tu vivi incorruttibile e tuttavia tu non sei lontana da questo mondo di corruzione; anzi tu sei presso chi ti invoca e coloro che ti cercano con fede ti trovano. Era conveniente che il tuo spirito restasse sempre possente e vivente e che il tuo corpo fosse immortale. Come avrebbe mai potuto la dissoluzione della carne ridurti in cenere e polvere, tu che hai salvato l’uomo dallo sfacelo della morte con l’incarnazione di tuo Figlio? E se tu hai lasciato la terra, è perché il mistero di questa incarnazione prodigiosa si manifesti in tutta la sua evidenza.

Non si può ammettere che, avendo portato Dio in te, tu avessi potuto essere ridotta in polvere dalla corruzione della morte. Poiché “colui che annientò se stesso” (Fil 2,7) in te, è Dio dal principio e Vita prima del tempo, e la morte, non poteva essere per essa che un sonno e l’assunzione sarebbe così come un risveglio per la madre della Vita. Il fanciullo cerca e vuole la madre, e la madre vuol vivere con la sua creatura: analogamente poiché tu nutrivi nel cuore un amore materno per il tuo Figlio e per il tuo Dio, dovevi nell’ordine naturale poter ritornare presso di lui, e Dio, per il suo amore filiale verso di te, doveva con giustizia concederti di condividere la sua condizione. Così, morta alle cose periture, sei stata portata verso le dimore incorruttibili dell’eternità in cui risiede Dio, della cui vita ormai tu partecipi senza mai abbandonare la sua presenza, o Madre di Dio.

Tu sei stata corporalmente la sua dimora; ed ora è lui che, come tua ricompensa, si è fatto luogo del tuo riposo. Egli diceva: “Questa è la mia stabile dimora per i secoli dei secoli” (Sal 131,14). Questo luogo di riposo è la carne di cui egli si è rivestito dopo averla presa da te, Madre di Dio, la carne nella quale – noi lo crediamo – egli si è mostrato nel mondo presente e si manifesterà nel mondo futuro allorché verrà a giudicare i vivi ed i morti.

Poiché tu sei la dimora del suo riposo eterno, egli ti ha sottratta alla corruzione e ti ha preso con sé, volendo conservarti alla sua presenza ed al suo amore. Ecco perché tutto ciò che tu chiedi egli te lo concede come a madre premurosa verso i figli; e tutto ciò che tu auspichi egli lo compie con la sua potenza divina, egli che è benedetto per l’eternità. (Germano di Costantinopoli, Omelia I sulla Dormizione della Madre di Dio, PG 98,41-45)



Maria la nuova donna

            E` veramente cosa degna e giusta, conveniente e salutare, che noi ti ringraziamo, Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, che, per un tuo ineffabile dono, hai fatto sì che la natura umana diventata così diversa da te per il peccato e per la morte, non perisse nella dannazione eterna, ma proprio di là, onde il peccato aveva tratto la morte, la tua pietà immensa traesse la riparazione, poiché Maria, la nuova donna immacolata, riparò il delitto della prima donna. Maria, infatti, salutata da un angelo, adombrata dallo Spirito Santo, poté dare alla luce colui che col suo cenno, fece nascere tutte le cose; Maria che poté guardare estasiata l`integrità del suo corpo e il frutto della sua concezione e poté avere la sorte di generare colui che l`aveva fatta, Gesú Cristo nostro Signore. (Sacramentarium Gregorianum, Praefatio in Assumpt., n. 1688)




I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo in occasione della festa odierna, parlavano dell’Assunzione della Madre di Dio come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi professata; ne spiegavano ampiamente il significato, ne precisavano e ne approfondivano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi mettevano particolarmente in evidenza che l’oggetto della festa non era unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero state preservate dalla corruzione, ma anche il trionfo sulla morte e la sua celeste glorificazione, perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il suo Figlio unico, Cristo Gesù.

San Giovanni Damasceno, che si distingue fra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’Assunzione corporea della grande Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: “Colei che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità, doveva anche conservare senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il Creatore, fatto bambino, doveva abitare nei tabernacoli divini. Colei, che fu data in sposa al Padre, non poteva che trovare dimora nelle sedi celesti. Doveva contemplare il suo Figlio nella gloria alla destra del Padre, lei che lo aveva visto sulla croce, lei che, preservata dal dolore, quando lo diede alla luce, fu trapassata dalla spada del dolore quando lo vide morire. Era giusto che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio, e che fosse onorata da tutte le creature come Madre ed ancella di Dio”.

San Germano di Costantinopoli pensava che l’incorruzione e l’assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio, non solo convenivano alla sua divina maternità, ma anche alla speciale santità del suo corpo verginale: “Tu, come fu scritto, sei tutta splendore (cfr. Sal 44,14); e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto tempio di Dio. Per questo non poteva conoscere il disfacimento del sepolcro, ma, pur conservando le sue fattezze naturali, doveva trasfigurarsi in luce di incorruttibilità, entrare in un’esistenza nuova e gloriosa, godere della piena liberazione e della vita perfetta”.

Un altro scrittore antico afferma: “Cristo, nostro salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, fu lui a restituire la vita alla Madre. Fu lui a rendere colei, che l’aveva generato, uguale a se stesso nell’incorruttibilità del corpo, e per sempre. Fu lui a risuscitarla dalla morte e ad accoglierla accanto a sé, attraverso una vita che a lui solo è nota”. Tutte queste considerazioni e motivazioni dei santi padri, come pure quelle dei teologi sul medesimo tema, hanno come ultimo fondamento la Sacra Scrittura. Effettivamente la Bibbia ci presenta la santa Madre di Dio strettamente unita al suo Figlio divino e sempre a lui solidale, e compartecipe della sua condizione.

Per quanto riguarda la Tradizione, poi non va dimenticato che fin dal secondo secolo la Vergine Maria viene presentata dai santi Padri come la novella Eva, intimamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta. Madre e Figlio appaiono sempre associati nella lotta contro il nemico infernale; lotta che, come era stato preannunziato nel protovangelo (cfr. Gn 3,15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, su quei nemici, cioè che l’Apostolo delle genti presenta sempre congiunti (cfr. Rm 5-6; 1Cor 15,21-26.54-57). Come dunque la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e il segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la comune lotta si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale, secondo le affermazioni dell’Apostolo: “Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria” (1Cor 15,54; cfr. Os 13,14).

In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità “con uno stesso decreto” di predestinazione, immacolata nella sua concezione, vergine illibata nella sua divina maternità, generosa compagna del divino Redentore, vittorioso sul peccato e sulla morte, alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio, e fu innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli. (Pio XII, Muneficentissimus Deus, AAS 42 [1950], 762-762. 767-769)



Si elevi, o Padre, a favore del tuo popolo la preghiera della

Madre di Dio,

che, se per la nostra condizione mortale

ha dovuto abbandonare questa vita,

si allieta ora, gloriosa e potente,

presso il tuo trono.

(Messale Ambrosiano, Milano 1976: Assunzione della B.V.M. Vigilia, Orazione a conclus. liturg. parola)



Cari fratelli e sorelle,

celebriamo quest’oggi la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Si tratta di una festa antica, che ha il suo fondamento ultimo nella Sacra Scrittura: questa infatti presenta la Vergine Maria strettamente unita al suo Figlio divino e sempre a Lui solidale. Madre e Figlio appaiono strettamente associati nella lotta contro il nemico infernale fino alla piena vittoria su di lui. Questa vittoria si esprime, in particolare, nel superamento del peccato e della morte, nel superamento cioè di quei nemici che san Paolo presenta sempre congiunti (cfr Rm 5, 12. 15-21; 1 Cor 15, 21-26). Perciò, come la risurrezione gloriosa di Cristo fu il segno definitivo di questa vittoria, così la glorificazione di Maria anche nel suo corpo verginale costituisce la conferma finale della sua piena solidarietà col Figlio tanto nella lotta quanto nella vittoria.

Di tale profondo significato teologico del mistero si fece interprete il Servo di Dio Papa Pio XII nel pronunciare, il 1 novembre 1950, la solenne definizione dogmatica di questo privilegio mariano. Egli dichiarava: "In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità con uno stesso decreto di predestinazione, Immacolata nella sua Concezione, Vergine illibata nella sua divina maternità, generosa Socia del Divino Redentore, che ha riportato un pieno trionfo sul peccato e sulle sue conseguenze, alla fine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, ottenne di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, vinta la morte, come già il suo Figlio, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria del Cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli" (Cost. Munificentissimus Deus: AAS 42 [1950], 768-769).

Cari fratelli e sorelle, assunta in cielo, Maria non si è allontanata da noi, ma ci resta ancor più vicina e la sua luce si proietta sulla nostra vita e sulla storia dell’intera umanità. Attratti dal fulgore celeste della Madre del Redentore, ricorriamo con fiducia a Colei che dall’alto ci guarda e ci protegge. Abbiamo tutti bisogno del suo aiuto e del suo conforto per affrontare le prove e le sfide di ogni giorno; abbiamo bisogno di sentirla madre e sorella nelle concrete situazioni della nostra esistenza. E per poter condividere un giorno anche noi per sempre il suo medesimo destino, imitiamola ora nella docile sequela di Cristo e nel generoso servizio dei fratelli. È questo l’unico modo per pregustare, già nel nostro pellegrinaggio terreno, la gioia e la pace che vive in pienezza chi giunge alla meta immortale del Paradiso. (Papa Benedetto XVI, Angelus 15 agosto 2007)

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