Abbazia Santa Maria di Pulsano LECTIO DIVINA DOMENICA «DELLA GUARIGIONE DEL SORDOMUTO»

DOMENICA «DELLA GUARIGIONE DEL SORDOMUTO»
XXIII del Tempo per l’Anno B
Marco 7,31-37; Isaia 35,4-7a; Salmo 145; Giacomo 2,1 5
Antifona d'Ingresso Sal 118,137.124
Tu sei giusto, Signore, e sono retti i tuoi giudizi:
agisci con il tuo servo secondo il tuo amore.
Canto all’Evangelo Cfr. Mt 4,23
Alleluia, alleluia.

Gesù annunciava l’evangelo del Regno
e guariva ogni sorta di infermità nel popolo.
Alleluia.

L’antifona d’ingresso e il canto all’evangelo preparano l’assemblea all’ascolto della Parola che produce Giustizia, Rettitudine e preparano a ricevere la Sua Misericordia. La lunga contemplazione delle Realtà Divine a partire dalla Parola introduce l’orante al supremo riconoscimento di Gesù unico giusto che con ogni suo giudizio dà il bene ai giusti.
"Loda il Signore, anima mia". Chiamati ancora ad unirci all'orante del salmo 145 il salmo responsoriale è il primo dei cinque salmi "alleluiatici" che chiudono il salterio) che esorta se stesso a lodare il Dio salvatore per le sue opere a favore degli uomini, oppressi, affamati, prigionieri, ciechi e storpi, conosciamo i «segni» che individuano il Messia: «difende gli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri, apre gli occhi ai ciechi, provvede all'orfano e alla vedova...».
L'evangelo di Marco presenta questa Domenica il Signore che si manifesta come Re messianico, mentre nella Potenza dello Spirito Santo opera una guarigione prodigiosa, e restituisce un uomo gravemente menomato, escluso dalla convivenza umana, alla condizione umana intesa dal divino Disegno.
Tema dominante della liturgia odierna sono infatti i miracoli: i sordi odono e i muti parlano, ma questi miracoli fisici sono posti come segno dei miracoli spirituali che ci rendono idonei all'ascolto e alla proclamazione della Parola di Dio.
Ricordiamo come il Signore all’inizio della sua Vita pubblica tra gli uomini dal Padre è battezzato con lo Spirito Santo e consacrato come Profeta per l'annuncio dell'evangelo, come Re per compiere le opere della Carità del Regno, come Sacerdote per riportare tutti al culto al Padre suo, e come Sposo per acquistarsi la Sposa d'Amore e di Sangue. Lungo il Tempo Ordinario, privilegiato tra tutti gli altri dell'Anno liturgico, noi celebriamo Cristo Signore Risorto, mentre Lo contempliamo in uno degli episodi della sua Vita tra gli uomini, quando insegna, opera, o prega.
L'episodio narrato nell'evangelo (senza paralleli in Matteo e Luca) rientra nel genere dei «racconti di guarigione»; Gesù è presentato come un taumaturgo, una delle identificazioni più diffuse della sua persona e anche uno degli aspetti del suo ministero più adatto a colpire le folle.
Gesù tuttavia non è stato solamente un guaritore; egli non opera prodigi per suscitare ammirazione o consenso. I miracoli nell'evangelo di Marco sono dei segni che attestano la presenza del messia nella comunità e si basano sulle profezie dell'A-T. (nella I lettura Isaia li annuncia fra le caratteristiche dei tempi messianici).

Esaminiamo il brano

v. 31 - «uscito dal territorio di Tiro»: Alcuni particolari del racconto ci possono aiutare a comprendere meglio il messaggio: Gesù proveniente da Tiro e Sidone si trova ormai da alcuni giorni nel territorio della Decapoli, una regione pagana fuori dai confini d'Israele.
Il Signore è rientrato dai confini di Tiro, dove era avvenuto lo straordinario e commovente incontro con la madre cananea o sira-fenicia, e sulla grande fede di lei le aveva guarito la figlia gravemente malata (Mc 7,24-30). In un itinerario tortuoso passa per Sidone, che sta al settentrione di Tiro, e giunge ad occidente del Lago di Gennesaret, nella Decapoli, che era una terra appartenuta inizialmente alle tribù di Manasse e di Gad, ma ormai quasi del tutto paganizzata.
v. 32 - «gli condussero un sordomuto»: kōphòn kaì mogilálon; il malato è un sordo (kōphòn) che per ulteriore disgrazia è anche balbuziente (mogilálon), la parola greca mogilálos alla lettera indica chi "parla stentatamente", con difficoltà, come se avesse un nodo alla lingua; forse non era sordo dalla nascita ma lo era diventato. Nella Bibbia è considerata una condizione tragica (Sal 38,14: «Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca») e descrive accuratamente la condizione di quelli che ancor oggi sono sordi dalla nascita. Tra le opere grandi e prodigiose che il Signore aveva promesso nell'era della redenzione, si attendevano le guarigioni dei ciechi, dei sordi, degli zoppi e del muti. Nella Bibbia questa parola greca la troviamo solo qui e nel testo dei LXX di Isaia 35,5-6. da questa coincidenza è logico pensare che l'evangelista Marco voglia sottolineare che Gesù è il Messia e che il miracolo che ora sta per narrare è rivelazione di Gesù-Messia.
La malattia ricorda anche le speranze degli esiliati che rimpatriavano in Is 35,5-6: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi... griderà di gioia la lingua del muto» (vedi anche Is 42,19). Il linguaggio usato riecheggia anche le parole rivolte da Dio a Mose che si dichiarava “impacciato di lingua” in Es 4,11: «Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore?». Questa allusione dà al racconto di Marco una dimensione cristologica: Gesù, come il Signore, ha il potere sull'udito e sulla parola.
«pregandolo»: Gli uomini che conducono il sordomuto hanno fede, e pregano Gesù di imporre la mano a quel malato, conoscendo il potere di guarigione che possiede, ormai noto dappertutto, anche in questa terra lontana (cf. 5,23).
La sordità e il mutismo, allora come ancora oggi, sono affezioni tra le più gravi, che procurano una tremenda sofferenza al malato, che resta tagliato fuori dalla comunicazione con il mondo degli uomini, e lo fa precipitare in quell’abisso anche interiore che è l'isolamento dal consorzio umano.
Per un Ebreo (ancora di più) si trattava di una vera tragedia anche religiosa, perché il sordo non poteva ascoltare la Legge santa di continuo proclamata e non poteva cantare le lodi al suo Signore.
«e lo pregarono di imporgli la mano»: Il greco per «pregare» (parakaléō) ha diverse connotazioni. Letteralmente significa «chiamare accanto», con il senso di richiedere un avvocato o difensore (vedi «Paraclito» in Giovanni) e per estensione «pregare, implorare, chiedere». La richiesta della guarigione fa parte del normale schema di un miracolo e il verbo parakaléō è usato in modo analogo in 1,40; 5,23 e 8,22. La guarigione mediante il tocco è un altro motivo ricorrente negli episodi miracolosi marciani (1,31.41; 5,23; 5,41; 8,22; 9,27).
vv. 33 - 34 - «Presolo in disparte, lontano dalla folla»: Questa è un'altra espressione marciana duplicata (o meglio triplicata): «presolo in disparte» (apolambánō), «lontano [in privato]» (kat᾽ idían), «dalla folla» (óchlos) . In tutti gli altri casi kat᾽ idían è usato per Gesù che si ritira in privato con i suoi discepoli (4,34; 6,31-32; 9,2.28; 13,3). Questo atto di Gesù viene citato a sostegno della teoria del segreto messianico, ma è soltanto qui e in 8,22-26 che Gesù prende da parte qualcuno per una guarigione.
Approfondiamo e segnaliamo altri particolari utili alla comprensione della pericope:
a) il sordomuto è condotto in disparte: l'espressione richiama l'abitudine che Gesù aveva di istruire i suoi discepoli in disparte (cf. 4,10.34; 6,31.31; ecc.). Quello che qui avviene è quindi qualcosa che interessa i discepoli che stanno con lui (cf. 3,13) e che stentano a capire quanto egli compie (cf. 6,51-52; 7,18). Da Lui noi riceviamo l’udito e la Parola: cioè ascoltiamo ciò che dobbiamo annunciare. Questa riflessione dovrebbe farci rivedere tanta nostra catechesi o… evangelizzazione!
b) Gesù opera attraverso gesti e parole: i lettori (ma non la folla, che non è presente) vengono a sapere che questa guarigione è accompagnata da sei azioni di Gesù: prendere da parte, mettere le dita negli orecchi, sputare, toccare la lingua, emettere un sospiro e infine il comando che opera la guarigione. Suggestiva è la riflessione che collega il lavoro della creazione (cfr. sei giorni nel racconto della libro della Genesi) ai sei gesti e la Parola al settimo giorno che è l’uomo che incontra e vive la pienezza con Dio.
c) Gesù alza gli occhi al cielo e geme: il verbo greco stenázō  che treaduce “un gemito indistinto”, manifesta la profonda compassione che il malato faceva a Gesù, è usato solo qui negli evangeli, ma lo ritroviamo in Paolo per esprimere l'attesa della salvezza (cf. Rm 8,22-23).
Dopo il miracolo della donna siro-fenicia (cf. 7,24-30 e 5,1-20 guarigione dell'indemoniato di Gerasa), ancora un prodigio per i pagani segno di quell'apertura universale a cui la Chiesa delle origini si abitua a fatica [cf. nel libro degli Atti la conversione dì Cornelio (c. 10) e il "concilio di Gerusalemme" (c. 15); le tensioni tra Pietro e Paolo (cf. Gal 2,1 lss); ecc.].
Gesù non è un mago o un taumaturgo che dà spettacolo eppure in quest'occasione dà l'impressione di agire come uno di loro abbinando ai gesti (porta l'ammalato in disparte, gli pone le dita nelle orecchie, gli pone la propria saliva sulla lingua) parole strane.
Per la nostra comprensione occorre conoscere a fondo la narrazione biblica, e dato che si tratta di un gesto del tutto privato, è esclusa sia la stregoneria, sia la ciarlataneria, che si fanno in pubblico, con esibizionismo che attira altri clienti.
Gesù attraverso quei gesti insegna qualcosa alla sua comunità:
Egli prende per mano il sordomuto e lo porta in disparte, come farà con il cieco di Betsaida (8,23), gli pone le dita immacolate dentro le orecchie, poi con la sua saliva tocca la lingua dell'uomo. Questo proprio per mostrare che non guarisce con questi gesti. Infatti adesso con un gesto sacerdotale alza gli occhi al Padre suo nei cieli (Mt 14,19; Gv 11,41; 17,1 la Preghiera sacerdotale) e prega un'epiclesi per il malato, poi geme, sospira e pronuncia l'imperativo: Effata: trascrizione del verbo aramaico (la lingua materna di Gesù) 'eppatah (da ptah = aprire). È un imperativo aoristo (come non era prima ma dovrà essere per il futuro). Il termine aramaico è entrato presto, assieme al gesto di toccare le orecchie e la lingua, nel rito battesimale antico di Milano e di Roma.
«emise un sospiro»: i particolari del racconto di Marco descrivono vividamente e con arditezza i sentimenti del Maestro.
Il Signore spesso freme di indignazione, come qui, o di ira, e sempre in occasione sia del rifiuto con cui è accolto (Mc 8,12), sia di un male, come qui, sia della morte, come nel caso di Lazzaro (Gv 11,33.35.38). Si tratta sempre non di moti di collera incontrollata, bensì della sua acuta coscienza divina e umana del male degli uomini che ama, poiché il Male è il suo Nemico, dietro il male fisico o morale si nasconde in qualche modo la potenza demonica che cerca di tenere gli uomini schiavi nello spirito o nel fisico.
«Effatà»: dopo avere pregato, nella Potenza dello Spirito Santo parla al sordomuto in aramaico: effatà, che in traduzione evangelica significa "Apriti! ". Questa voce è conservata anche nel testo greco non per la sua forza magica (supposizione gratuita), ma per la sua efficacia rappresentativa e per la vivacità tipica del racconto marciano.
L'uso di espressioni straniere per gli incantesimi è un motivo frequente nei papiri magici e negli esorcismi, ma tali espressioni in genere hanno la forma di «abracadabra» incomprensibili. Qualunque sia la funzione del termine aramaico nella tradizione pre-marciana, Marco la rende intelligibile con la sua traduzione («Apriti!»), di modo che l'espressione serve da comando autorevole che libera l'uomo dalla sua infermità anziché servire da misterioso incantesimo magico.
Nell'ordine battesimale esiste ancora per i catecumeni il "rito dell'Effatà", che ha traversato i secoli.
I gesti di Gesù assumono quindi un ruolo sacramentale e vogliono produrre quella salvezza che è dono del cielo, di Dio. La Chiesa ha compreso l'insegnamento di Gesù e compie quei gesti sui candidati al battesimo; questo è anche il contesto di lettura ecclesiale del racconto miracoloso.
Celebrati  ora nella Chiesa, i miracoli di Cristo conservano tutta la loro attualità, in quanto parlano al cuore e alla nostra intelligenza spirituale e ci rivelano la presenza e l’azione di Dio nel mondo e in noi, oggi.
v. 35 - «E si aprirono...»: Il sordomuto riceve all'istante l'udito e si scioglie finalmente la sua lingua e può parlare correttamente.
Marco dice letteralmente che «l'udito» (akoaí) dell'uomo si è aperto, invece di usare óta, il termine che designa propriamente gli orecchi.
vv. 36 - 37 - «comandò loro...»: Il Signore gli ordina di non propalare il fatto (1,44; 9,8), proprio perché non vuole il clamore che solitamente si alza intorno al taumaturgo. Tuttavia il miracolo non può essere nascosto e i parenti e gli amici del sanato e la folla non poteva contenere l'entusiasmo e annunciano l'avvenuto come e dove possono, nella loro meraviglia crescente, che si esprime forse alludendo a Is 35,4-5, proclamando che Gesù opera bene qualunque fatto e dona di nuovo l'udito ai sordi e la parola ai muti.
«più essi lo proclamavano»: il «proclamare» (kērýssō) ha una connotazione religiosa ed è associato con il messaggio di Gesù riguardo a Dio e anche con il messaggio della Chiesa dopo la risurrezione riguardo a Gesù. In Marco la «proclamazione» è fatta da vari personaggi: Giovanni il Battista (1,4.7), Gesù (1,14-15.38-39), la gente che ha sperimentato l'effetto dei prodigi di Gesù (1,45; 5,20; 7,36), i discepoli (3,14; 6,12), la comunità sotto la persecuzione (13,10) e la comunità dopo la risurrezione di Gesù (14,9).
Il nostro battesimo e il dono dello Spirito ci fa idonei all'ascolto e alla proclamazione dell'Evangelo esattamente come è accaduto nel racconto di Marco per il pagano sordomuto. I miracoli narrati nell’evangelo sono la descrizione sensibile e la garanzia dei prodigi spirituali che il Signore compie ora nelle anime per mezzo dei sacramenti. Con essi, Dio ci dona non tanto un prolungamento ed un benessere per la vita temporale ma la vita eterna per l’anima e il corpo.
«Ha fatto bene ogni cosa»: Il linguaggio usato qui (kalōs pánta pepoíēken) riecheggia la versione LXX di Gen 1,31: «Dio vide quanto aveva fatto (epoíēsen), ed ecco, era cosa molto buona (kalà lían)». L’intervento di Gesù restaura i guasti del creato ed anticipa l'era messianica.
La conclusione del racconto con l’acclamazione della folla che si risolve nell'entusiasmo, ma non in un'adesione di fede ci impone tuttavia una riflessione personale: possiamo essere "sordi e muti" alla Parola di Dio e dirci cristiani? Non ci lasciamo spesso abbagliare da ciò che è solo esteriorità e dimenticando che Dio «preferisce i poveri nel mondo per farli ricchi nella fede ed eredi nel regno» (cfr. II Lett) testimoniamo solo il nostro egoismo?
Facciamo nostra quindi la preghiera di colletta perché si sciolgano le nostre lingue incapaci di pregarti e possiamo così cantare le tue meraviglie:

II Colletta

O Padre, che scegli i piccoli e i poveri
per farli ricchi nella fede
 ed eredi del tuo regno,
aiutaci a dire la tua parola di coraggio
a tutti gli smarriti di cuore,
perché si sciolgano le loro lingue
e tanta umanità malata,
incapace perfino di pregarti,
canti con noi le tue meraviglie.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...





lunedì 31 agosto 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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