don Alberto Brignoli"Una fede esclusiva crea esclusioni"


XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (27/09/2015)
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48 
La seconda lettura di oggi ci offre un assist talmente meraviglioso che è un peccato non "andare in goal", ovvero non farvi una profonda riflessione a partire da quella che noi attenti alla ricaduta, sull'ambito sociale, della Parola di Dio prendiamo come una pietra miliare, ovvero la frase del grande teologo Karl Barth: "In una mano il Vangelo e nell'altra il giornale". Le notizie che
quotidianamente ci parlano dello sfruttamento di un nugolo di lavoratori salariati da parte di un'esigua ma potente manciata di ricchi (pensiamo anche solo al drammatico fenomeno del caporalato in diverse zone rurali del nostro paese) trova un profetico riscontro nel Vangelo di Gesù così come l'apostolo Giacomo è stato abile di annunciarlo, dando un'occhiata ai crimini contro la giustizia sociale del suo tempo: "Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente".
Nulla di più attuale: e aldilà delle invettive che Giacomo lancia ai ricchi nei versetti che abbiamo letto - che possiamo condividere o meno, credo anche in base alle dimensioni del nostro portafoglio, ma che certamente non possono lasciarci indifferenti, non foss'altro per la loro pesantezza e drammaticità - ciò che rende la prima lettura di oggi fortemente attuale non è solo la cronaca, ma è pure l'attenzione alla dottrina sociale della Chiesa più volte e in differenti opportunità richiamata da Papa Francesco, soprattutto quando egli denuncia la cosiddetta "economia dello scarto", ovvero quell'economia perversa che ci chiede di rassegnarci all'esclusione sociale degli ultimi e dei poveri, e che basa il proprio sistema sul profitto ad ogni costo, anche a costo di sottopagare lavoratori che cercano di guadagnarsi il pane quotidiano in maniera onesta con una eccessiva sudorazione della loro fronte; eccessiva soprattutto rispetto a ciò che è la retribuzione loro offerta, che nel caso dei braccianti agricoli sfruttati dal caporalato giunge, ad esempio, a salari di 1,60 € all'ora, nemmeno un quinto del minimo sindacale. A fronte di dodici ore di lavoro al giorno, che in molti casi (e l'abbiamo ascoltato varie volte quest'estate) termina con la morte del lavoratore o della lavoratrice: e non dimentichiamoci che non stiamo parlando di immigrati o di profughi. Stiamo parlando di padri e madri di famiglia italiani...sono loro il frutto dell'economia dello scarto, di questa economia escludente basata, appunto, sull'esclusione e sull'esclusiva: quell'esclusiva del profitto che certi ricchi (quali ricchi? Giacomo non specifica, parla di loro in generale...) pretendono di avere su tutto e su tutti.
No, di "pretese di esclusiva" non si vive, almeno nella logica del Vangelo. E stiamo ben certi che questo non riguarda solo le relazioni sociali basate sull'economia, ma la stessa logica dell'annuncio, il fondamento della nostra fede, ovvero il nostro rapporto con Dio. Finché c'è gente che ha la pretesa di avere l'esclusiva sull'economia, escludendo i più poveri dai giochi di potere e di denaro, nulla di nuovo sotto il sole...: ci siamo talmente assuefatti alla corruzione che lo scandalo di un operaio sottopagato forse nemmeno più provoca la nostra sdegnata reazione. Ma come la mettiamo, quando è la nostra fede ad essere corrotta al punto da voler pretendere di avere l'esclusiva su Dio? Come la mettiamo con coloro che si sentono talmente investiti dello Spirito di Dio da ritenere che loro, e nessun altro, siano in grado di profetizzare nel nome di Dio? Come la mettiamo con coloro che si sentono talmente attaccati al Maestro da ritenere - peraltro senza riuscirci - di essere nelle condizioni addirittura di "scacciare i demoni" impedendo a chiunque altro di lottare contro lo spirito del male?
Sono, queste, le conseguenze cui giungono i discepoli di Gesù dopo una serie di episodi - li ricordiamo bene - che mettono in evidenza una certa distanza, anzi oserei dire una forte incomprensione tra loro e il Maestro proprio sull'identità di Gesù. Non riuscivano proprio ad accettare che Gesù fosse un Messia differente da quello che essi avevano in mente e che tutto il popolo, forse, si attendeva; ovvero, il Messia liberatore, forte e potente, politicamente e militarmente schierato a difesa dell'identità di un popolo che, invece, faticava a riconoscere la potenza di Dio nei miracoli che Gesù compiva, ma soprattutto nella forza della sua Parola e del suo messaggio. E allora, onde evitare di perdere anche la loro identità, di vedere che il cammino fatto sinora con il Maestro finisse a rotoli, innescano una serie di atteggiamenti volti a dimostrare agli altri che questo Maestro sarà anche diverso da come ce lo si aspetta e per certi versi incomprensibile, ma è comunque "loro", è comunque "un'esclusiva", è comunque "appannaggio" del loro gruppo. E guai a chi lo porta via loro! Guai a chi si permette di dirsi "di Cristo" senza essere "dei Dodici"! Guai - qualcuno ci direbbe oggi - a dirti cristiano se non vivi il cristianesimo come lo viviamo noi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra comunità, nella nostra parrocchia: o vivi la fede come diciamo noi, o sei fuori dalla salvezza!
No, non ci siamo: il messaggio evangelico non crea esclusi perché non è esclusiva di nessuno. Il messaggio evangelico non s'identifica con un gruppo: s'identifica con Gesù Cristo, ed è sufficiente accogliere lui con la semplicità degli ultimi e dei piccoli, con la trasparenza di un bicchiere d'acqua dato con amore, per dirci cristiani. Guai non a coloro che vivono la fede cristiana al di fuori della logica "del gruppetto", ma a coloro che scandalizzano i più deboli offrendo loro un'immagine di Gesù distorta, discriminatrice, esclusiva ed escludente.
Le immagini usate da Gesù nel Vangelo di oggi per definire la ricompensa di chi offre agli altri quest'immagine distorta della fede sono drammatiche, drastiche; non ci devono mettere paura, devono piuttosto riportarci alla genuinità di una fede in cui le nostre attività, il nostro procedere e i nostri giudizi (mani, piedi ed occhi) siano il più possibile simili a quelli di Dio, che accoglie tutti con la semplicità dei piccoli, senza escludere nessuno.
Se non accettiamo che Dio sia così, è meglio lasciar stare e darci un taglio netto!
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