Don Giorgio Scatto "Il campo di Dio è il mondo intero "

26° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Letture: Nm 11,25-29; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48
MONASTERO MARANGO CAORLE(VE)
1«Abbiamo visto uno che cacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
In questa nuova pericope il problema non è più la
preminenza di un discepolo su un altro (Chi è il più grande?), ma la preminenza di un gruppo sugli altri.
I discepoli hanno visto uno che faceva del bene, ma non erano d’accordo con lui, al punto di volerlo fermare, con il pretesto che non apparteneva al loro gruppo, che rivendicava invece una specie di esclusiva nei riguardi di Gesù. Si tratta, anche in questo caso, di preoccupazioni di potere, di grandezza, di prestigio. Permane ancor oggi in molti settori della Chiesa la falsa cultura dell’essere primi, escludendo quelli che non sono ritenuti degni o idonei per il progetto del Regno di Dio.
Gesù disse: «Non glielo impedite».
Viene così sottolineata la differenza tra la Chiesa e una setta. Certo, non tutti quelli che fanno del bene possono essere semplicemente inclusi nella cerchia dei discepoli – sarebbe come un’annessione ingiusta - , ma è anche vero che il mondo non può essere diviso in “eletti” e “dannati”, “quelli di dentro” e “quelli di fuori”. Il Vangelo ci ha abituati a non tracciare dei contorni precisi. Penso ad esempio alla fede di Giairo, il capo della sinagoga (Mc 5,36) o alla fede della donna cananea (Mc 7,29) o al centurione romano, che per primo riconosce in Gesù il Figlio di Dio (Mc 15,39). Penso a Nicodemo e a Giuseppe d’Arimatea, che erano discepoli di Gesù ma di nascosto, per timore dei Giudei (Gv 19,38). Ci sono quelli che appartengono alla comunità dei discepoli, e che ben presto lo tradiranno e lo rinnegheranno; e ci sono quelli che non sembrano affatto uomini di fede, almeno di fede cristiana, e che, posti dinanzi alla persona di Gesù, nella sua trasparente bellezza e verità, aderiscono a lui con totale e intima disponibilità del cuore, pur senza condividere l’appartenenza ad una comunità di credenti.
Questa apertura di Gesù è la premessa per liberare le nostre comunità dal settarismo gretto e introverso. Si può essere ai margini dell’appartenenza ufficiale alla Chiesa senza essere lontani da Gesù. Ciò che ci deve preoccupare non è la conquista di nuovi iscritti, l’espansione numerica delle comunità, o il rafforzamento delle nostre istituzioni, ma sapere se abbiamo l’occhio sufficientemente pulito, che sappia riconoscere la luce, ovunque essa splenda.

«Chi non è contro di noi è per noi».
C’è da chiedersi se siamo aperti e disponibili a riconoscere il bene compiuto largamente al di fuori dei nostri angusti recinti. Il bene è seminato sempre dalla mano esperta di Dio, che agisce nella potenza del suo Spirito. Dio opera dentro e fuori la Chiesa, perché campo di Dio è il mondo intero. Spesso accade invece che tra cristiani si utilizzi il nome di Gesù per affermare una pretesa di predominio e di esclusività sugli altri.
Quanta pazienza, quanto rispetto, deve avere invece una comunità cristiana nei confronti di quelli che, pur non facendone parte ufficialmente, tuttavia realizzano già, nelle loro scelte di vita, nella loro accoglienza dei poveri, nel loro impegno a favore della pace, della giustizia, della cura del creato, una loro adesione al messaggio di Cristo! Anche il dono di un solo bicchier d’acqua non passa inosservato agli occhi di Dio.

Piuttosto, può accadere che, proprio chi si ritiene discepolo della prima ora, vicino a Gesù più degli altri, possa diventare motivo di scandalo per i “piccoli”.
Lo “scandalo”, nel senso evangelico, è ciò che costituisce un pericolo per la salvezza del fratello.
E i “piccoli che credono” sono i fratelli più umili e semplici. Quelli che anche noi consideriamo “immaturi” nella fede. Sono proprio loro, i più insignificanti, i meno interessanti, quelli che vivono ai margini, coloro che devono essere particolarmente affidati alla comunità. Il Signore ce ne manda in abbondanza tutti i giorni, ponendoci così nella occasione di essere molte volte noi stessi motivo di scandalo. “La fede dei semplici è un bene tale che nessuno può rapire impunemente” (R. Schnackemburg).

Gesù, come ce lo presenta Marco in questo brano evangelico, dà due direttive fondamentali ai discepoli: devono prestare attenzione a quelli che sono al di fuori della comunità e ai più deboli all’interno di essa. Non c’è opposizione tra “dentro” e “fuori”. Non ci si chiede se la priorità è andare nel mondo, accogliere prima gli stranieri, dialogare con i lontani, oppure occuparsi prima dei “nostri”, dei poveri più vicini a noi, degli increduli che abbiamo in famiglia. La linea di demarcazione non è geografica, o temporale, ma è ordinata alla persona di Gesù: quelli che cacciano i demoni “in nome di Cristo”, senza essere del gruppo ufficiale; coloro che danno ai discepoli un bicchiere d’acqua per il fatto che “sono di Cristo” e, infine, “i più piccoli” tra quelli che credono in Cristo, tutti sono oggetto della sollecitudine di Dio.
E’ nel nome di Cristo che le frontiere che spesso ci separano sono aperte e attraversabili.

«Se la tua mano ti è occasione di scandalo, tagliala».
Forse sarebbe più comodo prendere alla lettera le parole di Gesù: tagliare con decisione il marcio, e il problema scompare.
Ma Gesù può invitarci a qualcosa di più impegnativo: a conservare le mani in perfetta efficienza, allo scopo di usarle per qualcosa d’altro che non sia il solito arraffare, tenere, accumulare; a tenere in allenamento i piedi, per percorrere strade di perdono e di riconciliazione, che mai vorresti percorrere; ad avere la vista bene in ordine in modo di non chiudere più gli occhi dinanzi al dramma di una umanità che mostra tutto il suo dolore e la sua disperazione.
Perdere la vita, nell’ordine della mentalità dominante, è riconoscere che ciò che costituisce la nostra forza, la nostra capacità, la nostra ‘pienezza’ sulla terra, è esattamente ciò che ci impedisce di entrare nella vita autentica.

Giorgio Scatto      

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