Don Giorgio Scatto"La croce è il "luogo" dove possiamo conoscere Dio"

24° Domenica del Tempo Ordinario (anno B)
Letture: Is 50,5-9a; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
La croce è il "luogo" dove possiamo conoscere Dio
MONASTERO DI MARANGO CAORLE (VE)
1<Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo>.
L'episodio che iniziamo a leggere costituisce uno dei vertici del Vangelo di Marco e si trova al centro esatto della narrazione, quasi a segnare uno spartiacque tra il prima e il dopo.

Gesù "esce" verso Cesarea, la città costruita ai piedi dell'Hermon da Erode Filippo II come omaggio all'imperatore di Roma. Era un modo per attirarne i favori: un dono ambizioso per garantire il più a lungo possibile il proprio potere. Proprio in questo luogo, una terra abitata da pagani, Gesù viene riconosciuto da Pietro come Messia.
Il titolo, già presente nelle vicende dell'antica dinastia davidica, significa letteralmente "unto, consacrato dal Signore", ma in realtà viene inteso come "guida vittoriosa, condottiero indomito, pastore che vigila sull'intero popolo di Israele". È in questo modo che anche Pietro intende il termine.

Per la strada interrogava i suoi discepoli: <La gente chi dice che io sia?>. Non si tratta di una strada tra le molte. Essa ha come destinazione Gerusalemme, dove Gesù verrà consegnato e crocifisso. La domanda troverà una adeguata risposta solo se quest'ultima verrà collocata nella direzione della via intrapresa da Gesù. C'è una tensione dialettica tra Cesarea e Gerusalemme, tra la via che incoraggia l'esaltazione del potere e la via di un amore che si fa obbedienza e servizio.
Allora, chi è Gesù? Un certo numero di risposte il lettore del vangelo le conosce fin dalle prime pagine del racconto. Gesù è "il Cristo" (1,1), "il Signore" (1,3); è il "Figlio amato" (1,11). Anche gli spiriti impuri lo conoscono: " Tu sei il Santo di Dio" (1,14). La folla che segue Gesù non ha risposte chiare, ma vedendo i prodigi da lui compiuti si interroga sulla sua identità (1,22). Per gli scribi invece Gesù è un bestemmiatore (2,7), un uomo posseduto da Beelzebul  (3,22), uno che trasgredisce la legge di Dio fino al punto di essere meritevole di morte (3,6). Quanto a lui, egli si definisce come "Figlio dell'uomo" (2,10).

Allora, chi è davvero Gesù?.
Per i suoi conterranei rimane "il falegname, il figlio di Maria", quello di cui si conoscono fratelli e sorelle (6,3). Per Erode Antipa, Gesù è addirittura il Battista tornato in vita per ricordargli le sue nefandezze. Per altri è Elia, venuto per annunciare gli ultimi tempi.
Tutte le risposte, anche quelle riferite dai discepoli, appartengono al passato, alla grande tradizione della Legge e dei profeti. Ma contengono anche una grande attesa: una speranza di compimento delle promesse di Dio. Gesù è colui che può realizzare l'attesa di Israele.
<Ma voi, chi dite che io sia?>. Pietro gli rispose <Tu sei il Cristo>. Equivale a dire: "Tu sei il Messia regale che viene per liberare il suo popolo dall'oppressione e stabilire un regno terreno".
Gesù come Cesare! Una regalità che si afferma allo stesso modo dei potenti di questo mondo: con la forza delle armi e con l'astuto intreccio delle alleanze.

<E ordinò di non parlare di lui a nessuno>.
Il verbo usato esprime fermezza, ma anche minaccia e biasimo. Esattamente come quando Gesù si rivolge agli spiriti impuri per farli tacere o cacciarli.
Perché tale durezza?
Il testo propone come risposta il racconto della passione: il destino di Gesù non è una vittoria regale, mondana, ma l'obbrobrio della croce. Il Messia deve soffrire, essere rigettato, essere ucciso e risuscitare tre giorni dopo.
Perché "è necessario" tutto questo?
Perché l'amore compassionevole di Dio, la sua vittoria sul mondo e sulle sue potenze, si rivela pienamente nella croce: essa è il "luogo" dove possiamo conoscere Dio.
Dio non reprime l'uomo con la sua potenza, ma sceglie di consegnarsi alla violenza per mostrare come essa sia la vera alienazione dell'uomo, la sua follia. L'immagine del Figlio dell'uomo sofferente è liberazione dall'idolo del potere e dell'affermazione di sé; è la rappresentazione della vita che ha senso solo se offerta per amore. Ma la sua non sarà una vita sconfitta, perduta. La morte non avrà l'ultima parola su Gesù, che Dio farà rialzare dai morti.

<Pietro si mise a rimproverarlo>.
La concezione messianica di Pietro non prevede un Messia sofferente e morente. La sua memoria lo riporta ai tempi di Davide e di Salomone. La sua fervida immaginazione politica lo mette a confronto con i cesari e i loro imperi.
Pietro  "comanda con fermezza" a Gesù di cambiare strada, addirittura lo "minaccia": non si può stare alla sequela di un Messia che va a morire! Gesù ricambia con le stesse dure parole, chiama "satana" l'amico, che vorrebbe distoglierlo dalla sua missione. Pietro è un inciampo, un ostacolo: non deve mettersi davanti a Gesù, ma è necessario che "passi dietro", che stia alla sequela del Maestro, anche quando questa si inoltra su sentieri irti di difficoltà e carichi di ostacoli.
Il racconto di Marco presenta a questo punto una riflessione sull'incomprensione di fondo dei discepoli. Dopo tanto tempo essi - e non solo Pietro - continuano a pensare alla maniera umana. Non hanno appreso il pensiero e la lingua di Dio. Allo stesso modo anche noi: "c'è un modo demoniaco di confessare Cristo, di ridurre la sua identità ad un titolo religioso, e a ciò che questo implica in termini di autorità e di potenze umane" (Élian Cuvillier, Evangelo secondo Marco, Magnano 2011, pag. 240).

<Se qualcuno vuole venire dietro a me...>
La sequela di Gesù suppone due condizioni preliminari: "rinnegarsi", e "prendere la propria croce".
Seguire Gesù comporta la rinuncia a glorificare se stessi, a contare sulle proprie forze, a cercar sostegno nella propria identità mondana. Significa rinunciare ad appoggiarsi su ciò che si è, su ciò che si sa, sul posto che si occupa. Seguire Gesù implica una rottura con la logica di questo mondo.
"Prendere la propria croce" significa seguire Gesù con la propria debolezza, la propria miseria, il proprio vuoto. Prendere la propria croce è dire assieme a San Paolo: <Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Cristo> (Rm 6,6).
Perdere l'immagine che si ha di se stessi nel nome di un Messia che a sua volta ha perso ogni valore agli occhi del mondo, è per molti pura follia, autentica stoltezza.
Per chi desidera trovare la vita autentica, la "parola della croce" è "sapienza, giustizia, santificazione e redenzione" (1Cor 1,30).

Giorgio Scatto

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