Don Paolo Scquizzato“Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili,"

OMELIA 26a Domenica Tempo Ordinario. Anno B
«Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”. 39Ma Gesù disse: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40Chi non è contro di noi è per noi. 41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio
nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. 43Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. [44]. 45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. [46]. 47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue». (Mc 9, 38-48)


Il Vangelo è sconcertante: la salvezza della vita può dipendere dall’aver dato un bicchiere di acqua nel nome di Gesù (v. 41). Come d’altronde nell’aver dato da mangiare a chi è affamato, vestire chi è nudo, ospitare chi è forestiero, visitare chi è ammalato e in carcere, ecc. (cfr. Mt 25, 31ss). Gesti incredibilmente laici, verrebbe da dire: Dio non fa dipendere la salvezza da fattori religiosi, nemmeno dalla relazione con lui e tantomeno dall’appartenenza ad una Chiesa! Il Vangelo su questo è inequivocabile!

Ma cosa significa allora, compiere un gesto a favore del bene dell’altro, nel nome di Gesù? (cfr. v.41). Non certamente col nome di Gesù sulle labbra, o usando il nome di Cristo come sponsor di una certa attività caritativa dell’azienda Chiesa. Riguarda semplicemente l’intenzione. Non è secondaria l’intenzione che mettiamo nel compiere le proprie azioni. Ci si può dar da fare ad accogliere orde di profughi che sbarcano sulle coste, semplicemente per fomentare il business creato sulla pelle di poveri disgraziati. Quanto male si può fare, facendo il bene.
‘Fare il bene’, non vuol dire ancora nulla di per sé, anzi è semplice ideologia. Non esiste il bene come idea, ed è devastante quando lo si vuol credere ed affermare. Esiste solo il bene fatto dal singolo ad un altro singolo, concretamente, perché questi possa vivere in pienezza. Assolutizzare l’idea del bene, porterà sempre a distruggere l’uomo concreto purché quell’idea venga affermata. Tutti i sistemi dittatoriali hanno perseguito proprio questa ideologia diabolica. Per cui Cristo sarà sempre l’argine e la norma perché il bene sia sempre fatto per la vita, per la crescita, per la verità dell’uomo.
Qui il Vangelo vuole metterci in guardia proprio da questo pericolo: si può fare ‘il bene’ senza tener conto del bene dell’altro! Questo è il vero scandalo (v. 42). Non tutto il bene fa bene insomma.
La luce è una bella cosa, ma troppa luce acceca!
Quanta sofferenza si può perpetrare dietro alla frase: ma io l’ho fatto per il tuo bene… O peggio ancora: te l’ho detto per il tuo bene. A volte il vero bene sta nell’astenersi dall’agire per una determinata persona, ‘non fare’. E ci sono verità che non vanno dette, perché il dirlo non fa il bene dell’altro, perché l’altro non è ancora pronto per reggere quella verità, perché le conseguenze sarebbero più pesanti da sopportare che il bene apportato da quella verità. Non tutto va detto, ma solo quello che permette all’altro di vivere in pienezza.

Mi spaventa sempre di più una certa Chiesa che fa cadere come un macigno la “verità” sulla testa delle persone, senza domandarsi se sono in grado di portarla, se hanno la forza per poterla reggere: «Egli rispose: “Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito”» (Lc 11, 46).
Una Chiesa che usa la verità come strumento per ergersi a controllore della coscienza altrui è sempre molto pericolosa; la Chiesa è stata istituita per servire, aiutando gli uomini e le donne di ogni tempo a crescere sino al loro compimento, a costruire la propria statua, come dicevano gli antichi.
Ora è interessante pensare che per ottenere una statua, l’artista non deve aggiungere nulla. Il suo genio, la sua intuizione, la sua capacità sta piuttosto nell’asportare il superfluo, ossia tutto ciò che impedisce alla statua che ‘c’è già’ dentro il blocco di marmo, di poter emergere.
La questione sta nel venire alla luce di noi stessi, di riemergere, di rinascere, di risorgere… E questo aiutandoci ad asportare ciò che ci impedisce questo cammino splendido.

È ciò che Gesù invita a fare nei versetti conclusivi del Vangelo di oggi.
Mano, piede e occhio. Un trittico simbolico per indicare tre atteggiamenti dell’uomo che possono compromettere, se coltivati, il proprio divenire.
La mano rappresenta il possesso. Pensare di vivere impossessandosi della realtà, accumulando e fagocitando cose e relazioni, alla fine è solo principio di morte.
Il piede rappresenta il cammino per raggiungere un bene ritenuto capace di realizzarci. Siamo tutti in cammino, ma verso dove? La questione è avere una meta, un fine buono verso cui muoversi e per cui commuoversi, altrimenti non si è viaggiatori, ma semplicemente vagabondi.
L’occhio si poserà sempre là dove prima è giunto il cuore, perché là sarà anche il suo tesoro (cfr. Mt 6, 21). A quale tesoro abbiamo attaccato il nostro cuore? Non facciamoci illusioni, non avremo occhi che per quello.
Ebbene, Gesù invita a buttare via – nella Geenna, l’immondezzaio di Gerusalemme – tutto ciò che ha il sapore di morte, ciò che non ci serve per compierci, ciò che ci inganna, ciò per cui sprechiamo tante energie, magari anche anni, ma che alla fine non ci ha aiutato a compiere la nostra opera d’arte, con la triste sorpresa alla fine della nostra vita, di avere solo abbozzato quella statua che avevamo il compito di portare a compimento. E in definitiva, una vita abbozzata, significa in fondo, non aver vissuto affatto.

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