JUAN J. BARTOLOME sdb LECTIO D."E voi, chi dite che io sia?"

13 settembre 2015 | 24a Domenica - Tempo Ordinario B | Lectio Divina
LECTIO DIVINA: Mc 8,27-35
Lungo la strada di Gerusalemme, Gesù occupa il tempo per entrare in intimità con i suoi discepoli, facendo scoprire, poco a poco, la ragione del suo viaggio, il senso della sua avventura personale. Per rimanere da solo con loro, all'inizio di questo viaggio, li porta fuori dai confini della Galilea (Mc 8,27). Lì sono soli con lui. Non potranno evitare il dover mangiare, soli, seduti di fronte a lui. Il viaggio di Gesù inizia con un esame del discepolo. Ciò che pensano gli altri, sarà per lui la cosa minore (Mc 8,28). E', in realtà, la scusa perché i suoi si
pronunzino senza tanta paura. Però non perché è pedagogico, è meno determinato. Con un "E voi, cosa?" (Mc 8,29) si inizia un lungo viaggio con Gesù come compagno e come meta.
La confessione di Pietro è stimolata, allora, dalla domanda di Gesù: è una fede iniziata, strappata, per iniziativa di Gesù. Se non fosse stato affrontato, chissà se avesse osato essere credente. Però non basta esserlo. Solo chi sa chi è Gesù, potrà conoscere come lo sarà. La fede manifestata, per ortodossa che sia, non è la cosa definitiva: oltre a confessare ciò che è Gesù, bisogna far sì che lo sia come deve. E la cosa cattiva è che essere buon credente (Mc 8, 30) non allontana, senza dubbio, il pericolo di convertirsi in un buon demonio. Tutto dipende se si accetta il progetto di Dio (Mc 8,33).

In quel tempo, 27Gesù e i suoi discepoli erano diretti a Cesarea di Filippo; lungo il cammino, Gesù interrogò i suoi discepoli:
"Chi dice la gente che io sia?"
28Gli risposero:
"Alcuni, Giovanni Battista; altri Elia e altri uno dei profeti".
29E disse loro:
"E voi, chi dite che io sia?"
Pietro gli rispose:
"Tu sei il Messia."
30E proibì loro di non dirlo a nessuno.
31E cominciò ad istruirli:
"Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, deve essere condannato dagli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi, essere ucciso e resuscitare il terzo giorno".
32E lo spiegava con chiarezza. Allora Pietro lo prese in disparte e cominciò a rimproverarlo. 33Gesù si voltò e, davanti ai suoi discepoli, rimproverò Pietro:
"Lontano da me, Satana! Tu pensi come gli uomini, non come Dio"!
34Rivolto alla gente ed ai suoi discepoli, disse:
"Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Chiunque vorrà salvare la sua vita la perderà; però chi perde la sua vita per me e per il Vangelo la salverà".

1. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice
La scena, una conversazione di Gesù con i suoi discepoli, presenta tre parti ben differenziate. Dopo una breve localizzazione (Mc 8,27a), Gesù apre un dialogo che si chiude con la confessione di Pietro e l'ordine di silenzio (Mc 8,27b-30). La doppia domanda di Gesù (Mc 8,29) centra la conversazione nella sua persona: è significativo che, nella prima risposta, il gruppo si faccia portavoce dell'opinione della gente, mentre, nella seconda, Pietro lo sia del gruppo. Anche se solo Pietro indovina nella confessione, tutti devono conservare il silenzio (Mc 8,30).
Alla professione di fede messianica dei suoi, risponde Gesù insegnando loro, per la prima volta, il cammino del figlio dell'uomo (Mc 8,31-32a), un'autentica via crucis. Poche volte Gesù ha parlato in pubblico con tanta chiarezza, annota il redattore; ciò rende più comprensibile la reazione di Pietro (Mc 8,32b-33). Gesù non può permettere nemmeno una resistenza al suo destino; rimprovera Pietro, pubblicamente e severamente, con il peggiore degli epiteti che Gesù abbia mai utilizzato in tutto il vangelo; poiché opporsi al destino di Gesù è opporsi a Dio.
All'annuncio, il primo, di Gesù della sua prossima morte (Mc 8,31-32a), Pietro ha reagito negandosi di accettarlo (Mc 8,32b). E Gesù rinnega, a sua volta, il discepolo che da credente si è convertito in tentatore (Mc 8,33). La desautorizzazione da primo confessore è tagliente e pubblica, davanti agli altri discepoli. Perché opporsi al destino di Gesù, amato da Dio, non è un affare privato. Pubblica deve essere anche la catechesi sulla sequela di Gesù (Mc 8,34), e senza mezzi termini: la croce è inevitabile. Non solo per Cristo, lo sarà anche per chi convive con lui. Chi lo segue dall'inizio deve seguirlo fino alla fine: senza passione non c'è Cristo, né ci saranno tantomeno cristiani.
In modo inaspettato, senza sapere da dove viene, appare la folla che si unisce ai discepoli (Mc 8,27). Il narratore vuole che Gesù allarghi il gruppo degli ascoltatori per la sua catechesi sulla croce (Mc 8,34a); allarga, quindi, l'uditorio, quando ingrandisce le esigenze. Anche se l'insegnamento di Gesù si centra sulla sequela e le sue conseguenze, l'insegnamento non si restringe ai discepoli. La gente non deve ignorare quanto costa seguirlo; però dal discepolo spererà che sia più disponibile, poiché più preparato. Dunque affinché non lo segua alla cieca (Mc 8,34b), Gesù gli ha già anticipato il finale (Mc 8,32).
Nonostante ciò, quando si tratta di croce, l'opportunità della sequela raggiunge tutti senza distinzione. Gesù proclama pubblicamente le condizioni per essere suo discepolo: chiunque può esserlo, purché ne assuma le esigenze. Che abbia riunito attorno a lui una folla deve servire di monito per i suoi seguaci troppo fiduciosi. Convivere con lui non basta, né camminare dietro a lui, né andare a predicare nel suo nome e con la sua autorità, come fino ad allora. Se coloro che condividono vita e fatiche non sono disposti a condividere la sua fine, non sono degni di seguirlo. La condizione è nuova e la sequela, ora, optativa. Prendere la croce e seguirlo non sarà solo per i suoi discepoli, ma per coloro che si dichiarano pronti. Chi non è disposto a pagare il prezzo, non sarà discepolo pur impegnandosi molto a seguirlo.

2. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

La confessione di Pietro segna un momento chiave nella vita pubblica di Gesù ed è l'inizio di una tappa nuova nel suo ministero, caratterizzata dal suo sforzo per educare i suoi discepoli. Per un certo tempo aveva proclamato il regno di Dio per i villaggi della Galilea e sanato infermi; è naturale che la gente, che lo aveva potuto incontrare e che lo aveva ascoltato, si fece un'idea di lui. Gesù volle conoscere cosa si diceva di lui; però, invece di interrogare direttamente la gente, fece la domanda ai discepoli: in questo modo, indicava loro un compito; dovevano conoscere ciò che il popolo pensava del maestro. Gesù li porta lontano dalla gente e fuori dalla Galilea, per sottoporli alla verifica; lui, che mai si era preoccupato dell'opinione degli altri, chiede ai suoi. Alcuni raccolgono il parere degli altri, e la loro confusione. Un altro si azzarda a proclamare la fede. Il fatto non è che solo uno abbia osato pronunciarsi, indovinando; ma la cosa inaspettata è stata che chi meglio ha confessato chi era Gesù, si sarebbe scandalizzato dopo del modo in cui pensava che fosse.
Non fu semplice curiosità ciò che motivò Gesù a conoscere ciò che si diceva di lui. Volle, piuttosto, che i suoi discepoli si interessassero per conoscere le opinioni e le speranze che lui stava suscitando tra quanti lo conoscevano e sapere così del risultato della missione. Dei suoi discepoli non desiderava solo che si interessassero di lui, che lo seguissero da vicino, che lo accompagnassero sempre; li voleva attenti a quanto nasceva attorno a loro, sensibili alle aspettative che Gesù suscitava, facendo così comprendere che non erano loro gli unici che avevano posto in lui la loro speranza, che non erano solo loro che lo amavano e si interessavano di lui. Quanto più avessero saputo ciò che la gente pensava di Gesù o che cosa attendevano da lui, tanto meglio lo avrebbero conosciuto e sarebbero stati più entusiasti di lui.
Che Gesù era per i suoi discepoli il maestro migliore e l'unico signore, non avrebbe dovuto far dimenticare loro che molti altri lo stimavano ugualmente o forse di più: Cristo non è proprietà del cristiano né sono solo i suoi discepoli quanti rimangono affascinati da lui; quando un autentico discepolo si rende conto di quanti amano il suo Signore - e quanto lo amano!-, non risulta difficile amarlo di più né è difficile essergli ancora più fedele. E' significativo che Gesù, prima di chiedere ai suoi discepoli chi pensassero che lui fosse, li obbliga ad informarsi dell'opinione degli altri: un discepolo disinteressato di quanto si dice del suo maestro, un cristiano a cui non interessa ciò che si pensa di Cristo, è un discepolo che non saprà dare ragione della sua fede e perderà presto la sua speranza.
Giusto perché noi sappiamo chi è Cristo, dovrebbe preoccuparci di più che non lo si conosca ancora bene o che lo si sta ignorando. Il nostro mondo oggi sta per dimenticare, praticamente, Cristo, perché ai suoi discepoli non interessa molto che si parli poco di lui né ciò che di lui si vada discutendo: Cristo oggi sembra dire quasi niente, perché i cristiani non chiedono niente su di lui, e credono di sapere tutto; considerandolo conosciuto o adattandoci al fatto che lo si fa passare sotto silenzio, stiamo aumentando il disinteresse per la sua persona e stiamo rendendo difficile il suo riconoscimento come Salvatore.
Il nostro modo di vivere, più che le nostre parole, dovrebbe mettere in discussione quanti ci vivono accanto: oggi, è vero, bisogna avere un certo coraggio per presentarsi come discepolo suo davanti agli altri; però non meno di quello che è necessario per chiedere che cosa Cristo significa per loro. Chi si è schierato per Lui, non può mostrare neutralità davanti agli altri; chi lo riconosce come maestro, cerca per lui nuovi discepoli; chi lo ama, desidera che il suo amore sia conosciuto meglio e sia amato da tutti. Saremmo migliori discepoli di Gesù, se come i primi un giorno, ci occupassimo di più a conoscere la posizione che i nostri contemporanei prendono verso di lui e le loro ragioni; ci consolerebbe molto renderci conto che sono ancora molti coloro che condividono la nostra fede e la nostra speranza!... E, senza dubbio, ci recherebbe più dolore il sapere che continuano ad essere tanti che poco o nulla si preoccupano di lui. Come possiamo vivere noi cristiani senza interessarci di ciò che si dice di Cristo?
Non ci deve bastare sapere chi è realmente Gesù: Pietro lo seppe e, con invidiabile audacia, lo disse pubblicamente. Però la sua confessione non lo salvò dalla sgridata di Gesù: e non è che fosse male informato; era nel giusto nel riconoscerlo come Cristo e figlio di Dio. Malgrado ciò, e per sua sorpresa e nostro avvertimento, fu criticato con durezza da Gesù. Come buon credente, Pietro credeva di sapere chi era Gesù e come doveva esserlo; si immaginò di avere una buona idea sul suo Signore, meglio di quella degli altri, sapeva anche come doveva comportarsi Cristo. Come Pietro con il suo maestro, i cristiani che credono di conoscere bene Dio si illudono di sapere anche che cosa possono aspettarsi da Lui; sono i buoni credenti coloro che tendono ad interpretare male Dio: riconoscendolo come Dio, si immaginano che deve esserlo come loro pensano; non sono gli atei né gli agnostici coloro che osano immaginare Dio secondo le loro attese: possono illudersi su Dio coloro che vivono senza interessarsi a lui; la tentazione di colui che crede e pensa di conoscere bene il suo Dio è di sapere quanto di Lui può attendersi.
E' ciò che pensava Pietro, il primo discepolo che indovinò nel confessare la sua fede. Non poteva immaginare, né volle accettare, che Gesù dovesse morire giustiziato su una croce: simile fine non corrispondeva con le speranze che aveva posto in lui; credette che non doveva permettere al suo Signore di compiere il piano di Dio. Ci risulta simpatico questo buon discepolo che cerca di dissuadere il suo maestro e se lo porta da parte per convincerlo più facilmente. Consideriamo buona la sua resistenza nel lasciar morire Gesù e ci identifichiamo con il suo tentativo di dissuasione: chiunque di noi avrebbe fatto lo stesso quel giorno…certamente!..., perché tutti noi continuiamo a fare lo stesso tutti i giorni. Crediamo in Dio, è vero; seguiamo Cristo, certamente; però la nostra fede, come quella di Pietro, e la nostra sequela sono subordinate al fatto che non ci risultino troppo strane le sue esigenze, che siano logiche le condizioni; un Dio con pretese insopportabili, un Cristo inaudito ci fa uscire facilmente dalle nostre abitudini. E' possibile, sarebbe tragico, dopo aver seguito Gesù per tanti anni e aver creduto in Dio tutta la vita, scoprire che, in realtà, non conosciamo Cristo né accettiamo i piani di Dio.
Dovremmo essere più coscienti di quanto rischiamo, quando abbiamo l'ardire di modificare i piani allo stesso Dio in cui crediamo: Pietro, il primo discepolo che riconobbe il suo Signore, fu da lui considerato come il suo peggiore nemico, un buon diavolo. Mai Gesù chiamò satana qualcuno dei suoi nemici, per acerrimi che fossero, né tantomeno coloro che lo condannarono a morire; degno di questo rimprovero è stato il discepolo che lo conosceva meglio e che più lo amò. Non basta, allora, credere in Dio, per quanto autentica possa essere la nostra fede, né è sufficiente confessarla pubblicamente ogni tanto: i credenti dobbiamo imparare a rispettare Dio, accettandolo così come è e come vuole essere con noi; i discepoli di Gesù devono rinunciare ad immaginarsi il loro Signore secondo i loro desideri o in base alla loro logica. La fede che Gesù aspetta dai suoi non finisce con una pubblica affermazione di chi è per noi; non si tratta solo di dire quanto rappresenta per noi; la fede che attende Gesù dai suoi discepoli si mostra quando gli permettiamo che sia per noi ciò che lui vuole essere e lo sia come lui vuole.
Che noi non comprendiamo, come Pietro sulla strada di Gerusalemme, che la meta di Gesù era la morte in croce, ci deve fare capire che Dio non è all'altezza dei nostri desideri; solo chi accetta Dio per quello che Lui vuole essere per noi, lo conoscerà veramente, anche se non arriverà mai a comprenderlo; potrà avere una relazione intima e personale con il suo Signore, solo chi gli permette di essere Signore della sua vita. Chi lascia che Dio sia, però solo totalmente, il suo Dio e fa di Cristo Gesù il suo unico Signore non tarderà ad incontrarsi con la sua croce: non si può essere discepoli di Gesù senza seguirlo da vicino; rinnega Gesù colui che non accetta di prendere la croce. Un giorno Pietro si rese conto che stava seguendo qualcuno che camminava coscientemente verso la morte e cercò di ribellarsi. Gesù lo avvertì che non è degno di lui chi si oppone al progetto di Dio: evitare la croce forse ci salva la vita, momentaneamente, però ci condannerà ad essere dei cristiani indegni. Solo Dio merita le nostre vite e Cristo Gesù le nostre pene.
Ogni discepolo dovrà un giorno rispondere alla stessa domanda del suo Signore. Più che rallegrarci di sapere già l'autentica risposta, dovremmo soppesare se siamo disposti ad accettare le sue conseguenze: rinnegare se stessi, prendere la propria croce, è il compito di chi crede che Gesù è il Cristo. L'esempio di Pietro è un avviso grave: il primo credente è diventato, immediatamente, un buon diavolo…, perché non era disposto ad accettare le conseguenze della sua fede. Non basta riconoscere chi è Gesù, bisogna accettare come lui vuole esserlo. Senza dimenticare che il destino di Gesù implica anche quello dei suoi discepoli.

                                                                                    JUAN J. BARTOLOME sdb

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