Luca Desserafino sdb"Il Signore sostiene la mia vita"

20 settembre 2015 | 25a Domenica - Tempo Ordinario B | Omelia
"Gesù e i discepoli partirono di là e attraversarono tutta la Galilea". Queste parole del Vangelo di Marco ci introducono nel viaggio che Gesù
ha appena intrapreso dalla Galilea verso Gerusaleme; un viaggio che più volte l'evangelista ricorderà nei capitoli seguenti.

Non si tratta ovviamente di un itinerario solo spaziale. Il viaggio che il Signore compie assieme ai discepoli è simbolo del cammino della vita, dell'itinerario della propria crescita spirituale. La scena che ci viene presentata dal brano del Vangelo odierno è semplice: Gesù prende con sé i discepoli e "cammina davanti a loro", propio come fa il pastore che guida il suo gregge, dirigendosi verso Gerusalemme.

Potremmo vedere in questa bella immagine evangelica il ritrovarsi dei cristiani ogni domenica attorno al loro Maestro e Pastore per fare comunione con lui e con i fratelli. Lungo la strada, com'è suo solito, Gesù parla con i discepoli. Ma questa volta non appare anzitutto come maestro, bensì come l'amico che apre il suo cuore ai suoi amici più intimi. Gesù, che non è un eroe freddo e solitario che può fare a meno di tutti, sente il bisogno di confidare ai discepoli i pensieri più segreti che agitano in quel momento il suo cuore.

E dice loro: "Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno". È la seconda volta che parla loro di questo. Quando lo disse la prima volta, Pietro, che aveva cercato di dissuadere Gesù dal suo cammino, fu aspramente rimproverato. Gesù sente il bisogno di confidarsi di nuovo. Evidentemente è oppresso da una grande angoscia. La stessa che sentirà nell'orto del Getsemani e che lo farà sudare sangue.

Tuttavia, ancora una volta, nonostante la familiarità che pure si era creata, nessuno di loro comprende il cuore e i pensieri di Gesù. Eppure non era difficile ricordare qualcuno dei brani della Scrittura dove la vita del giusto è descritta come piena di tribolazioni. Il brano tratto dal libro della Sapienza ascoltato in questa domenica, narra, appunto, di una congiura che uomini cattivi e potenti tramano, con disinvoltura e sicurezza, contro il giusto: "Tendiamo insidie al giusto, perché ci è d'imbarazzo e contrario alle nostre azioni; ... Condanniamolo ad una morte infame, perché secondo le sue parole, il soccorso gli verrà".

Forse i discepoli ricorderanno queste parole solo al termine del viaggio, a Gerusalemme, quando si realizzeranno quasi alla lettera sulla croce. Ora, nessuno capisce. Eppure, le parole sono drammaticamente chiare. Ma perché i discepoli non comprendono? La risposta è semplice: perché il loro cuore e la loro mente sono lontani dal cuore e dalla mente del Maestro; le loro ansie sono altre rispetto a quelle di Gesù. Come possono capire stando così distanti? Gesù è seriamente preoccupato per la sua morte, mentre loro sono preoccupati per il posto, per chi di loro è il primo, il migliore.

Farsi servo e accogliere i piccoli nel suo nome, i due comportamenti che Gesù suggerisce alla sua comunità, sono due modi concreti, due esempi di imitazione del Signore Crocifisso. "Se uno vuole essere il primo, si consideri l'ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti": ecco una di quelle frasi evangeliche che non cessano mai di stupirci: chiare, incisive e dure. Da quando il Figlio di Dio è entrato nella nostra storia e ha percorso la via della Croce tutti i criteri della priorità si sono capovolti: la dignità di una persona non sta nel posto che occupa, nel lavoro che svolge, nelle cose che possiede, nel successo che ottiene: la grandezza si misura unicamente sullo spirito di servizio.

Per il cristiano resta fermo che il modello di ogni forma di servizio è sempre e solo Gesù Cristo. Dopo il servizio, e come esempio di servizio, c'è l'accoglienza. L'evangelista Marco utilizza il verbo accogliere in diverse occasioni e con diverse sfumature, tutte però in qualche modo convergenti: c'è l'accoglienza del missionario, c'è l'accoglienza della Parola, c'è l'accoglienza del Regno, c'è l'accoglienza dei piccoli.

Accogliere significa ascoltare, rendersi disponibili, ospitare: soprattutto richiede la capacità di lasciarsi sconvolgere nelle proprie abitudini e nei propri schemi dalla Parola, o dai fratelli, e la capacità di porsi al loro servizio. E perchè comprendano bene quello che vuol dire, Gesù prende un bambino, lo abbraccia e lo mette in mezzo al gruppo dei discepoli; è un centro non solo fisico, ma di attenzione, di preoccupazione, di cuore. Quel bambino, vuol dire il Signore ai discepoli, deve stare al centro delle preoccupazioni delle comunità cristiana.

E ne spiega il motivo: "Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me" cioè nei piccoli, negli indifesi, dei deboli, nei poveri, nei malati, in coloro che la società rifiuta e allontana, è presente Gesù, anzi il Padre stesso. Ecco chi deve contare per i discepoli, ecco chi bisogna accogliere, sapendo di accogliere Gesù stesso, invece che perdersi in problemi di precedenza, in giochi arrivistici e in manovre di ambizione, senza senso.

Il bambino diventa simbolo di chi serve all'ultimo posto e simbolo degli ultimi nei quali si serve il Signore stesso. Nelle forme più varie in cui si pratica l'accoglienza, anzi si è accoglienza verso i piccoli e i bisognosi; nella misura in cui si fa spazio, anzi si è spazio per loro nel proprio cuore, accade un fatto straordinario la cui portata si può capire solo nella luce della fede: ogni volta è Gesù che sperimenta tale accoglienza e attraverso di Lui è Dio stesso, il Padre, che riceve tale dono, tale servizio da noi suoi discepoli, da noi suoi figli amati.

Luca Desserafino sdb

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