Luca Desserafino sdb"ll Signore rimane fedele per sempre"

6 settembre 2015 | 23a Domenica - Tempo Ordinario B | Omelia
Gesù si trova nel territorio della Decapoli, cioè in una regione pagana. Il racconto acquista in tal modo il significato di universalità.

Il miracolo è in favore di una persona che, secondo la concezione del tempo, avrebbe dovuto essere esclusa dalla salvezza, o per lo meno avrebbe dovuto essere raggiunta in un secondo momento: prima gli ebrei, poi i pagani.
L'evangelista ci fa comprendere che il prima e il poi appartengono alla grettezza dell'uomo, non all'amore di Dio.

Alle volte Gesù compie i miracoli con l'autorità della sua Parola, per così dire a nome proprio, dimostrando in tal modo di non essere semplicemente un profeta di Dio, ma Dio egli stesso.

Alle volte invece, come nel nostro caso, Gesù ricorre alla preghiera, per insegnarci che la salvezza è un puro dono della grazia di Dio: un dono da chiedere, non da pretendere.

Il comando di non divulgare il fatto è nel Vangelo di Marco un tratto quasi abituale. Con questo l'evangelista ci insegna due cose: la prima è che il tempo messianico è arrivato; la seconda è che per intendere nel giusto modo la vera natura della messianità di Cristo non bastano i miracoli, occorre attendere la sua passione e la sua Croce.

Ma i fatti parlano da soli, e più Gesù vuole che rimangano segreti, più questi si diffondono. La reazione della folla è di immenso stupore, una meraviglia che non sembra nascere unicamente da questo episodio particolare, ma dall'intera azione di Gesù. La folla scorge dunque nel miracolo il segno che le profezie si sono compiute. Gesù è il salvatore atteso. Ma le parole della folla alludono anche al racconto della creazione: "Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono". Il miracolo compiuto da Gesù è il segno che sta iniziando una nuova creazione.

La forza di Dio però non si manifestava con clamore e strepito. Ci fu solo una parola. Sì, perché delle parole evangeliche ne basta una sola per cambiare l'uomo, per trasformare la vita; quel che conta è che sgorghi da un cuore appassionato come quello di Gesù e che sia accolta da un cuore bisognoso come quello del sordomuto.

Gesù, potremmo dire, non si rivolge all'orecchio e alla bocca, ma all'uomo intero, all'intera persona. E' al sordomuto, non al suo orecchio, che dice: "Apriti!". Ed, infatti, è l'uomo intero che guarisce aprendosi a Dio e al mondo.

C'è un legame stretto tra ascolto della parola e capacità di comunicare. Chi non ascolta resta muto, anche nella fede. E' necessario perciò anzitutto ascoltare la Parola di Dio perché essa purifichi e fecondi le nostre parole, il nostro linguaggio, il nostro stesso modo di pensare ed esprimerci.

Soltanto ascoltando la parola di Gesù potremo anche noi diventarne testimoni credibili. La consegna che Maria fa alle nozze di Cana ai servi, e per contro anche a tutti i credenti, è proprio questa: "Fate quello che vi dirà". L'ascolto della Parola produce il movimento del cuore, dall'ascolto nasce il fare, quello stesso agire che ha spinto Gesù a donarsi nell'amore a ciascuno perché anch'egli è stato ascoltatore premuroso e attento della Parola del Padre.

Luca Desserafino sdb

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