mons. Francesco Lambiasi “Aprite le porte a Cristo!”

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 
Vangelo: Mc 7,31-37 
Fa udire i sordi e fa parlare i muti
Mai nella sua storia la terra è stata così popolata e l’umanità tanto connessa e collegata come oggi: centinaia di canali televisivi, il satellite, internet, il cellulare, il palmare - senza
dimenticare la radio, la stampa, il cinema - hanno fatto diventare il mondo sempre più piccolo, un vero “villaggio globale”. Ma paradossalmente all’aumento vertiginoso del traffico della comunicazione non sembra corrispondere una crescita della effettiva solidarietà tra gli abitanti del pianeta: la globalizzazione delle comunicazioni non appare tanto il luogo di una unità ritrovata, quanto piuttosto un grande mercato dove si aggirano sei miliardi di solitari, che discorrono fra di loro con enorme difficoltà. Si tenga inoltre presente che stiamo per registrare un altro “salto” esponenziale nel mondo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: l’inserimento di un microchip può mettere il corpo umano in permanente collegamento con altre persone, e così si può essere sempre on line, costantemente in rete. L’uomo del nostro tempo, di fatto, ha incorporato nel suo stile di vita i mezzi di comunicazione, trasformandoli in protesi della propria corporeità. Ma viene da chiedersi: il miglioramento quantitativo della comunicazione - più messaggi, più canali, più persone, più velocità nella trasmissione - è direttamente proporzionale al suo miglioramento qualitativo?
1. Il Dio di Israele e di Gesù di Nazaret è il Dio della rivelazione, e quindi della comunicazione: non è chiuso in se stesso, ma si apre al di fuori di sé e si mette in dialogo con l’umanità. Nella sua sconfinata misericordia, supera l’abisso infinito dell’infinita lontananza da noi, venendoci incontro e sintonizzandosi sulla nostra stessa lunghezza d’onda. È la legge della estroversione: se la comunicazione consiste nella trasmissione di un messaggio da parte di un emittente ad un ricevente - quindi sostanzialmente in un dinamismo di chiamata e risposta - Dio, come “emittente” si comunica adattandosi al nostro linguaggio e adeguandosi alle condizioni della stazione “ricevente”, il cuore dell’uomo. Tutto questo dimostra il grande, smisurato mistero dell’amore di Dio per noi. È tipico dell’amore, infatti, scendere al livello dell’amato. Quando Dio, per pura, smisurata benevolenza, prende l’iniziativa di proporre all’uomo la partecipazione alla sua vita divina, entra nel gioco delle leggi dell’amore, il quale esige che sia l’altro a “condizionare” il messaggio dell’emittente. Per realizzare questa comunicazione con l’uomo, Dio si fa uomo. Si registra così un vero e proprio “salto” di qualità comunicativa: nel suo Figlio, Gesù di Nazaret, Dio non dialoga più rimanendo invisibile - attraverso la parola dei profeti e dei saggi d’Israele - ma rendendosi personalmente presente nella persona del suo Figlio, il Verbo eterno, Parola fatta carne, che noi tutti siamo chiamati ad ascoltare e a seguire.
Gesù è il “pontefice”, il grande “costruttore di ponti”, che mette in collegamento le sponde distanti e opposte della divinità e dell’umanità; abbattendo il muro di separazione tra Dio e l’uomo, costruisce in se stesso il grande ponte dell’alleanza e della comunione piena con il Padre. Nella sua predicazione Gesù manifesta e realizza la salvezza, dialoga e mette in dialogo, annuncia e denuncia, grida e tace, polemizza ma si pone sempre in relazione. Con i suoi gesti e le sue parole, soprattutto nell’evento della Pasqua, Cristo rivela in maniera definitiva e inequivocabile il volto misericordioso del Dio uno e trino, nel quale la piena comunione tra le Persone ne impedisce la solitudine, senza che la loro perfetta distinzione si risolva in dispersione e incolmabile distanza.
2. La guarigione del sordomuto di cui ci parla il vangelo di Marco è un esempio emblematico di come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini. Rileggiamo l’episodio evangelico, per così dire, “al rallentatore”, cercando di evidenziare il valore di segno, che esso contiene, per una catechesi ispirata al messaggio del profeta Isaia, quale ci è stato proclamato nella 1ª lettura: quando il Signore verrà a salvarci, “allora si apriranno gli orecchi dei sordi e griderà di gioia la lingua del muto”.
Il brano evangelico è ambientato nella zona della Decapoli, in pieno territorio pagano. Pertanto il sordomuto condotto da Gesù diventa il simbolo del non-credente che compie un cammino verso la fede. Infatti è sordo, incapace di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la parola di Dio: ci ricorda s. Paolo, “la fede nasce dall’ascolto della predicazione” (Rm 10,17). Inoltre il sordo è incapace di rispondere ai messaggi che non riesce a ricevere, perché è “muto”: letteralmente dovremmo tradurre “farfugliante”, uno che mugola suoni inarticolati, ha la lingua impedita, parla poco e male: insomma non comunica; non riceve e non trasmette, non capisce e non si capisce, quando parla.
La prima cosa che Gesù fa è quella di portare l’uomo lontano dalla folla: lo sottrae a quella rete smagliata di comunicazione intermittente, anzi interrotta, che tiene il sordomuto ermeticamente rinchiuso in una bolla di solitudine dolorosa, come una monade senza porte e senza finestre. Il Signore non vuole dare pubblicità al gesto taumaturgico che sta per compiere; ma non vuole neanche che la sua parola sia “coperta” dal frastuono delle voci e delle chiacchiere vane dell’ambiente. La parola di Dio che il Cristo ci trasmette ha bisogno di silenzio per essere percepita e accolta come parola che guarisce e risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione.
Vengono poi messi a fuoco due gesti compiuti da Gesù, che Marco pennella in modo colorito e dettagliato: mentre la gente lo aveva pregato solo di imporre la mano sul sordomuto, Gesù gli mette le dita negli orecchi, poi con la saliva gli tocca la lingua. Il Maestro di Nazaret non guarisce a distanza; per ripristinare la relazione con quell’uomo impedito, cerca prima ristabilire il contatto. Ma il miracolo è un dono dall’alto, che Gesù implora dal Padre: per questo alza gli occhi al cielo - gesto che abbiamo già notato all’atto di moltiplicare i pani - ed emette un gemito, un sospiro intenso dal profondo. Questo gemito nella preghiera è un particolare che ricorre qui per la prima volta, ma si ritrova poi nella lettera ai Romani, proprio a proposito della preghiera cristiana, quando s. Paolo parla dello Spirito Santo che prega in noi e intercede per noi “con gemiti inesprimibili” (Rm 8,26).
Dopo la parola potente di Gesù - Effatà, “apriti!” - il sordomuto riprende a udire e a parlare. La folla di un paese pagano, sbalordita, comprende ciò che sta avvenendo ed esplode in quel riconoscimento strabiliante: Ha fatto bella ogni cosa. “Quando l’uomo ascolta il suo Signore e gli risponde, tutta la creazione torna bella. Nasce il mondo nuovo, come Dio lo aveva pensato dal principio” (Fausti).
3. Mentre ci racconta di Gesù come il grande comunicatore, questo vangelo ci parla anche di noi: spesso viviamo ognuno per sé, ripiegati e chiusi nell’involucro impenetrabile del nostro io, e creiamo uno sterminato arcipelago di isolotti inospitali e inaccessibili. Persino i rapporti umani più elementari sembrano fatalmente destinati a creare delle realtà a loro volta prigioniere di se stesse e incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa... Eppure la nostra storia personale è cominciata, al battesimo, con il gesto e la parola di Gesù: Apriti! E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della incomunicabilità, e siamo stati inseriti nella grande “rete” della Chiesa: possiamo ascoltare Dio che ci parla e annunciarci reciprocamente il suo amore. Siamo diventati “uditori della Parola” (Rahner) e abbiamo ricevuto la gratia verbi, il dono di poter ricevere e trasmettere la parola di Dio. Siamo stati abilitati a comunicare con lui e tra di noi e con tutti. Il miracolo si sta ripetendo sotto i nostri occhi: con la sua parola il Signore ci ha riaperto gli orecchi del cuore e ora ci scioglie nuovamente il nodo della lingua: possiamo professare la nostra fede, possiamo comunicare le sue meraviglie a quanti incontreremo sul nostro cammino.
Commento di mons. Francesco Lambiasi

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