P. Ermanno Rossi O.P. “Segno di contraddizione”

XXV Domenica Ordinaria – Anno B
(Mc 9,30-37)
Le letture di questa domenica – 25 dell’anno ordinario - sono strettamente intrecciate tra loro: il libro della Sapienza traccia il profilo del giusto. Noi scopriamo in esso il profilo del Figlio di Dio, il Cristo. Egli sarà “consegnato nelle
mani degli uomini” - dice Gesù “ – ed essi lo uccideranno”. Il perché noi lo conosciamo: Gesù è stato per loro veramente “segno di contraddizione”, come ha profetizzato di lui il vecchio Simeone. La sua stessa esistenza li contraddiceva. E allora gli empi gli hanno teso un tranello. Hanno congiurato dicendo: “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è d’imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni: ci rimprovera le trasgressioni della legge e rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere; proviamo ciò che gli accadrà alla fine”. Come non risentire in queste parole, le domande di scherno che i responsabili del popolo rivolgono a Gesù sotto la croce? “Se è il figlio di Dio lo liberi Lui… Scenda dalla croce e noi gli crederemo”. Ma ecco l'incredibile: il Cristo incassa tutto; tutto sopporta con una pazienza che non ha limiti, soprattutto se si pensa che colui che pende dalla croce è il Verbo incarnato, il Creatore del cielo e della terra!
Ma che cosa aveva nel cuore Gesù quando annuncia - lungo la strada – la sua prossima passione e morte? Nel Getsemani il sudore di sangue rende visibile il dramma che si consuma in lui. Anche adesso, quindi, comunicando ai discepoli la sua prossima passione e morte non compie un'azione asettica: Egli sa bene che cosa significhi quel che lui annuncia! Ma va al di là di tutto, proteso com’è a preparare gli apostoli allo scandalo della croce.
Ma essi sono ben lontani dall'intuire ciò che passa nell'animo del Maestro, anzi addirittura dall’afferrare il senso delle sue parole. Egli parla di crocifissione, ed essi sognano un regno glorioso come quello di Erode o di Cesare. E questo li pone in una dura competizione!
Ma in Gesù non c’è alcun rimpianto per sé; c’è solo pazienza infinita per i discepoli. Egli vuole prepararli; così enuncia la legge evangelica dell'umiltà, che è amore puro: “Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti”. Poi offre un modello: prende un bimbo, lo pone nel mezzo, lo abbraccia: il bambino – che è l'essere umano più debole - è il simbolo di quel Dio che si è abbassato ed è diventato il servo e l’ultimo di tutti.
La seconda lettura schizza il ritratto degli apostoli nella loro competizione. Essi sono presi “dalla gelosia e dallo spirito di contesa”. Dove albergano questi sentimenti - dice l'apostolo Giacomo - “c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni”.
Ma ecco il rovescio della medaglia, il ritratto dell'uomo giusto. Egli vive di sapienza. Ebbene, “La sapienza che viene dall'alto, dice l'apostolo, è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace”. Ci ritroviamo, nuovamente, di fronte al modello: il Salvatore. E' in esso che dobbiamo specchiarci.
Proviamo a chiederci: come accolgo gli avvertimenti che mi vengono dati nel nome di Dio? come dono di luce, occasione di progresso, e con riconoscenza verso chi me li ha dati; o con permalosità, impegnato, piuttosto, alla ricerca d'ogni possibile giustificazione? Sono pronto a mettermi al servizio di tutti, per amore, nell'imitazione del mio Signore, che - pur essendo Dio, si è abbassato facendosi uomo, fino alla morte e alla morte di croce? Felici noi, se saremo trovati conformi a Lui, altri piccoli Gesù che danno vita ed irradiano luce dovunque vanno!

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